Il precedente romanzo di Cristiana Astori, Tutto quel nero, è stato il Giallo Mondadori più venduto del 2011: in questa fine del 2012 l’autrice torinese torna a conquistare il cuore dei suoi lettori con un’altra storia del suo personaggio Susanna Marino, la protagonista più improbabile di una storia gialla e per questo più convincente.

Mentre arriva in questi giorni nelle edicole Tutto quel rosso (Il Giallo Mondadori n. 3071), abbiamo incontrato l’autrice per farci raccontare questa sua nuova esperienza.

           

“Tutto quel rosso” ha un timbro narrativo diverso dal precedente “Tutto quel nero”: è un cambiamento personale oppure un tiro mancino ai tuoi lettori, per spiazzare cioè quelli che davano per scontato il tuo stile?

Dietro al cambiamento nel mio modo di narrare c’è una precisa scelta stilistica, un tentativo di adeguarsi alla materia trattata. Il primo romanzo parla di nero e di fantasmi e andava raccontato con uno stile evocativo, gotico, denso di sottintesi ed insinuazioni, come lo sono gli spettri che si insinuano nelle crepe del nostro buon senso. Ora invece racconto il rosso che è la passione ed è il diavolo, è vita pulsante, ma anche spargimento di sangue, azione, violenza, e per questo necessita di un registro diverso, non più contorto e accennato, ma più semplice e diretto, quasi aggressivo. Senza contare che il tipo di cinema a cui mi ispiro è differente, dalla sinuosa lentezza dei film di Jess Franco alla violenza dei thriller di Dario Argento: l’idea è quella di raccontare una storia che si legga tutta di un fiato, come una cruenta sinfonia d’orrore.

            

Una delle differenze più evidenti è l’azione. La povera Susanna in questa seconda avventura rimane invischiata in situazioni davvero impegnative (e stressanti) a livello fisico. Volevi sorprendere i tuoi lettori o senti nascere in te anche una vena da “action writer”?

Cristiana Astori a GialloLatino 2012
Cristiana Astori a GialloLatino 2012
Apprezzo il giallo classico all’inglese e l’ho letto per anni, ma nella scrittura mi piace sperimentare: se Tutto quel nero è contaminato con l’horror, Tutto quel rosso prende a prestito situazioni dal thriller e dall’action. Il rosso come dicevo simboleggia anche l’azione, quindi non ho potuto esimermi dal coinvolgere Susanna in situazioni rischiose e adrenaliniche. Mi sono divertita a scriverle e non escludo che ne inserirò altre in romanzi successivi, ma sempre affiancandovi una componente psicologica e introspettiva. In ogni caso non mi sento portata per l’azione classica in cui un eroe forte e armato sgomina i nemici in un soffio... mi intriga invece raccontare di una studentessa fragile e insicura che si caccia nei guai ma non sa neanche usare la pistola.

            

Del tuo rapporto con il cinema di Dario Argento te l’avranno chiesto in mille e in mille te lo chiederanno ancora. Affrontiamo la cosa da un altro punto di vista: sei anche tu, come la tua Susanna, appassionata delle location scelte da Argento per i suoi film?

Sì, qualche anno fa ho avuto la possibilità di conoscere tali location grazie a un esperto che ora organizza i tour argentiani in giro per Torino e ne sono rimasta affascinata... quei luoghi emanano un forte potere evocativo, sono come stregati, e non potevo esimermi dal raccontarli in un libro. Inoltre la passione per i luoghi insoliti fa un po’ parte del mio carattere... per intenderci, sono una di quelle che va a Parigi e anziché fotografare la Torre Eiffel corre subito al Sacre Coeur a cercare i giardini di Amelie, o che sogna di andare a Portmeiron per visitare il villaggio del Prigioniero.

            

Susanna Marino ha appesa alla parete della sua camera la locandina di “Vampires”, il mitico film di John Carpenter. Quanto ha significato per te l’opera di Carpenter e soprattutto... quanti poster di locandine di film hai in casa?

