I. Tra le tante ricorrenze onorate dall’establishment letterario, mancano fatalmente quelle dedicate ai c.d. autori di paraletteratura o letteratura da intrattenimento [1]. Anche la recente pubblicazione di due Meridiani Mondadori contenenti le opere di Dashiell Hammett [2] e Raymond Chandler [3], a ben vedere, non esprime una compiuta consapevolezza delle qualità attribuibili al noir in quanto genere popolare, quanto piuttosto l’ennesima furbata snobistica che, nel salvare le perle, condanna tout court il loro vile contenitore (la c.d. narrativa di consumo). Questo atteggiamento è perfettamente espresso dalle parole con cui un insigne italianista come Giulio Ferroni [4], qualche mese fa, si attardava ancora sul concetto di paraletteratura, attribuendo, per l’appunto, a Chandler e Hammett indubbie qualità letterarie, ma disapprovando nel complesso il turpe livello dei generi letterari.

 

Il tasso di polemos filologico-letteraria che una simile piega del saggio conterrebbe è tale da rinviare la questione ad altri luoghi; per ora, ci limitiamo a dissentire dall’illustre accademico, esprimendo, dal nostro umile cantuccio, un vivo disaccordo. È parere di chi scrive, dopo lunghe e assai piacevoli letture, che il noir (ma potremmo dire, con sfumature appena percettibili, la science fiction, l’horror, il mistery, ecc.) esprima valori intrinseci, al di là delle penne nobili che ne incarnano, con maggiore o minore acume, l’espressione contingente.

 

Proprio in quanto custode di un patrimonio di ricchezze narrative, sociologiche, culturali, al noir andrebbe riservato l’onore di una storia della letteratura a hoc, come un altro, illuminato studioso, Giuseppe Petronio, aveva acutamente proposto (per il poliziesco, ma fa poca differenza) già nel 1981 [5]. Contribuire a questa storia, per quel che ci è possibile, significa recuperarne, alla rinfusa, qualche tassello e conferirgli la dignità di una trattazione saggistica seria e completa. L’occhio cade stavolta su un pilastro della scuola hardboiled, quell’Horace McCoy, di cui ricorre, il 15 dicembre [6] di quest’anno, il cinquantenario della morte.

 

II. Horace Stanley McCoy [7] nasce a Pegram, Tennesse, il 14 aprile 1897 da una discendente di John Peter Pegram, fondatore del villaggio, e da James Harris McCoy, maestro elementare reinventatosi ferroviere e poi agente di commercio.
A 16 anni abbandona la scuola e va a lavorare con il padre; a 18, nel 1915, si trasferisce a Dallas con la famiglia, dove risiede fino all’età di 34 anni, a eccezione del periodo passato sotto le armi. Il soldato McCoy [8] si guadagna sul campo la Croce di Guerra, rimanendo ferito in un raid aereo avente come obiettivo la ripresa fotografica delle fortificazioni germaniche. Nel tragico episodio, il pilota dell’aereo muore e solo fortunosamente il nostro salva pelle e negativi.

 

III. Tornato a Dallas, McCoy inizia l’attività giornalistica, diventando in breve responsabile della cronaca sportiva del Dallas Dispatch e quindi reporter investigativo per il Dallas Journal. In seguito fondando una sorta di coraggioso New Yorker in salsa texana, il Dallasite, che ebbe molti riconoscimenti e vita brevissima. Nel contempo, inizia a pubblicare alcune short stories di carattere regionalistico [9], prima di approdare all’Olimpo dei crime writers: quella fucina di talenti che fu il pulp magazine Black Mask sotto la direzione del capitano Joseph T. Shaw. La lunga e proficua collaborazione con la rivista (1930 - 1937) [10] consta di circa settanta novelle - molte aventi come protagonista Jerry Frost, la quasi totalità cadute nell’oblio [11], anche perché, a differenza di quanto fecero Hammett e Chandler con Continental Op e Philip Marlowe, McCoy non riutilizzò mai il protagonista dei suoi racconti in un ciclo seriale di detective novels.

 

A cavallo tra il 1929 e il 1930 il Dallasite si radica nella realtà texana, grazie a inchieste, cronache sportive e mondane, e soprattutto recensioni teatrali, scritte dallo stesso McCoy, co-fondatore del Little Theatre di Dallas, del cui direttore artistico, Oliver Hinsdell, si proclama strenuo ammiratore (anche perché Hindsell arruola McCoy come attore protagonista di diverse pieces...).

 

McCoy si è ritagliato uno spazio tutto suo nella vita mondana di Dallas, frequentando i salotti buoni della città, corteggiando le figlie dell’aristocrazia imprenditoriale, acquisendo fama e consensi come tennista – attività, quest’ultima, praticata a livello semiprofessionistico e interrotta a causa di un grave infortunio ad un ginocchio.

 

IV. Nel 1931 la vita di McCoy è a una svolta decisiva: il giornalista-scrittore abbandona il Sud e va ad Hollywood. Dopo aver tentato, con scarsi risultati, la carriera d’attore [12], prova con tutte le forze a trovare impiego come correttore di bozze, assistente ai dialoghi, soggettista, racimolando la miseria di un paio di collaborazioni [13]. A ragion veduta, allora, lo spiantato McCoy, che svolge una quantità enorme di lavoretti precari, sposa in seconde nozze la ricca ereditiera Helen Vinmont, dopo aver divorziato da Loline Sherer (dalla quale aveva avuto il figlio Stanley).

 

Da una delle bozze di storie rifiutate dagli studios, nasce il nucleo di quello che nel 1935 sarà They Shoot Horses, Don’t They? Accolto in maniera difforme dalla critica USA, il romanzo godrà nei decenni successivi di due ondate di apprezzamento critico e popolare: la prima negli anni ’40, a cavallo della sua pubblicazione in Francia, dove McCoy verrà celebrato alla stregua di Hemingway o Faulkner; l’altra, all’inizio degli anni ’70, dopo l’adattamento cinematografico di Sidney Pollack (They Shoot Horses, Don’t They?, Non si uccidono così anche i cavalli?, 1969).

La celeberrima storia di coppie di ballerini che si sfidano sino allo sfinimento, sebbene non assicuri a McCoy, almeno nell’immediato, l’ingresso dalla porta nell’alveo dei grandi narratori americani, è comunque il primo cimento del muscoloso scrittore nel romanzo. Il romanzo, in ogni caso, contiene elementi di “oltraggio sociale e taglio radicale” [14], che si adagiano su quel velo di nichilismo e disperazione che copre le ferite di un’America appena rovinata dalla Grande Depressione.

 

Va ricordato come McCoy abbia attinto, seppure appena in parte, al proprio vissuto - ai lavori saltuari di buttafuori e sorvegliante, svolti presso le arene di Santa Monica dove si svolgevano le maratone danzanti. Questi eventi finirono ben presto per trasformarsi in racket della mafia.

 

Gli anni tra il ’33 e il ’37 sono segnati, tuttavia, dall’attività cinematografica e dalla produzione di racconti. In questo lasso di tempo Horace partecipa, a vario titolo e spesso uncredited, a 11 progetti.

 

V. La sofferenza per un lavoro instabile e mendicato a produttori spesso autoritari, unita alla maturazione tecnica nutrita prima dall’attività giornalistica, quindi dalla scrittura cinematografica, creano un contesto favorevolissimo alla produzione del primo capolavoro del nostro: No Pockets in a Shroud (Il sudario non ha tasche, 1937). La vicenda vede come protagonista Mike Dolan, avventuroso reporter sportivo, che, in rotta con l’atteggiamento sottomesso al potere del proprio direttore, fonda un nuovo rotocalco col quale indagare le nefandezze del gotha politico-economico della cittadina dove vive.

