Poi, le ragazze che lavoravano alla Lupa, sistemavano la selvaggina nell’ampia cucina con le volte intonacate, il camino di pietra e le stufe di ghisa, e Virginia, la madre di Felicino, dirigeva le operazioni: spennare, sventrare, arrostire, marinare... così che, col passare delle ore, tutta la grande casa s’impregnava degli aromi caldi, dei fumi che stuzzicavano gli stomaci capienti degli ospiti sorridenti, già alle prese con la briosa Bonarda dell’Oltre Po Pavese, che il padre di Felicino imbottigliava personalmente, al tempo di Pasqua, con quelle sue mani da fabbro e il faccione rosso e gli occhi vitrei, ereditati da qualche antenato Longobardo...

Strizzando i suoi, di occhi, Felice Gatti cercava di scacciare quel passato, come fosse un corvo del malaugurio. Suo padre e sua madre erano morti. La Lupa abbandonata, con le case dei salariati in sfacelo, i muri rossi diroccati trasformati in calde nicchie per rettili e topi, le erbacce secche come sbarre sottili contro occhi curiosi che forse non esistevano, le fioriture verdi di umidità a intristire ogni angolo, le terre coltivate a riso e meliga cedute a nuovi proprietari...

Tutto questo a causa di Felicino: non aveva mai dato importanza al suo patrimonio, impegnandosi soltanto a sperperare soldi per fondare e rifondare quella benedetta maledetta casa editrice, che doveva occuparsi degli scabrosi dilemmi politico economici del Bel Paese, cercando di venirne a capo, tra le intricate ragnatele mafiose e i sensibili calli di rampanti politici che avevano avidamente poppato alle mammelle della Propaganda 2, la Loggia incastonata nella Massoneria, che Felicino definiva, senza sorridere, la Loggia del materassaio, riferendosi ovviamente al suo fondatore, il Venerabile Gelli, che possedeva quote della Permalex, azienda vezzeggiata con commesse miliardarie dai vertici dello Stato.

D’altra parte, la cronaca giudiziaria, la politica intesa come mondo da esplorare e non a cui appartenere, era sempre stata la sua passione. E la sua disgrazia...

Nel corso degli anni, la sua spregiudicata ricerca di elementi, di prove, di contatti tra mondo politico e mondo criminale, oltre che a obbligarlo a investire somme ingenti in maniera avventata per pubblicazioni spesso strampalate (altre volte centrate e penetranti, ma prive di quel sostegno “politico economico” indispensabile ad ogni iniziativa indirizzata contro poteri che del “politico economico” hanno fatto una ragione di vita, di successo e di impunità) l’avevano reso un corpo estraneo alla comunità da cui proveniva. Gli amici di un tempo, cioè i figli degli amici di suo padre, che brillantemente avevano attraversato gli anni Ottanta, lo avevano escluso, quasi del tutto, dai loro circoli, che raccoglievano il meglio della provincia di Pavia: non era né elegante né prudente avere a che fare con un tipo come lui, un aborto stravagante d’ingenuità maligna o maligna ingenuità, intelligente e sgraziato, pungente e permaloso e tremendo nel vestire; che aveva ereditato dal padre la passione per il vino, non l’intuito per gli affari, o l’abilità diplomatica e il realismo per conservare le amicizie giuste negli ambienti che contano.

Erano le undici e il sole iniziava a intiepidire l’aria. Barabba, il suo cane, un vecchio Springer Spaniel, abbandonò l’angolo dov’era solito addormentarsi e lo raggiunse sotto l’arco.

Felicino lo guardò con affetto: la Marisa non è ancora scesa, amico mio? Con la sbornia di questa notte... chissà... e tu, vieni con me a Garlasco o preferisci restare qua?

Il cane, dal manto arruffato bianco e rosso, non scodinzolò nemmeno. Pigramente tornò ad acciambellarsi accanto alla porta verde, con il battente brunito; Felicino si accese un’altra sigaretta e lo seguì, con la sua andatura claudicante, scoordinata, come se, da un momento all’altro, uno degli arti inferiori, potesse salutarlo e andarsene per i fatti suoi.

Entrò in cucina e si versò un calice di Barbera del Monferrato: questo, caro Barabba, è l’aperitivo dell’aperitivo, disse sedendosi al tavolo ligneo, lungo tre metri, tra libri, giornali, ritagli, fogli di appunti, matite appuntite e matite spezzate, temperini, bicchieri sporchi, un vocabolario, due penne stilo, qualche Bic, pezzi di pane, forbici, posacenere, un barattolo di colla...

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