Sarebbe stato meglio che questo Inside Man fosse stato lasciato girare a Ron Howard, come era nelle previsioni, perlomeno non ci si sarebbe aspettato chissà cosa, mentre invece è finito nelle mani e nella cinepresa di Spike Lee.

Certo, Lee è uomo d’onore, e allora, visto il tema, quello della rapina in banca (un heist-movie insomma…), cerca giustamente di riscriverne le regole, filmando il tutto come se fosse qualcosa di molto simile a un "…sogno a occhi aperti" (come dice Keith Frazier/Waghington). Ne deriva che nulla è come sembra che sia, a iniziare dalla primissima immagine del film, col capo del quartetto di rapinatori, che sguardo rivolto alla cinepresa interpella lo spettatore annunciando ciò che sarà, ma senza, in definitiva, chiarire nulla.

Se l’architettura del colpo riserva quindi qualche sorpresa, il film nel complesso sembra esaurirsi per intero nella stessa trovata. Non convincono per esempio alcuni temi che Lee introduce a forza nella vicenda e che alla fine appaiono estranei al genere stesso (ma forse è questo il senso della rilettura tentata da Lee…): l’Olocausto, argomento che meriterebbe ben altro spazio, o la violenza sempre più diseducativa dei videogiochi.

 

Insomma, gran regia, e un Denzel Washington molto a suo agio nei panni del poliziotto fascinoso che si batte sì per liberare gli ostaggi ma che pare interessato a ben altro (la promozione a detective di prima e classe e la squinzia che lo aspetta a casa…).

Insomma, nel complesso, niente di che.