 

Non è affatto strano, per chi abbia avuto la fortuna di leggere il romanzo, venire a sapere che il testo fu pubblicato prima in Inghilterra, nel 1937, e solo nel 1948, in una versione mùtila e accomodante, negli Stati Uniti, per ragioni politiche e morali. Quanto alle prime, il ritratto che McCoy fa del suo Paese è talmente radicale (nel male) che non avrebbe mai potuto trovare qualche pazzo disposto a fargli da editore. Mike Dolan esplicita le proprie convinzioni democratiche con pathos, indignazione civile, rabbia, così diretti e crudi da sublimare una volta e per sempre il coraggio di chi ha scritto queste righe:

 

“Be’, sposerai quel bravo ragazzo di Harvard, o Yale, come vuoi, metterai su casa e avrai figli. E quando ne avrai fatti un paio, belli e biondi, entreremo in guerra e i tuoi bellissimi figli verranno spediti al creatore dalle bombe o dai gas, o da qualcos’altro. E io mi troverò disteso proprio come adesso, ma su un campo di battaglia, con la pancia squarciata da qualche scheggia e gli avvoltoi che mi mangeranno le budella (...) C’è un sacco di deficienti che ci spingono a testa bassa verso la guerra. Prima ha cominciato Mussolini. Poi è venuto Hitler. Poi Mussolini ha detto agli inglesi di baciargli il culo e di dire che era buono.

La Società delle Nazioni è senza palle, e dietro l’angolo c’è il Giappone pronto a dire banzai”.

 “Ma io non credo che il nostro Paese entrerà in guerra. La gente è contraria”.

“Lo sono finché non ci stiamo dentro. Poi quando qualcuno comincerà a suonare l’inno nazionale e ad agitare la bandiera, nessuno capirà più niente e correranno tutti a farsi ammazzare” [15].

 

La ribellione a un sistema della stampa completamente sottomesso agli altri poteri economico-politici sottende una enorme consapevolezza da parte di McCoy della fonda<!--IMG:2649:RIGHT]mentale funzione di tutela, vigilanza e indagine sulla vita pubblica che i quotidiani dovrebbero svolgere. Dolan, nel suo rigore estremo, fondando un nuovo giornale che rifiuta di passare sotto il giogo dei padroni del vapore, svolge una requisitoria a 360° gradi degli scandali che investono tanto il mondo sportivo (le partite di football vendute), quanto quello teatrale (il Little Theatre che si trasforma in una piccola Broadway rinnegando se stesso), sino a raggiungere il culmine con lo smascheramento di un’organizzazione fanatico-razzista dietro cui si celano tutti i boss del paese. È chiarissima l’ispirazione autobiografica con riferimenti espliciti al Dallasite e agli orientamenti radicaldemocratici che sulle sue colonne il McCoy giornalista portò avanti

 

Quanto alle ragioni morali del rifiuto americano di No Pockets, basti notare, en passant, la straordinaria modernità di questo romanzo, che non si fa remore a introdurre temi come l’adulterio, la ninfomania, gli aborti clandestini, usando peraltro un linguaggio esplicito di fronte al quale il 99% degli autori dell’epoca sarebbe impallidito:

 

“Allora smetti di fare tragedie. Si è sposata, e con questo? Un’altra scopata che esce di circolazione. Dalla faccia che hai messo su in quest’ultima ora e mezzo sembrerebbe che al mondo ce l’abbia solo lei” [16].

 

Non è un caso che McCoy fu tra i primissimi estimatori di Tropic of cancer (Tropico del cancro, 1934) di Henry Miller, quando quasi tutti i “critici-che-contano” lo giudicavano poco più che immondizia pornografica.

 

È abbastanza chiaro, a questo punto, il primo elemento che fa di McCoy un autore paradigmatico del noir: la tendenza politica, che troppo frettolosamente la critica, abbagliata dall’iscrizione al Partito Comunista americano di molti noirists, ha banalizzato nella formula noir = genere di sinistra. Leggendo No Pockets, si capisce bene come la “cupola” politico-finanziaria nell’America dei Thirties tendesse ad annullare la differenza tra l’essere comunisti, come i due collaboratori di Dolan, e difendere quegli apparentemente sacri principi di libertà e democrazia, a costo della vita, come fa il giornalista. L’obiettivo è chiaramente coalizzare la nazione intorno a un patriottismo di facciata, dietro al quale – come testimoniano gli enormi profitti delle industrie vicine alla Casa Bianca durante la II Guerra Mondiale – si nasconde in realtà la spartizione della ricchezza pubblica. Se il noir, in quanto genere popolare, ha un’inclinazione politica questa non va (soltanto) ridotta alla sua coloritura sinistroide [17] quanto piuttosto alla sua connaturata opposizione all’ordine costituito, che può manifestarsi sia nella sua forma blanda e indiretta di fredda descrizione delle connessioni tra il crimine organizzato e il potere politico, sia, come nel nostro caso, nella forma diretta ed esplosiva di un attacco diretto al cuore del sistema politico-sociale.

 

Ma c’è pure un triplo dato stilistico, non meno importante, che testimonia della centralità esemplare di McCoy nella storia del noir americano.

 

In primo luogo, come Hammett, Chandler, Cain, Woolrich, Latimer e tanti altri dopo loro, McCoy ha un background giornalistico, che ha avuto un impatto assai positivo su una prosa asciutta e scorrevole come pochi.

 

In secondo luogo, la lunga gavetta negli studios, unitamente alla composizione di racconti, ha esaltato una scrittura di per sé fatta di una sorta di quadri visivi. Come una sceneggiatura, No Pockets si distribuisce secondo una scansione in scene, di fatto autoconclusive, che si concatenano piacevolmente senza forzature.

Il linguaggio simil-cinematografico, per la sua sintesi e la sua capacità di stimolare l’immaginazione di chi legge (e di chi scrive), sarà utilizzato ancora da McCoy in Kiss Tomorrow Goodbye e spessissimo dagli epigoni dell’hardboiled school.

 

In terzo luogo, l’abbondanza di dialoghi corrobora l’impianto narrativo, fungendo da modello per tutti coloro che, in seguito, dei dialoghi faranno la pregnanza del proprio stile (da George V. Higgins a Elmore Leonard):

 

“Mike sei sveglio?”

“Si, cosa sta succedendo?”

 “Il giornale”.

“Come il giornale? Spiegati” (...)

“Carlisle lo ha fatto sparire dalle edicole”.

“Carlisle?”

“Jack Carlisle. Immagino sia stato lui. Non c’è più una copia del Cosmopolite in nessuna delle edicole della città”.

(...)

“Roba grossa”.

“Parecchi edicolanti hanno fatto casino e hanno cercato di resistere, ma i gangster gli hanno detto di tacere o quello sarebbe stato solo l’inizio” [18].

 

Il fascino dello stile di McCoy, peraltro, non si esaurisce qui: molto prima di McBain ed Ellroy, in No Pockets, il texano utilizza pseudoestratti dai quotidiani e dalle loro locandine [19]; in un altro caso, sperimenta un’ardita elaborazione grafica per rappresentare il funzionamento del cervello umano:

 

bzzz

        bzzz

                bzzz

                        bzzz

                                bzzz

Le rotelle del cervello giravano, la mente non riusciva a pensare a nulla in particolare e si sforzava invano, come un uomo che, rimpinzato di sesso fino alla nausea, tenta di ritrovare interesse e concentrazione quando gli capita sottomano una ragazza da capogiro [20].

