Postfazione al romanzo Massacro per un presidente di Diego Zandel (Edit, 2013) pag 178 - ISBN 9788889359464

Per tutta la durata della “stagione delle stragi” (da Piazza Fontana ai primi anni Ottanta), quando il terrorismo rosso e nero imperversava nelle nostre strade e in molti temevamo per la tenuta della nostra democrazia, letterati e cineasti italiani hanno osservato un composto, e alquanto singolare, silenzio. Pasolini esce di scena nel 1975, vittima di mani solo in parte note, mentre è impegnato a dare corpo letterario all'appassionato discorso civile degli Scritti Corsari: “Petrolio” doveva essere il romanzo dei grandi scandali, del cancro corrosivo della prima Repubblica, della corruzione e delle bombe. Uscì postumo, e dunque innocuo, nel 1992: quando i tempi erano profondamente mutati e si aveva tutti una gran voglia di lasciarsi alle spalle un periodo cupo. Anche perché nuove cupezze incombevano: ma forse è destino di chi si trova al centro della tempesta quello di non rendersi conto della sua estensione e portata. E forse è proprio è ciò che è accaduto sul versante della finzione: la violenza che si respirava era, forse e ancora forse, troppo immanente e reale per poterne trarre materiale narrativo. Perciò, tranne lodevoli eccezioni, come “Caro Michele” di Natalia Ginzburg, e i film di Amelio “Colpire al cuore” e Bertolucci, “La tragedia di un uomo ridicolo”, il terrorismo è stato, sino agli anni Novanta, un Grande Rimosso. Tutto ciò, ovviamente, vale per la cosiddetta “letteratura alta”: cacciato dal salotto buono dell'intellighenzia, il terrorismo rientrava dalla finestra della narrativa di genere: grazie ai romanzi di Loriano Macchiavelli (“Ombre sotto i portici”, “Le piste dell'attentato”), alla curiosa- e unica- incursione nel romanzo di due intellettuali di eterogenea provenienza come Manconi e Lombardo-Radice (“Lavoro ai fianchi”, 1980), al “Vomerese” di Attilio Veraldi, ad “Agave” del duo Felisatti-Santini. E, naturalmente, grazie a questo “Massacro per un presidente” che Diego Zandel pubblicò nel 1981 con Mondadori. Riletto dopo trent'anni, peraltro, il romanzo di Zandel colpisce non solo per il coraggio nella scelta dell'argomento (impopolare, si è già detto, e persino “maleducato” agli occhi del letterato di mestiere), ma soprattutto perché fa meritare all'autore un posto d'onore fra i precursori di quella corrente letteraria che, a partire dalla metà degli anni Novanta, avrebbe preso il nome di “noir italiano”. Sono infatti qui presenti alcuni elementi tipici che avrebbero decretato la fortuna di un genere (o sotto-genere, se si preferisce) destinato a agitare, fra mille polemiche, le acque stagnanti della letteratura nazionale. “Massacro per un presidente” racconta, come nel miglior “noir italiano”, una storia “politica”: quella di un complotto terroristico dietro il quale si agita un altro, più raffinato complotto. E' un libro che si pone quelle “domande cattive” che Carlo Lucarelli avrebbe indicato come il tratto distintivo del “noir italiano”: le domande che tollerano risposte ufficiali e quasi mai soddisfacenti e che bisogna ostinarsi a formulare se si è animati- come Diego Zandel in tutta la sua produzione- da un sincero e onesto amore per la verità. Negli anni Duemila, gli anni della consacrazione, molti steccati letterari sarebbero franati. Persino qualche critico e studioso autorevole sarebbe stato costretto a fare i conti con il “noir”. E Loriano Macchiavelli avrebbe potuto ristampare col suo nome e cognome “Strage”, romanzo-apologo sul 2 agosto 1980 a Bologna uscito, e frettolosamente ritirato dopo infinite grane legali, nel 1990 con lo pseudonimo di Jules Quicher, sedicente “esperto di sicurezza” svizzero fisicamente molto simile al Gerard Depardieu di allora. Insomma, oggi si possono leggere, e si leggono, romanzi che affrontano di petto la realtà, anche quella della violenza, del crimine, dei giochi oscuri che si giocano nella zona grigia dei poteri occulti, valutandoli e riconoscendoli per quel che sono: romanzi italiani e sull'Italia a volte decisivi per la nostra conoscenza e formazione. Ed è dunque in questo quadro di rinnovato interesse che deve collocarsi la riscoperta di “Massacro per un presidente”: un libro di robusta costruzione e forte tensione emotiva che rappresenta un punto di vista- quello complottista- non solo alquanto diffuso all'epoca, ma ancora ben presente alla mente di