Da una storia vera, un film che del realismo fa la sua pietra di volta, lo strumento della sua riuscita. Equidistante, verrebbe da dire, da L’esorcista e dal più recente L’esorcismo di Emily Rose, anche se con quest’ultimo condivide l’origine reale della vicenda, Requiem di Hans-Christian Schmid cerca e trova la sua strada nel rifiuto più completo di qualsiasi aggiunta a quello che è possibile ottenere in termini di messa in scena, sceneggiatura, recitazione.

Make-up zero, voci cavernose zero, apparizioni di creature diaboliche zero, solo e soltanto una ragazza, Michaela (Sandra Huller), che poco chiede e che in cambio nulla riceverà.

Colpa di una malattia, che nasce come epilessia, sembra proseguire come schizofrenia per concludersi come un caso di possessione diabolica dove le cure di un solerte sacerdote si riveleranno essere peggiori del male (anche se la fine della storia è affidata a una didascalia).

Difficile rimanere impassibili (ma perché poi?) di fronte a un film così, onesto, senza strizzatine d’occhio a questo o quel partito (il sacerdote e la Chiesa non hanno più colpe di altri…), senza scorciatoie verso il facile pietismo, un film su un destino tragico come tanti altri, un film che senza voler spiegare tutto a tutti i costi finisce con lo spiegare molto, ad esempio su come il sonno di una famiglia possa spesso generare mostri, su come a volte ci si ritrovi da soli a combattere contro forze troppo grandi.

Più che meritato Orso d’Argento come migliore attrice a Sandra Huller al 56mo Festival di Berlino (2006).