 

Ad accrescere vieppiù l’interesse di No Pockets è una raffinatissima capacità di rappresentazione di una psicologia complessa, quale quella di Mike Dolan, che, come afferma l’ottimo saggetto di Daniele Brolli, è senz’altro il più autobiografico dei personaggi di McCoy [21]: pur facendocene apprezzare le rare doti di onestà intellettuale e rispetto della deontologia professionale, McCoy non risparmia di dipingere il suo protagonista come un tombeur de femme ultraindebitato che, per avverare il sogno di creare il Cosmpolite usa i soldi estorti con un ricatto al neosuocero – un ricco senatore interessato a mettere a tacere lo scandalo del matrimonio della stupida e giovane figlia con Dolan. Dolan conosce la lealtà dell’amicizia (verso gli sfaccendati coinquilini, verso il collega Bishop), ma non il dovere (arriva in ritardo alle prove del teatro, non rispetta i patti), è generoso con le donne ma ne soffre il carattere spigoloso (Myra).

 

VI. Nel 1937 McCoy scrive un soggetto ispirato a They Shoot, ma gli studios lo rifiutano, dopo aver mostrato iniziale interesse.

L’esperienza hollywoodiana ha lasciato un duro segno sulla pelle del Nostro, che ha però nelle vene il giusto mix di rabbia, indignazione e impeto creativo per sublimarla in un altro capolavoro. Un anno dopo No Pockets esce infatti I Should Have Stayed Home. Due ragazzi di provincia, Ralph e Mona, si recano a Hollywood in cerca di fortuna, accecati dal sogno di ricchezze e fama rappresentato dalla Mecca del Cinema Mondiale. Ben presto, la loro avventura assume i contorni di una vera e propria discesa agli inferi.

 

Negli anni in cui il medium cinema stabilizza i suoi apparati, massimizzandone efficienza e redditività, Hollywood diviene il simbolo per eccellenza del Sogno Americano. Miti e riti del cinema, inseriti in un meccanismo di produzione, distribuzione e consumo a ciclo continuo, si radicano nell’immaginario popolare statunitense. Nell’arco di un trentennio il cinema è divenuto un bisogno primario della popolazione, che se ne nutre con la stessa frequenza con cui si ciba di alimenti, ma soprattutto – quel che più conta – dal Grande Schermo schiere di americani attingono stili e modi di vita, statuti di legittimazione, emozioni, sogni. Sono specialmente i giovani a pagare lo scotto di una fascinazione collettiva massiccia che, a un certo punto, fa veramente apparire possibile il concretizzarsi di qualsiasi desiderio di affermazione sociale, economica, culturale. I Should va configurandosi, così, come un compendio di sociologia hollywoodiana.

 

In un clima di generale euforia, questo romanzo fa balenare invece davanti agli occhi colmi di illusioni di migliaia di disgraziati la spietata crudeltà del mondo hollywoodiano. Con questo romanzo McCoy introduce nel noir il tema della Disillusione alimentata dal Cinema e lo fa ben 12 anni prima che Billy Wilder, nello straordinario Sunset Boulevard (Viale del tramonto, 1950), narrasse il declino di una ricca e anziana attrice del cinema muto – dietro cui si celava, in maniera angosciosa, la cessione di supremazia del cinema tout court al medium televisivo in ascesa, in un sistema delle comunicazioni che si apprestava a ripartire in maniera differente pubblici, mercati pubblicitari, interessi e influenze [22]. Parallelamente, il romanzo anticipa altre opere letterarie di sapore analogo come The Day of the Locust (Il giorno della locusta, 1939) di Nathanael West, What Makes Sammy Run? (Dove corri, Sammy? aka Cosa fa correre Sammy?, 1941) di Budd Schulberg, e The Last Tycoon (Gli ultimi fuochi, 1941) di Francis Scott Fitzgerald.

 

La base solida su cui poggia l’impalcatura del libro è la distanza tra l’America rurale (di Ralph, più che di Mona) e l’ambiente corrotto losangelino. Tra le scene meglio tratteggiate, c’è il racconto di un tipico party del sottobosco cinematografico, tra ballerine, attricette, produttori, pubblicitari, scrittori. Mentre scorrono fiumi di alcool, una ragazza fa il bagno completamente nuda in piscina; Ralph spalanca gli occhi, allibito, ma gli altri gettano solo uno sguardo indifferente:

 

E pensai ch’era una cosa stupenda; non la ragazza nuda, ma il trovarsi in una città dove nessuno badava a quello che facevano gli altri. Nella città dov’ero nato, quello che uno faceva riguardava anche gli altri, e c’era sempre qualcuno che cercava di dirvi come dovevate vivere la vostra vita [23].

 

Nelle varie tappe del calvario di Ralph, la più lunga e tormentosa è l’interessata “amicizia” di Mrs. Smithers, ricchissima ex attrice, che ha le mani in pasta nel giro che conta. Ralph, un vero concentrato di ingenuità, viene manovrato dalla maliarda che vorrebbe usarlo proprio come un oggetto sessuale. La proiezione di film porno e le perversioni sessuali (sadomasochista e ninfomane) sono tracce della corruzione morale di cui è portatrice la donna. C’è un disegno piuttosto circostanziato della trama di rapporti e relazioni tra i diversi attori in gioco, “ripresi” specialmente nello squallore del “dietro le quinte”.

I rapporti umani sono subordinati a questioni di interesse: le amicizie, i contatti, la frequentazione dei parties – tutto, insomma, si fa “nella speranza di qualche buona occasione” [24].

 

Con la prosecuzione del racconto, le due linee principali – la progressiva angosciante ricerca di Ralph e Mona di un’opportunità, il ritratto impietoso di un mondo sommerso dalle falsità – camminano parallele, imboccando sentieri via via più crudi. Le scene più toccanti sono sicuramente quelle relative al suicidio in carcere di Dorothy, un’amica di Ralph e Mona, pure lei ossessionata dalla ricerca del successo. È di rara durezza la denuncia delle false speranze alimentate dall’industria del jet-set, espressa da McCoy in felicissimo materiale narrativo: Mona, sul cadavere dell’amica, lancia delle riviste fotografiche, lo Strumento della Morte. I fogli di carta patinata e il sistema pubblicitario vengono additati, senza mezzi termini, dalla ragazza quali irresponsabili dispensatori di sogni a buon mercato, che, facendo presa sulle ingenue ragazzette di provincia, le spingono nelle grinfie di un ambiente senza scrupoli.

 

Molti anni prima che si sollevasse la questione del rispetto della privacy da parte dei paparazzi, McCoy narrava di fotografi che, senza ritegno, chiedono all’addetto dell’obitorio di poter scattare una foto della calza con cui s’impicca Dorothy.

 

Anche aspetti minori di Hollywood sono presenti, come per esempio l’ipocrisia della c.d. intellighentsia dell’epoca, che abbraccia gli ideali radicaldemocratici, socialisti o addirittura comunisti solo perché fanno comodo, senza aver il coraggio di portare avanti le loro battaglie, come denuncia un personaggio marginale:

 

Siete andati in bestia perché mi sono dimesso dall’Associazione. Ma dovete averci un bello stomaco a venirmi a parlare di unità. Mi ero fatto venire i calli sulle spalle a furia di portar bandiere per Sacco e Vanzetti, assai prima che voi arruffapopoli ci metteste le mani, senza contare tutti i picchetti di sciopero in cui mi sono ficcato. Ad Alabama, non fummo io e Bob Minor a sfuggire per miracolo alla gente che voleva linciarci, perché raccoglievamo fondi per i ragazzi di Scottsboro? Fate i comunisti solo a chiacchiere e ogni anno ve ne venite fuori con una nuova (...) Sostenete

la Lega antinazista per il semplice motivo che in questo schifo di città tutti i produttori sono ebrei, e così vi illudete che vi considerino degli eroi, solo perché siete degli ariani che combattono la loro causa. Se i produttori fossero tutti nazisti, non esitereste un minuto a organizzare un pogrom [25].