Indubbiamente John Carpenter è un regista cui devo molto e che ho amato fin da ragazzina. Ammiro il suo tono epico e insieme strafottente che trasforma ogni sua storia in un western sanguigno e iconoclasta, e adoro le sue musiche... le ascolto spesso quando scrivo. Quante locandine ho in casa? Ehm... ne posso citare alcune: Licenza di uccidere, Le iene e Nosferatu in salotto, Easy rider, Il diavolo viene da Akasawa ed Ed Wood nell’ingresso, Kill Bill nello studio, Fino all’ultimo respiro in camera da letto, La notte dei morti viventi, L’invasione degli ultracorpi, Miriam si sveglia a mezzanotte e Mars Attacks! nel bagno, L’ultimo treno della notte in cucina... però ne ho altre da incorniciare che attendono nei cassetti.

             

A un certo punto Susanna ha un momento “speleologico”. Per molti la speleologia è un’idea terrificante e claustrofobica, per te invece è una passione: hai mai pensato che incutere inquietudine nei lettori è come farli entrare in una grotta stretta e buia?

Sì, sottoscrivo. L’idea che sta alla base della mia scrittura è proprio questa: far sì che il lettore si avventuri nel profondo delle tenebre, si sporchi, si graffi e si infanghi per poi uscire all’aperto e vedere lo stelle. Per me la narrativa non è solo evasione, ma deve anche avere una funzione catartica.

           

Ti mette più paura la speleologia o la narrativa? Per te, cioè, è più impegnativo (a livello emotivo) affrontare uno spazio angusto o un nuovo romanzo da scrivere?

Purtroppo sono stata costretta a sospendere la speleologia per motivi di tempo e allenamento, ma scrivere ed esplorare cavità sono due attività che mi mettono paura, ma anche mi stimolano ed è per questo che mi piacciono. Scrivere un nuovo libro è proprio come un’impresa in grotta: sai da dove parti, sai dove vuoi arrivare, ma non sempre sai come e se ne uscirai: puoi restar bloccato in una strettoia angusta o sospeso su una corda a venti metri dal vuoto senza riuscire a passare un frazionamento, ed è quasi come restare bloccati su un certo passaggio narrativo o una scena che ti sta a cuore. Ma entrambe sono sfide in cui rischi forte e la posta in gioco è appagante. Per questo non amo scrivere un romanzo uguale al precedente: sarebbe come esplorare infinite volte la stessa cavità e non c’è gusto, né per chi scrive ma neanche per chi legge.

            

Il tuo romanzo può vantare una spettacolare scena di inseguimento automobilistico, davvero inedita nella narrativa italiana: come ti sei trovata a trattare un argomento del genere?

La colpa credo sia del film Drive di Nicholas Winding Refn e del mio interesse per i poliziotteschi di Lenzi e Castellari: mi piaceva l’idea di riprodurre in letteratura una lunga scena di inseguimento automobilistico, ma che i lettori potessero seguire come in un film. Mi hanno influenzato le parole di Quentin Tarantino in cui nello speciale su Death Proof dice che in una scena simile è fondamentale che le auto abbiano una personalità, così ho scelto come protagonista la Opel Manta verde metallizzato che guidava mio padre quand’ero bambina. Credo che un inseguimento, come una storia, riesca ad appassionarti di più se ti affezioni ai personaggi, uomini o auto che siano.

             

Per finire, torna in splendida forma la figura di Steve, il cacciatore di pellicole (fra le tante sue attività). Rayban scuri, grande passione per il cinema d’azione e poliziottesco, casa piena di “Kriminal” di Magnus e action figure di Kill Bill e Planet Terror... Puoi parlarci di questo tuo particolarissimo e sempre sfuggente personaggio?

A differenza della fragile ed emotiva Susanna, Steve Salvatori è freddo e impassibile e all’occorrenza è in grado di sfoderare la sua Colt. 45: a lui è affidata la componente noir ed action del romanzo. È distante e misterioso, con un passato oscuro, e non a caso è l’unico personaggio che non viene mai narrato in soggettiva. La sua natura imprevedibile, in bilico tra bene e male, è rappresentata dal diverso colore dei suoi occhi, uno castano e l’altro ceruleo, che riprendono l’ambiguità della dark lady del Grande caldo di Fritz Lang. Nessuno conosce la verità sul suo occhio di vetro e Steve ama raccontare ogni volta una storia diversa, così come nel cinema e nei film la realtà è sempre e solo quella che viene rappresentata.