Come abbiamo visto nelle precedenti puntate, durante gli anni della Seconda guerra mondiale le major hollywoodiane fanno a gara a sfornare film molto simili fra di loro: appena una trova un filone buono, le altre ne sfornano una propria versione. Dopo una storia d’assedio blanda come L’isola della paura nascono due grandi storie d’assedio: Sahara e Bataan, entrambe con forti debiti al romanzo Patrol di Philip MacDonald.

Anche la Gran Bretagna vuole partecipare al grande cinema di assedio bellico, così nel febbraio del 1943 fa uscire in patria Nine men: una pellicola che si pone esattamente a metà fra la Lost Patrol di MacDonald-Ford e il film Sahara.

            

Proprio mentre le major americane stanno lavorando ai loro rispettivi film, gli Ealing Studios di Londra sottopongono al War Office (fuso nel ’63 nel Ministero della Difesa) un progetto di film bellico, un abbozzo di sceneggiatura scritto da Gerald Kersh. Questi all’epoca è un romanziere in piena ascesa, ha già scritto quel piccolo capolavoro noir che è La notte e la città (da cui il film omonimo) e rimaneggiando il suo recente They Die with Their Boots Clean (“Muoiono con gli stivali puliti”) propone al cinema il soggetto per un film: Umpity Poo - resa vocale britannica del francese un petit peu, “un po’”. Il progetto passa e gli Ealing Studios affidano ad Harry Watt la sceneggiatura del film, ma questi proprio non riesce a tirar fuori nulla dal soggetto di Kersh e in testa continuano a ronzargli le immagini del film sovietico (ancora lui!) Trinadtsat’ di Mikhail Romm, e prende una decisione: piega la storia di Kersh per farne in pratica la versione britannica di Sangue sulla sabbia.

In Nine Men siamo sempre nella Seconda guerra mondiale, siamo sempre nel deserto del Sahara, e ci troviamo di nuovo di fronte ad una pattuglia sperduta assediata nel deserto da un nemico invisibile, anche qui nazi-fascisti. I soldati dovranno appianare le divergenze dovute a differenze sociali e religiose per fare gruppo di fronte al nemico. «Malgrado le idee di sinistra all’origine della storia - spiega S.P. Mackenzie nel suo British War Films 1939-45 (2001), - il War Office decise che quella era un’opportunità di mostrare quanto la professionalità militare trascendesse le differenze individuali e di classe. Al contrario di altre pellicole, Nine Men passò la censura senza obiezioni ed ottenne facilitazioni militari.»

Ucciso da un proiettile tedesco l’ufficiale di una pattuglia nel deserto, questa viene presa in carico dal sergente Jack Watson (Jack Lambert) e quando nel tentativo di orientarsi fra le due viene sorpresa da una tempesta di sabbia, la pattuglia si rifugia fra le rovine della tomba di uno sceicco. Tenuti sotto assedio e costantemente attaccati da perfidi soldati italiani, i variegati uomini inglesi dovranno resistere e nel frattempo appianare le proprie divergenze interne.

Girato fra le dune di Margam, nel Galles del sud, all’uscita in patria il film è acclamato dal successo di critica e pubblico, facendo passare in secondo piano un fatto più che evidente: gli sceneggiatori non sembrano volersi sforzare più di tanto.

Il film risulta inedito in Italia, e visto che i cattivi sono i perfidi italiani... c’è anche da capirlo.

              

Prima di cambiare filone dobbiamo fare un salto di dieci anni avanti, e incontrare ancora una pellicola ambientata nel sud-est asiatico, a poca distanza dalla Provincia di Bataan: arriviamo a Manila.

Attingendo alla propria esperienza militare - ma probabilmente avendo bene in mente Patrol di MacDonald - lo sceneggiatore radiofonico e drammaturgo Willis Hall debutta all’Edinburgh International Festival nell’agosto del 1957 con una pièce teatrale dal titolo The Disciplines of War. Il produttore cine-teatrale Lindsay Anderson è colpito dall’opera e nel ’59 porta il testo di Hall al Royal Court Theatre di Londra, ribattezzandolo The Long and the Short and the Tall. Non passano due anni che il successo della storia arriva al cinema con lo stesso titolo, trasformato in Italia ne La pattuglia dei 7 al suo arrivo nelle nostre sale nel novembre ’62.

Il titolo originale si deve alle parole di una canzone militare del 1917 (secondo l’Oxford Dictionary of Quotations invece è del 1940), Bless ’em All. «Benediteli tutti i sergenti, il lungo e il corto e l’alto».

            

La storia si svolge nella Malesia britannica agli inizi del 1942, quando si è vicini alla conclusione di quella battaglia che vedrà l’esercito giapponese impadronirsi del Paese. Una pattuglia di soldati sta sistemando nella giungla i cavi necessari all’armamentario sonico ed ultrasonico quando è colta da un forte acquazzone e si va a rifugiare in una miniera di stagno abbandonata. (I più attenti ricorderanno che in uno dei primi remake della Lost Patrol, il western Bad Lands, i protagonisti riparavano in una miniera d’argento.) Il malfunzionamento della radio rende la pattuglia isolata, e proprio mentre gli uomini stanno decidendo il da farsi scoprono un soldato giapponese che li spia. Lo catturano e il destino del soldato nemico è un ulteriore motivo di attrito nella pattuglia, mentre la presenza invisibile dell’esercito nipponico si fa sempre più pressante e opprimente.

La trama è leggermente diversa ma alcuni elementi base sono identici: una pattuglia di uomini di diversa provenienza si trova costretta in un ambiente angusto, con un nemico invisibile che li circonda. I principali attriti anche qui non nascono tanto dal nemico, cioè dall’esterno, ma dall’interno della pattuglia, dove differenze fra cultura, estrazione e religione si fanno sempre più pressanti ed esplosive. (Inoltre nella pièce teatrale si fa anche riferimento al tema dell’omosessualità, fatto però sparire dalla sceneggiatura del film.)

Proprio come in Bataan l’ondeggiare delle dune sabbiose è sostituito dall’opprimente giungla che impedisce di vedere a un palmo dal naso. (Una manna per la produzione, che così non ha dovuto spendere molto in scenografie!) e fino alla fine il tanto temuto esercito giapponese rimane più un’idea ossessiva che un pericolo concreto e imminente.

         

Abbiamo incontrato la cinematografia statunitense, sovietica e britannica... e l’Italia? Anche noi abbiamo partecipato al grande cinema d’assedio, ma lo vedremo nella prossima puntata.