 

Fa eccezione il combattivo scrittore-pubblicitario Johnny Hill [26], che ha in odio lo strapotere delle majors, anche se finirà col mettersi con Mrs. Smithers – ma solo per sperperarne le immense ricchezze.

 

Le amarezze ingoiate a ripetizione da Ralph, cui a duro muso viene consigliato di tornarsene a casa, e Mona, alla quale viene negato anche il misero lavoro di controfigura di Laura Eubanks, stendono uno strato spesso di rassegnazione.

Il provincialismo del primo si mescola con un impacciato orgoglio nel ritratto psicologico ben definito da McCoy: Ralph scrive lettere ai suoi familiari in cui narra della sua affermazione, provando sempre più fatica nel portare avanti la menzogna. Mona, più sveglia, si incupisce quando tocca la reale impossibilità di penetrare nello star system, che rimarrà sempre una chimera. Così, tra disincanti e frustrazioni, si arriva allo splendido epilogo, nel quale per Ralph continua a luccicare fulgido il Sogno Hollywoodiano, anche ora che è svelato nella sua nuda ingannevolezza, nel marciume dei compromessi morali che chiede come prezzo da pagare per attingere le vette della gloria... Nell’altalena di sconfitte, da un lato, e brama di successo, dall’altra, è il desiderio a prevalere:

 

Da Vine Street svoltai in Hollywood Boulevard, verso occidente, dicendomi che ero pazzo a confessarmi sconfitto. Non era tutto perduto. Ed io non ero a casa, ma ero qui, invece, sul celebre boulevard, a Hollywood, nella città dei miracoli, dove oggi, forse, o tra un minuto, qualche regista, passando, avrebbe potuto scritturarmi... [27]

 

Anche l’opus n. 3 di McCoy si distingue per alcuni tratti stilistici, già emersi in precedenza, come il decoupage e la padronanza dei dialoghi. L’autore ha acquisito familiarità con le modalità della narrazione per immagini, ma la sua bravura consiste nello sperimentare tali tecniche all’interno della narrativa scritta: in tal senso, di particolare pregio ci pare l’inserzione del sogno con cui Ralph richiama alla memoria i tempi della gioventù in Gerorgia – sogno bruscamente interrotto da una testata contro la cuccetta d’acciaio nel letto a castello della cella in cui è detenuto [28]. Altrettanto sorprendente è l’uso del dialogo interiore [29].

 

VII. L’attività cinematografica si intensifica tra la fine degli anni ’30 e l’inizio dei ’40, tanto che McCoy si troverà a lavorare per

la Republic (’39),

la Paramount (’40),

la Columbia (’41),

la Warner (’42). Sebbene anche agli inizi della gavetta hollywoodiana McCoy avesse avuto l’occasione di mettere mano a progetti prestigiosi (tra gli altri King Kong, id., 1933 e The Trail of the Lonesome Pine, Il sentiero del pino solitario, 1936), ovviamente in ruoli marginali, è in questo periodo che il texano intesse una serie di relazioni che gli consentiranno di collaborare con registi del calibro di Edward Dmytryk (Television Spy, 1939), Fritz Lang (Western Union, Fred il ribelle, 1941), George Marshall (Texas, id., 1941, Valley of the Sun, La valle degli uomini solitari, 1942). Sono anni in cui il multiforme talento di McCoy trova sbocchi inattesi nella fotografia e nella pittura, mentre la vita familiare è “scossa” dalla nascita di due figli, Amanda (’40) e Peter [30] (’43). Nello stesso periodo lo scrittore inizia a scrivere recensioni di dischi jazz per il Los Angeles Daily News.

 

Ciononostante, i suoi romanzi precipitano nell’oblio, il che sarà fonte, per l’autore, di una profonda depressione e sfiducia nelle sue qualità di romanziere. Da questo stato McCoy si riprenderà grazie alla pubblicazione delle sue opere in Francia, dove verrà apprezzato da firme prestigiose del gotha intellettuale quale Albert Camus, Jean-Paul Sartre e Simone De Beauvoir. Il loro apprezzamento – condensato nella definizione di “primo esistenzialista americano”, di cui pare andasse molto fiero – si spiega con l’acume dei filosofi francesi i quali “erano inclini a scorgere quello che nessun critico americano (...) aveva riconosciuto – che McCoy è penetrato più a fondo di tutti nel cuore del romanzo hardboiled. Ha prodotto un tipo di libro tagliente, secco, arbitrario (...) avvinto così precisamente al filo del reale che esso sembra neutralizzarsi” [31] nella fiction.

 

Nel 1943, nel pieno della II Guerra Mondiale, McCoy si ritaglia uno spicchio nel cinema di propaganda americano, lavorando in tre film di quel tipo (Flight for Freedom, Aquile sul Pacifico, di Lothar Mendes, Appointment in Berlin e There's Something About a Soldier, entrambi di Alfred E. Green). Dopo una serie di progetti abortiti, McCoy sente fortissimo il richiamo del ritorno alla letteratura e si mette al lavoro per Kiss Tomorrow Goodbye, ultimato nel ’48.

 

VIII. Kiss Tomorrow... racconta la storia di Ralph Cotter, che, evaso dal carcere con l’aiuto di Holiday e Jinx, tenta di creare un racket criminale con l’aiuto di un viscido avvocato e della polizia corrotta.

Questo personaggio è una delle più straordinarie e complesse invenzioni di McCoy: Cotter è un gangster ambizioso che si vanta di aver fatto parte della prestigiosa confraternita Phi Beta Kappa, ma è anche un individuo insicuro, nevrotico, psicologicamente compromesso da inquietanti ricordi di morte. Uomo intelligentissimo, in grado di manovrare il potente capo della polizia locale, con l’aiuto di un’altra creazione memorabile – l’untuoso spregevole avvocato Keith “Cherokee” Mandon -, Cotter ha inoltre una vita sentimentale rischiosa, in bilico tra l’isterica e pericolosa Holiday, e il fascino dell’alta società, rappresentato da Margaret Dobson, la figlia di un ricchissimo imprenditore.

 

Kiss Tomorrow è una discesa vertiginosa nel cuore del noir, nel corso della quale si sondano temi come “stati di coscienza, morte, la ricerca della propria identità e, ancora una volta, la sottile linea che separa il successo dal fallimento” [32]. Proprio l’ ossessione della ricchezza e dell’affermazione sociale di Cotter rappresenta il più distinto motivo autobiografico di un McCoy deluso e sofferente per il mancato riconoscimento delle proprie virtù artistiche.

 

La grande innovazione stilistica, che segna un nuovo passo in avanti della sua prosa, sta nella scelta di narrare gli eventi secondo il punto di vista di un criminale dalla psiche sconnessa, adoperando, per di più, la prima persona. McCoy è dunque il precursore di Jim Thompson e Charles Williams, di quell’intero filone del noir che potremmo definire i racconti criminali in prima persona. Persino la denuncia della corruzione dell’intero corpo di polizia di una piccola città americana anticipa il marciume del Lou Ford di The Killer Inside Me (L’assassino che è in me, 1952).

