Un allegro pezzo dixie esplode da una radiosveglia, stroncando il sonno di un ometto piccolo e grigio che fa un salto sul letto matrimoniale.

L’ometto annaspa sul comodino, inforca malamente dei vecchi occhiali e strizza gli occhi sul quadrante, che fa le sei. Poi rotola fuori dal letto, fra i mugugni del corpo coricato accanto, che spunta dalle coperte solo con i bigodini.

L’ometto va a svegliarsi del tutto alla luce del bagno, molto più forte del giorno che aumenta, trattiene il fiato e si butta sotto la doccia senza togliersi gli occhiali.

Esce dal bagno avviluppato in un enorme accappatoio stinto che perde fili, mentre s’asciuga gli occhiali con la carta igienica, poi sospira rassegnato davanti alla scatola del caffè, vuota.

Indossa con cura un completino grigio liso da travet, raccoglie un baschetto démodé e una vecchia cartella consunta. Una voce querula da sotto le coperte brontola impastata

— …e stavolta ricordati di chiedere l’aumento…

Lui fa un sì paziente con la testa, mostra ai bigodini un modulo riempito a mano che infila nella cartella, guarda l’ora alla vecchia pendola in soggiorno, raccoglie un cappottuccio grigio ed esce frettoloso.

Fuori c’è l’aria provvisoria del giorno che non s’è ancora deciso a cominciare: freddino, luce fosca, gente assonnata alla fermata del bus che arriva già pieno, si sale, si scende al capolinea, si caracolla verso il bar della stazioncina di fronte a prendere un caffè, senza parole.

Modi ed abiti diversi, da operai, impiegati, studenti, commessi, professori, ma le facce tutte uguali, da pendolari alle sette di mattina.

Il treno locale si annuncia con un fischio pigro ed il soffio dei freni. Non c’è apprensione nella fretta appena accennata dei viaggiatori alla prima pagina di giornale o all’ultimo sorso di cappuccino, mentre guadagnano il binario senza sprechi d’energia.

L'ometto grigio non si distingue quasi tra le facce di quelli che salgono e di quelli già in treno, un po’ appisolati e un po’ fissi a punti vaghi oltre il finestrino, senza attenzione per il mondo fuori, che ora ricomincia scricchiolando a scorrere. A bordo il tempo non esiste; uno studente ha le cuffiette a tutto volume, si sente qualcosa che sembra la stessa musica della sveglia. L'ometto, perso anche lui davanti al finestrino, si scuote. Apre la sua cartella, c'è il suo modulo per l’aumento, un’agendina, un taccuino, un pacchetto di kleenex, uno di liquirizie, una raccolta di racconti gialli, irta di segnapagine, una Settimana Enigmistica, penna e matita.

Sceglie i cruciverba e si dedica a quello di copertina, illustrato da una foto di Hitchcock.

Sbadiglia, poi si annusa il fiato, s’acciglia, cerca le liquirizie e ne prende una. Ritorna a dedicarsi al cruciverba, la definizione dice “10 orizzontale: il film di Hitchcock dal romanzo Sconosciuti in treno”.

L'ometto si guarda intorno, nota gli sguardi rapidi che la gente si scambia di nascosto, interessati e distratti, torvi e sospettosi, smaniosi e concupiscenti. Poi sorride appena e scrive nelle caselle: "delittoperdelitto".

Il trenino arriva nella grande stazione centrale affollata e rumorosa, scendono tutti, alcuni di corsa, come l'ometto.

Ha un buffo passo corto, da pinguino.

Si tuffa per le scale che scendono alla metropolitana. Lì sotto incontra una band di ragazzi con strumenti a fiato che suona jazz per qualche spicciolo: sembra ancora il dixie di prima, che continua… l’ometto non trova una monetina da lasciare, mentre i ragazzi lo guardano male. Arriva il convoglio. Che strano, il conduttore somiglia al vecchio Hitch. E c’è altra gente strana, lì dentro, tra la folla: un omino dall’aria sussiegosa coi baffi sottili, i capelli lisci impomatati e scriminati in mezzo, una vecchia signora che lavora a maglia sgranocchiando pasticcini, un uomo col trench, il borsalino sugli occhi, la cicca spenta all’angolo della bocca e lo sguardo amaro, un vecchio cinese enigmatico col codino, un nano elegantissimo che legge Das Kapital, un ciccione altero con la barba e un'orchidea al bavero, due tizi che s’infilano all’ultimo momento tra le porte che si chiudono. Hanno abiti da poco, stazzonati, la barba fatta male, i capelli unti, facce senza espressione.

Come due malviventi… o due sbirri.

L'ometto grigio s'è messo in un angolo, la rivista davanti agli occhi, ma ha la strana impressione che tutte quelle persone lo stiano guardando con insistenza. Mentre i due ultimi arrivati si sforzano di fendere la calca verso di lui, senza perderlo d'occhio.