Jill Johnson, alla sua prima esperienza come baby sitter, inizia a ricevere delle misteriose telefonate. Si tratta di uno dei suoi amici in vena di scherzi o qualcuno le vuole male…? 

 

Tra Quando chiama uno sconosciuto, l’originale del ’79, e questo Chiamata da uno sconosciuto, a firma di Simon West, la differenza è che mentre nel primo la baby sitter sopravviveva alla prima incursione del maniaco omicida così da spingere quest’ultimo una volta uscito di galera a riprovarci, qua ai tempi del primo delitto è lecito attendersi che la protagonista non sia ancora nata. Poco importa, visto che non è questo a consegnare il film verso l’inconsistenza delle inconsistenze. 

 

Grande casa, notte buia e tempestosa, ragazzina sola e indifesa, il pericolo più vicino di quanto non sembri. Con archetipi così il rischio è sempre quello di non saper né rinunciarvi, né reinventarli, scivolando nel banale più banale. È quello che capita puntualmente. Si salva soltanto la scenografia che fa da cornice alla storia, una sfarzosa magione di legno molto hig-tec, molto moderna, molto museo delle cere.

Peccato che dentro siffatto spazio non accada pressoché nulla da segnalare, essendo la lotta tra la baby sitter e il Babau di turno, confinata negli ultimi dieci minuti.

Nei primi dieci invece Simon West sembra che stia ancora alle prese con Con Air e Tomb Raider: piazza sempre la cinepresa a diciotto metri da terra, infilando, appena gli si presenta l’occasione, la citazione “alta”, quella del palloncino che vola via per finire impigliato in un cespuglio (M - Il mostro di Düsseldorf, di Fritz Lang).