 

C’è poi un ulteriore avvamparsi del linguaggio, che diviene diretto e infuocato ancor di più dei precedenti libri: 

 

- Oh, quanto mi dispiace, vecchio! – dissi. - Sul serio la tua agitazione mi addolora molto. Sarei stato felice di dirti quel che avevamo in mente di fare, ma c’era un piccolo particolare: non m’è passato nemmeno per l’anticamera del cervello che fossero cazzi tuoi! [33]

 

C’è da segnalare il meccanismo che sovrintende alla trama, dove le incerte e ambigue manovre di Ralph – incerte e ambigue, perché concernenti personaggi avidi e corrotti come Mandon e i poliziotti – tengono vivo il pathos della storia, che trae ulteriore tensione dai litigi violenti, isterici e costanti tra Ralph e Holiday, la cui rabbia lascia pensare, di volta in volta, a esiti disastrosi. Ma l’impatto emotivo viene mantenuto alto proprio in virtù del taglio avvincente con cui il montaggio delle scene, il decoupage per l’appunto, mette insieme eventi precipitosi e imprevedibili: ne sono perfetto esempio le memorabili pagine iniziali con le sequenze dell’evasione.

 

Più che il ritmo, comunque abilmente conservato durante più di 320 pagine, è la capacità di trovare soluzioni descrittive uniche, che, per mezzo di un’immagine-simbolo - restituisce al lettore un mix di sensazioni, emozioni, atteggiamenti. Restano particolarmente impresse due sequenze, che definiamo “scena Mandon” e “scena bolo”.

 

Quando la porta si aprì e vidi Keith Mandon (...) pensai: non può essere, questo è un simbolo grottesco che appartiene al mondo infantile che ho appena lasciato, a quel mondo infantile di fantasie libidinose e prive di vergogna che ho appena lasciato. (...) Era un omettino, alto appena un metro e mezzo, certo non di più, con un naso da mongoloide e folte sopracciglia sporgenti come antenne primordiali, così folte che ti toccava guardare due volte, e anche la seconda con molta attenzione, prima di scoprire che aveva gli occhi. Portava una pesante vestaglia di cotone lunga quasi fino a terra, e un paio di zoccoli di legno, di quelli che puoi usare nello spogliatoio di una palestra [34].

 

Traducendo tramite l’aspetto fisico repellente la turpitudine di Mandon, McCoy compie un’operazione simile a quella realizzata qualche pagina dopo, quando, isolando l’immagine disgustosa del bolo in bocca a un poliziotto, la usa come metafora di un abbrutimento dell’intero corpo di polizia:

 

Quando qualcosa mi sfiorò la nuca girai la testa. Alle mie spalle c’era un tipo dai capelli bianchi in maniche di camicia, gli avambracci coperti da proteggimanica di seta nera, che mi faceva l’occhiolino e mi diceva a gesti di star zitto. Stava cercando di raggiungere Mandon passandomi il braccio dietro il collo, e intanto addentava gli ultimi bocconi  del suo pranzo, la bocca spalancata a ogni morso. Riuscivo a vedere la lingua che impastava la poltiglia in bolo zuppo di saliva. E intanto pensavo, prendi nota, annota tutto e segnatelo con un asterisco per essere sicuro di non scordare niente, perché uno di questi giorni mi porto questa carogna, questo figlio di troia, questo zotico in un angoletto sicuro dove nessun altro possa sentire un colpo di pistola... Il distintivo che aveva attaccato alla camicia nera non era d’argento come tutti gli altri distintivi all’interno della tavola calda, era d’oro,e capii che quello non era un poliziotto come tutti gli altri.  

(...)

I quattro rimasero semplicemente seduti a parlare e masticavano e bevevano, e mentalmente vedevo in ogni bocca quello che avevo vista nella bocca del secondino, un bolo orrendo; quei porci, quei rifiuti umani, e io non riuscivo a finire il panino. Mi girai per metà verso la parete in modo da non vedere quella scena, pensando quanto sarebbe stato simpatico imbottire di tritolo le pareti e il pavimento di quel posto e a mezzogiorno farlo saltare. Che beneficio immenso sarebbe stato per la comunità... [35]

 

Ci sono almeno da segnalare altre due “chicche”: la prima è una simpatica autocitazione per bocca di Holiday, attraverso la quale McCoy evoca i suoi trascorsi:

 

- Com’è che sei finito nel Texas?

- Mi sono innamorata di un giornalista sportivo. Sono andata laggiù per sposarmi con lui.

- Non sapevo che fossi sposata.

- Infatti non lo sono. Tra il lavoro e le scopate con tutte le donne della città, quello non ha mai trovato il tempo per sposarmi. Mi usava solo come spalla su cui piangere. Un tipo buffo, ma... meraviglioso. Un genio.

- Che ne è stato?

- Credo sia andato a Hollywood. Fa la comparsa nei film o qualcosa del genere [36].

 

La seconda è la vera e propria seduta di (auto)psicanalisi di Cotter, tramite la quale accediamo ai fantasmi inquietanti del suo inconscio. Ma, ovviamente, non possiamo togliere il gusto della prima volte al lettore che voglia avventurarsi in quelle bellissime righe fatte di morte, peccati e sensi di colpa [37].

Diciamo solo che la ciliegina sulla torta sono i riferimenti che questo delinquente filosofo e psichiatra fa alla mitologia greca...

 

Non si può, d’altronde, finire di parlare di Kiss Tomorrow senza tornare, ancora una volta, su Ralph Cotter, alias Paul Murphy. Una figura davvero unica, questo criminale dall’ego smisurato, con prerogative e aspirazioni non indifferenti:

 

- Sei solo un coglione...

- Si ma un coglione con certe prerogative (...) Che ha fatto parte di una confraternita come la Phi Beta Kappa, e ha una laurea e una collezioni di psicosi da far invidia al dottor Lombroso, e una passione per i piccoli lussi della vita, tipo le cravatte Charvet e le camicie Brooks Brothers e le scarpe Peal... [38]

 

Un uomo affetto da turbe angoscianti, un megalomane, illuso e testardo, ma anche un coraggioso in grado di rifiutare il danaro offertogli da Dobson per porre rimedio all’affrettato matrimonio di sua figlia e di parlare senza peli sulla lingua al capo della polizia:

 

- Io, un coglione che si è montato la testa! Ma lei non vuole proprio imparare? È stato questo il suo primo errore, pensare che fossi un coglione. È così che si è fatto incastrare. Non sono un dilettante che s’immischia con la mala per amore del brivido. Sono un professionista come lei. Cosa vuole che significhino per me quei quattro idioti? Non me ne frega niente di loro, come lei non ci pensa due volte a ripulire un individuo e poi a sparargli nella schiena per impedirgli di cantare [39].

 

Come se non bastasse, ad attestare la straordinaria qualità stilistica di questo libro c’è il tocco finale, che rende Kiss Tomorrow una sorta di Sunset Boulevard ante litteram – ma, anche qui, non si può andare oltre.

 

IX. Nel 1948, in seguito all’uscita del suo quarto romanzo, McCoy subisce il primo attacco di cuore. Dopo gli infruttuosi tentativi con They Shoot Horses, Don' t They?, Kiss Tomorrow Goodbye è il primo romanzo a interessare seriamente Hollywood: i diritti vengono acquistati da William Cagney, fratello del grandissimo attore James (volto cult di tanti gangster film), che infatti sarà il protagonista di Kiss Tomorrow Goodbye (Non ci sarà domani, Gordon Douglas, 1950). L’esito è tuttavia una pellicola senza infamia e senza lode, piuttosto fedelmente sceneggiata da Harry Brown, ma lontana dallo spirito sovversivo degli antieroi di McCoy. Resta pur sempre il primo film tratto da un suo romanzo.

 

Il 1952 è un altro anno in cui escono moltissimi lavori in cui ha messo lo zampino e che gli consentono di conoscere illustri directors, del livello di Budd Boetticher (Bronco Buster, id.), Raoul Walsh (The World in His Arms, Il mondo nelle mie braccia), Nick Ray – dal quale rimarrà profondamente deluso (The Lusty Men, Il temerario), Allan Dwan (Montana Belle, La regina dei desperados). Ma già agli inizi degli anni ’50 la sua salute va rapidamente degenerando e, a malincuore, McCoy si è rassegnato a restare a Hollywood a vita, in un mondo che non ha mai accettato completamente e da cui non è stato mai realmente compreso. Se infatti gli ha consentito di lavorare e guadagnare con continuità, ha oscurato e mortificato il suo principale sogno – diventare uno scrittore di successo.

