Ciao Alessio, innanzi tutto vuoi presentarti agli amici di Thrillermagazine?

Mi verrebbe da farlo come in una riunione dell’anonima alcolisti, alzandomi in piedi da un gruppo di sedie messe in cerchio, mettendomi ad esitare un attimo e, infine, dicendo: “Mi chiamo Alessio Romano e ho un problema. Ho scritto un libro.”

Perché con questo tuo primo romanzo hai deciso di cimentarti con la letteratura noir?

Perchè partivo dall’idea di raccontare un’esperienza autobiografica, tutto sommato abbastanza normale e per certi versi noiosa, l’aver frequentato una scuola di scrittura per due anni, che non volevo finisse per diventare un’operazione gratuita e autoreferenziale. In questo, il modello del romanzo poliziesco mi ha aiutato molto.

Quali sono i tuoi rapporti con la letteratura di genere? E se li hai, quali sono i tuoi modelli di riferimento e perché?

Non sono un fanatico della letteratura di genere; mi piace chi gioca con gli stereotipi e li rimonta in maniera nuova. Il modello principale di Paradise for All è dichiaratamente la serie televisiva Twin Peaks di David Lynch, uno dei miei registi preferiti.

Nel tuo libro ricorre il tema della scrittura… dal protagonista, all’ambientazione: perché questa scelta? Cosa intendi per terzo stato di alienazione?

Intendo che io frequentavo un posto (la Holden di Torino) e facevo una vita normale; poi di sera davanti al monitor del mio computer tornavo a frequentare lo stesso posto, ma sognando accadimenti straordinari. La scrittura è un elemento ricorrente del romanzo perché è il sogno, l’ambizione, l’obbiettivo del suo protagonista, Matteo, la voce narrante. Oltre che come un  giallo, penso che il mio libro possa essere letto, almeno in parte, come un romanzo di formazione di un aspirante scrittore.

Alcuni hanno definito il tuo come un libro “ipercitazionista”, la consideri un offesa o un complimento… e perché?

Credo che sia una definizione esatta, che corrisponde alle mie intenzioni (basta vedere la foto in quarta di copertina della stanza di Matteo, che è una sorta di “bibliografia fotografica”).

A me le opere post-moderne, caratterizzate da un citazionismo disinvolto e rimandi contemporanei a letteratura alta e bassa piacciono molto, purché continuino a raccontare storie e non siano solo giochetti.

Nel tuo libro hai inserito dei personaggi realmente esistenti (per esempio Sandro Veronesi e il “Pescarese”), come l’hanno presa i diretti interessati?

Veronesi l’ha presa come fare una comparsata in un film e per mia fortuna, il libro gli è piaciuto fino al punto di firmarne la quarta di copertina. Il Pescarese sono io, degli altri non ne ho idea. 

Da dove vengono le idee per un romanzo?

Dal proprio vissuto, dalle esperienze che facciamo tutti i giorni, dal mondo; dalla letteratura, dalle nostre letture, dei film che guardiamo, la musica che ascoltiamo; e, infine, ma non ne sono sicuro, da un luogo misterioso, che deve trovarsi dalle parti della memoria ancestrale e dell’immaginario collettivo. 

A che cosa stai lavorando adesso e quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sono al lavoro sul mio secondo romanzo, che è a buon punto; l’unico grande obbiettivo che e ora è riuscire a finire la tesi e prendere la laurea.

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