 

Tra il ’52 e il ‘53 vedono la luce anche i suoi ultimi scritti.

 

Nel 1952 scrive Scalpel, un racconto di argomento medico, vagamente ispirato a The Citadel (La cittadella, 1937) di A.J. Cronin.

Scalpel (Le stelle negli occhi) è stato l’unico bestseller di McCoy, il suo libro più lungo e confuso, ma anche, a parere del biografo ufficiale Thomas Sturak, “un compendio virtuale di tutti gli argomenti che lo ossessionavano” [40]. Il suo successo, secondo Koontz, è dovuto “meno a un tardivo riconoscimento del suo talento che alla brama del pubblico per film con soggetti medici” [41]. Nel 1953 Hal Wallis, cui erano stati ceduti i diritti di sfruttamento dell’opera, da Scalpel ricavò un brutto film, cui McCoy purtroppo collaborò in veste di sceneggiatore, insieme a Irving Wallace: si tratta di Bad for Each Other (Lontano dalle stelle, Irving Rapper). 

 

Tra il 1949 e il 1950, McCoy scrive un soggetto criminale, This Is Dynamite. Secondo Koontz, egli attinse a precedenti esperienze. Nel ‘38, infatti, aveva lavorato, con William A. Lipman, alla riduzione cinematografica di una parte di Persons in Hiding, libro dedicato al crimine e scritto, sotto pseudonimo, da J. Edgar Hoover, il potentissimo politico che guidò l’FBI dal 1924 al 1972 (anno della sua morte). Il frammento adattato narrava la storia di Alvin Karpis e Dolores Delaney, una sorta di precursori di Bonnie & Clyde (la cui avventura criminale sarà splendidamente messa in immagini in Bonnie & Clyde, Gangster Story, A. Penn, 1967), e uscì nelle sale con il medesimo titolo, Persons in Hiding (Louis King, 1938). La collaborazione con Lipman proseguì quando si decise di produrre un sequel, intitolato Queen of the Mob (James P. Hogan, 1940), tratto stavolta dai capitoli di Persons in Hiding dedicati a Ma Barker (che fu trasformata in leggenda nel magnifico Bloody Mama, Il clan dei Barker, Roger Corman, 1970). Nello stesso anno fu realizzato un terzo film da Persons in Hiding, ancora col marchio Lipman-McCoy, Parole Fixer (Robert Florey, 1940), che mostra come “la gente con i giusti agganci politici può far uscire chiunque dalla prigione” [42]. Nel suo libro, Hoover, per “enfatizzare la grandezza del crimine, ipotizzò una città interamente pervasa da elementi criminali” [43], idea che McCoy prese in prestito per la stesura di This Is Dynamite. Il soggetto fu venduto alla Paramount, dopodichè il texano se ne disinteressò completamente. La storia fu sottoposta a varie revisioni e la definitiva porta la firma di Warren Duff [44] trasposta in film da William Dieterle in The Turning Point (Furore sulla città).

 

Nel 1953 il soggetto viene pubblicato come romanzo con il titolo Pertes et Fracas, nella francese Serie Noire dell’editore Gallimard, ma non negli States perché McCoy si rifiuta di apportarvi una serie di tagli chiesti dall’editore americano. In America verrà ripubblicato dalla Dell solo nel 1959, direttamente in paperback, stavolta intitolato Corruption City (il titolo italiano è Questa è dinamite).

 

Purtroppo non siamo stati in grado di reperire copie né di Scalpel, né di Corruption City/ Pertes et Fracas; ci è impossibile condurre pertanto un’analisi più approfondita.

 

La qualità dei lavori del nostro stava in quegli anni decisamente peggiorando, come del resto il suo stato di salute. Nel ’53 soffre un secondo attacco di cuore. Nondimeno, nel biennio ’54-’55, escono ben quattro pellicole da sue sceneggiature, per una delle quali (Dangerous Mission, Agente federale X3, Louis King, 1954) l’amico W. J. Burnett, invitato a darvi uno sguardo, espresse il laconico parere: “Doveva essere ubriaco quando ha scritto queste cose”.

 

X. Prima di morire, il geniale texano, minato nel fisico, aveva ciononostante trovato le energie per elaborare progetti ambiziosi: aveva nel cassetto i romanzi, mai finiti, The Alligator Horse e The Hard Rock Man, ma soprattutto stava scrivendo il primo film che avrebbe dovuto dirigere, Night Cry.

Per finanziarlo non lesinò sforzi economici: d’altronde non era mai stato troppo legato al danaro, tanto che la moglie, dopo la sua morte, dovette venderne alcuni beni per saldare debiti con vari creditori.

 

Era un viveur, dalle mille forze, che non si arrese mai di fronte alle difficoltà della vita. Scriveva, praticava sport, era un ex eroe di guerra; aveva fatto il buttafuori, il tassista. E dipingeva, fotografava, lavorava per il cinema. Insomma, anche la sua biografia, se solo fosse stata annusata da qualcuno, avrebbe lo stesso sapore leggendario di quelle di un Hammett o di un Hemingway. Ma era soprattutto un grandissimo talento della narrativa americana, Horace Stanley McCoy, che anticipava i nodi vitali di quel genere noir che, nel corso del secondo Novecento e nella sua doppia formulazione cinematografica e letteraria, sarebbe diventato una delle più efficaci lenti di analisi dell’America.

 

Purtroppo, in sede critica, l’etichetta hardboiled, appiccicata a bella posta ai suoi lavori, è servita solamente a limitare, restringere e banalizzare il paradigma ermeneutico con il quale affrontare i tanti temi posti da McCoy. Come ha notato Koontz, “nel soffermarsi sulle qualità noir e realiste della sua opera, i critici non hanno sufficientemente apprezzato la sua forma sperimentale” [45].

 

Il paragone con Cain o l’assimilazione generica all’hardboiled school hanno oscurato negli anni le migliori caratteristiche letterarie del nostro: un’insaziabile volontà di perfezionare i propri strumenti discorsivi, la sovversione delle strutture narrative, la capacità di imprimere un ritmo calibrato e fluido al racconto, una genuina cura dei dialoghi espansi al massimo grado della verosimiglianza.

 

Nel cinquantenario della sua morte, che cade proprio oggi, non si registra ahinoi alcuna impresa di ripubblicazione dei suoi titoli. A mo’ di omaggio tardivo, questa breve monografia vuole risarcire questo eccellente fabbricatore di incubi americani di un’ingiusta disparità di attenzioni. Se Hammett, Chandler, Woolrich, Thompson, Goodis e ultimamente Ellroy e Leonard, hanno goduto, per fortuna, di adeguati spazi su riviste e giornali, a McCoy è toccato in sorte un infausto oblio. Speriamo che anche autorevoli studiosi vogliano proseguire su questa linea, scrivendo di McCoy in questa importante ricorrenza.

 

È ora di rimettersi a leggeri i suoi libri, insomma. In un’ideale storia del noir americano, il suo posto sarebbe in prima fila.

 

NOTA BIBLIOGRAFICA

 

Anno - Titolo - Edizione italiana - Editore - Traduttore

 

1935 - They Shoot Horses, Don' t They? (Simon and Schuster) - 1956 Ai cavalli si spara in Le luci di Hollywood "I coralli" Einaudi - 1962 Idem "I libri del pavone" Arnoldo Mondadori Editore - trad. M. G. [46]

 

1937 - No Pockets In a Shroud - (GB: Arthur Barker; USA: Signet paperback) - 1953 Il sudario non ha tasche "Serie Gialla" Garzanti

- 1975 Il sudario non ha tasche in Un bacio e addio, Il sudario non ha tasche, Questa è Dynamite "I gialli celebri" Club degli Editori 

Enrico Hirschorn - 1994 Il sudario non ha tasche "Bompiani noir" [47] - 1995 Idem "Biblioteca del brivido" Fabbri - 1996 Idem "I Grandi Tascabili – Gli Squali" Bompiani trad. Roberto Santachiara e Massimo Bocchioli

 

1938 - I Should Have Stayed Home - (Alfred A. Knopf) - 1956 Avrei dovuto restare a casa in Le luci di Hollywood "I coralli" Einaudi - 1962  Idem "I libri del pavone" Arnoldo Mondadori Editore - 1994 Avrei dovuto restare a casa "Nugae" il melangolo trad. Giovanni Galtieri

 

1948 - Kiss Tomorrow Goodbye - (Random House) - 1953 Un bacio e addio "Serie Gialla Garzanti" - 1975 Un bacio e addio in Un bacio e addio, Il sudario non ha tasche, Questa è Dynamite "I gialli celebri" Club degli Editori  trad. Lucia Pigni Maccia - 1997 Un bacio e addio [48] "Einaudi Tascabili Vertigo" trad. Giancarlo Carlotti

 

1952 - Scalpel  (Signet) - 1955 Le stelle negli occhi Cino Del Duca - 1961 Idem Cino Del Duca trad. Franco Salerno

 

1953 - Pertes et Fracas (Francia: Serie Noire Gallimard) - 1959 aka Corruption City (USA: Dell paperback) - 1975 Questa è dinamite in Un bacio e addio, Il sudario non ha tasche, Questa è dinamite "I gialli celebri" Club degli Editori trad. Marise Ferro

 

Non siamo stati in grado di trovare una bibliografia completa dei racconti di Horace McCoy. Abbiamo provato a fornire il massimo numero di indicazioni possibile, attingendo al materiale disponibile sul web. Si rinvia, pertanto, ai saggi citati di Marling e Koontz.  (Si ringrazia Luca Conti per la collaborazione alla redazione di questa nota)

 

MCCOY E IL CINEMA 

 

Anno - Film - Titolo italiano - Regia - Contributo

1932 - The Hollywood Handicap - Charles Lamont - Attore

1933 - King Kong - King Kong - Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack - Script Assistant (non accreditato)

1933 - Soldiers of the Storm - David Ross Lederman - Sceneggiatore

1933 - Dangerous Crossroads  - Lambert Hillyer - Soggettista

1933 - Her Resale Value - B. Reeves Eason - Soggettista

1933 - Fury of the Jungle aka Jury of the Jungle - Roy William Neill - Soggettista

1933 - Hold the Press - Phil Rosen - Soggettista e sceneggiatore

1934 - Speed Wings - Otto Brower - Soggettista e sceneggiatore

1936 - The Trail of the Lonesome Pine - Il sentiero del pino solitario - Henry Hathaway - Adattamento dal romanzo di John Fox Jr.

1936 - Fatal Lady - La donna fatale - Edward Ludwig - Sceneggiatore

1936 - Parole - Lew Landers - Sceneggiatore

1936 - Postal Inspector - Otto Brower - Soggettista e sceneggiatore

1938 - Dangerous to Know - Robert Florey - Sceneggiatore

1938 - King of the Newsboys - Bernard Vorhaus - Soggettista

1938 - Hunted Men aka Crime Gives Orders - Louis King - Sceneggiatore

1938 - Prison Farm - Louis King - Script Assistant (non accreditato)

1939 - Island of Lost Men - Kurt Neumann - Sceneggiatore

1939 - Persons in Hiding - Louis King - Adattamento dal libro Persons in Hiding di Edgar J. Hoover

1939 - Undercover Doctor - Louis King - Sceneggiatore

1939 - Television Spy - Edward Dmytryk - Sceneggiatore

1940 - Women Without Names - Robert Florey - Sceneggiatore

1940 - Parole Fixer - Robert Florey - Adattamento dal libro Persons in Hiding di Edgar J. Hoover

1940 - Queen of the Mob - James P. Hogan - Adattamento dal libro Persons in Hiding di Edgar J. Hoover

1940 - The Texas Rangers Ride Again - James P. Hogan - Sceneggiatore

1941 - Western Union - Fred il ribelle - Fritz Lang - Assistente ai dialoghi (non accreditato)

1941 - Wild Geese Calling - Il richiamo del nord - John Brahm - Adattamento dal romanzo di Stewart Edward White

1941 - Texas - Texas - George Marshall - Sceneggiatore

1942 - Valley of the SunLa Valle degli uomini rossi - George Marshall - Sceneggiatore

1943 - Flight for FreedomAquile sul Pacifico - Lothar Mendes - Soggettista

1943 - Appointment in Berlin - Alfred E. Green - Sceneggiatore

1943 - There's Something About a Soldier - Alfred E. Green - Sceneggiatore

1947 - The Fabulous Texan aka The Texas Uprising - Texas selvaggio - Edward Ludwig - Sceneggiatore

1950 - Kiss Tomorrow Goodbye - Non ci sarà domani - Gordon Douglas - Autore del romanzo Kiss Tomorrow Goodbye 

1950 - The Fireball aka The Challenge - Lo spaccone vagabondo - Tay Garnett - Sceneggiatore

1952 - Bronco Buster - Bronco Buster - Budd Boetticher - Sceneggiatore

1952 - The World in His Arms - Il mondo nelle mie braccia - Raoul Walsh -

Assistente ai dialoghi

1952 - The Lusty Men - Il temerario - Nicholas Ray - Sceneggiatore

1952 - Montana Belle - La regina dei desperados - Allan Dwan - Sceneggiatore

1952 - The Turning Point - Furore sulla città - William Dieterle - Autore del soggetto pubblicato in forma di romanzo This Is Dynamite (1952) (ripubblicato con il titolo Corruption City, 1959)

1953 - El Alaméin aka Desert Patrol - Mare di sabbia - Fred F. Sears - Sceneggiatore

1953 - Bad for Each Other - Lontano dalle stelle - Irving Rapper - Autore del romanzo Scalpel, soggettista e sceneggiatore

1954 - Destinées aka Daughters of Destiny aka Love, Soldiers and Women - Destini di donne - Christian-Jaque (episodio Lysistrata), Jean Delannoy (episodio Jeanne), Marcello Pagliero (episodio Elisabeth) - Sceneggiatore

1954 - Dangerous Mission aka Rangers of the North - Agente federale X3 - Louis King - Soggettista e sceneggiatore

1955 - Rage at Dawn - L’agente speciale Pinkerton - Tim Whelan - Sceneggiatore

1955 - The Road to Denver - Sangue di Caino - Joseph Kane - Sceneggiatore

1955 - Texas Lady - I dominatori di Fort Ralston - Tim Whelan - Soggettista e sceneggiatore

1969 - They Shoot Horses, Don't They? - Non si uccidono così anche i cavalli? - Sydney Pollack - Autore del romanzo They Shoot Horses, Don't They?

1974 - Un linceul n'a pas de poches - Un lenzuolo non ha tasche - Jean-Pierre Mocky - Autore del romanzo No Pockets In a Shroud

 

Progetti non realizzati rimasero i soggetti Prince of Rhythm (1935), Life Is a Marathon (1937), primo tentativo di adattamento di They Shoot Horses, Don't They?, Bimini Run (1954). L’ ultimo progetto su cui lavorò McCoy. è Night Cry (1955), che nelle intenzioni sarebbe dovuta essere anche la sua prima regia cinematografica.

 

[1] Su quanto ridicole suonino questa categoria rinviamo al brillante V. EVANGELISTI, Introduzione: periferie pericolose, in ID., Sotto gli occhi di tutti, Napoli, L’ancora del mediterraneo, 2004, pp. 5-14.

[2] D. HAMMETT, Romanzi e racconti, a cura di F. Morganti, Milano, I Meridiani, Mondadori, 2004. Segnaliamo anche la recentissima biografia di D. GALLO, Il mistero Dashiell Hammett, Roma, e/o, 2005.

[3] R. CHANDLER, Romanzi e racconti. Vol. 1: 1933-1942, a cura di S. Tani, Milano, I Meridiani Mondadori, 2005.

[4] G. FERRONI, Caro Sanguineti, cosa c'entra Gramsci con il bestseller?, "Corriere della Sera", 5/2/2005, p. 31.

[5] G. PETRONIO, Quel pasticciaccio brutto del romanzo poliziesco, "Problemi", n. 60/1981, pp. 15-31, anche in R. CREMANTE, L. RAMBELLI (a cura di), La trama del delitto, Parma, Pratiche, 1990, pp. 227-242.

[6] Le fonti sono discordi: c’è chi parla del 5 dicembre, come Woody Haut, e chi del 16, come Internet Movie Data Base, nella pagina dedicata a McCoy.

[7] Le notizie biobibliografiche sono attinte da W. HAUT, Outside Straight, Inside Flush. Horace McCoy and W. R. Burnett, in ID., Heartbreak and Vine. The Fate of Hardboiled Writers In Hollywood, London, Serpent’s Tail, 2002, pp. 43-57, e da due bei saggi on line: J. KOONTZ, Horace Stanley McCoy, www.litencyc.com/php/speople.php?rec=true&UID=5141 e P. BENNETT, McCoy, Horace Stanley, www.tsha.utexas.edu/handbook/online/articles/view/MM/fmcbc.html. Di utilissima consultazione anche M. R. WINCHELL, Horace McCoy, in AA. VV., Dictionary of Literary Biography, Vol. 9., Boise, Boise State University, 1982. 

[8] È curioso notare come anche un altro scrittore di crime fiction, Raoul Whitfield, sia stato un aviatore durante la Grande Guerra.

[9] Si tratta di Brass Buttons (1927), The Man Who Wanted to Win (1927) - apparsi  sull’Holland's Magazine - e The Sky Horse (1930) – edito dalla Southwest Review. Elementi di quest’ultimo racconto confluiranno in  Bronco Buster (1952) e The Lusty Men (1952), due rodeo western co-sceneggiati dall’autore (Cfr. J. KOONTZ, op. cit.). Altre riviste cui McCoy collaborò sono Detective Dragnet, Detective Action Stories, Battle Aces e Western Trail.

[10] Haut propende per un’altra cronologia: 1927-1934 (cfr. W. HAUT, op. cit., p. 44 e p. 52), sostenendo, tra l’altro, che il nostro avrebbe stoppato l’attività letteraria nel 1932, quando ottenne il primo incarico di junior writer presso la RKO, e che l’ultima storia pubblicata su Black Mask sarebbe Kiss Tomorrow Goodbye (1934), nucleo dell’omonimo romanzo.

[11] Sono scampate a questo destino The Devil Man (recuperata in un’antologia curata da Hilton Ross Greer), The Mopper-Up (in Bill Pronzini (a cura di), Treasury of Detective and Pulp Stories From the Great Pulps,

New York, Arbor House, 1983). Frost Flies Alone (in William F. Nolan (a cura di), The Black Mask Boys: Masters in the Hard-Boiled School of Detective Fiction, London, William Morrow & Co, 1985).

[12] Si ha notizia di un suo provino, fallito, con Walter Huston per

la MGM e della piccola parte nel corto comico-musicale The Hollywood Handicap (Charles Lamont, 1932).

[13] Per l’elenco completo, si veda lo special allegato a questo saggio.

[14] W. HAUT, op. cit., p. 47.

[15] H. MCCOY, No Pockets in a Shroud, 1937, tr. it., di M. Bocchiola e R. Santachiara, Il sudario non ha tasche, Milano, Bompiani, 1994, pp. 26-27.

[16] Ivi, p. 60.

[17] Effettivamente molti crime writers aderirono, in maniera più o meno convinta, a partiti o associazioni socialiste e comuniste: Hammett, Fisher, Goodis, Thompson, Homes,  probabilmente lo stesso McCoy e molti altri.

[18] H. MCCOY, Il sudario..., cit., p. 108.

[19] Cfr. Ivi, p. 54, 135, 149, 183, 216.

[20] Ivi, p. 99.

[21] D. BROLLI, Strade buie e vicoli ciechi, in H. MCCOY, Un bacio e addio, Torino, Einaudi, 1997, p. 335.

[22] Cfr. G. FREZZA, Il cinema nel sistema dei media, in AA.VV., Atti del Convegno “Cinema 2001. E dopo l’Odissea? Viaggio nel filmico contemporaneo tra postmodern e postmortem” (Napoli, 17-22/12/2001), "QM – Quaderni della Mediateca S. Sofia", n. 1, marzo 2002.

[23] H. MCCOY, I Should Have Stayed Home, 1938, tr. it., di Giovanni Galtieri, Avrei dovuto restare a casa, Genova, il melangolo, pp. 35-36.

[24] Ivi, p. 30.

[25] Ivi, pp. 39-40.

[26] Haut ritiene che questo personaggio sia il doppelganger di McCoy, poiché, come lui, ha intenzione di scrivere un romanzo sul lato nascosto di Hollywood, quello degli extras, dei budding writers e delle comparse.

[27] H. MCCOY, Avrei dovuto..., cit., p. 255.

[28] Ivi, pp. 148-150.

[29] Ivi, pp. 166-167.

[30] Peter McCoy diventerà responsabile dell’ufficio stampa di Nancy Reagan, moglie del presidente degli USA Ronald Reagan.

[31] G. O’BRIEN, Hardboiled America. The Lurid Years of Paperbacks,

New York, Van Nostrand Reinhold, 1981.

[32] W. HAUT, op. cit., p. 52.

[33] H. MCCOY, Kiss Tomorrow Goodbye, 1948, tr. it., di Giancarlo Carlotti, Un bacio e addio, cit., p. 50.

[34] Ivi, p. 111.

[35] Ivi, pp. 160-162.

[36] Ivi, pp. 242-243.

[37] Cfr. Ivi, pp. 321-322.

[38] Ivi, p. 66.

[39] Ivi, p. 236.

[40] Cit. in J. KOONTZ, op. cit.

[41] Ibidem.

[42] Cfr. online.tvguide.com/movies/database/showmovie.asp?MI=10213.

[43] J. KOONTZ, op. cit..

[44] Per l’esattezza la sceneggiatura del film The Turning Point, intitolata provvisoriamente This Is Dynamite e scritta da Warren Duff, è datata 2 giugno 1951 (e rivista il 20 agosto dello stesso anno) e riporta: "Based on an unpublished story by Horace McCoy" (ringrazio ancora Luca Conti per questa informazione).

[45] J. KOONTZ, op. cit..

[46] Luca Conti ipotizza che M. G. stia per Monicelli Giorgio, scrittore e traduttore italiano.

[47] Collana curata dall’esperto di cultura popolare americana Daniele Brolli.

[48] Questa edizione contiene la postfazione Strade buie e vicoli ciechi di Daniele Brolli e una Nota biografica. L’innovativa collana "Einaudi Tascabili Vertigo" annoverava tra le sue pubblicazioni Cronache del dopobomba di Philip Dick e La notte del drive-in di Joe R. Lansdale.