Budget raddoppiato e “apparentemente” una strada lastricata d’oro verso il successo... invece con Dalla Russia con amore Saltzman e broccoli si ritrovarono con molti problemi da risolvere e alcuni tiri della sventura, primo tra tutti il destino di Pedro Armendariz. Contaminato insieme a tutti quelli della troupe di Gengis Khan (John Wyane compreso) girato poco distante dal “segreto” poligono di tiro nei deserti del sud ovest, Armendariz diede prova in questo film di grandissima professionalità e coraggio.

Si scoprì colpito da un male inesorabile e rapido nei suoi passi verso la fine che già il film era iniziato. Malgrado le sofferenze volle terminare il suo lavoro per dare un futuro alla famiglia e, quando alla fine venne a mancare, fu un durissimo colpo per tutti. Di fatto il suo Kerim Bey è il migliore tra i capi di Stazione incontrati da Bond nel corso delle sue missioni e si segnala per simpatia e aderenza al ruolo tanto da diventare un modello. Ma i problemi erano solo cominciati.

Tra gli incidenti vari che accompagnarono il film anche la caduta di un elicottero con a bordo cameraman e regista al largo della costa scozzese che già doveva sostituire quella istriana impraticabile per il tempo. Terence Young, ancora una volta “più Bond di Bond”, fu estratto  fortunosamente e girò la scena in due giorni malgrado una non desiderata esplosione delle cariche in acqua durante le prove. Ma il vero problema, la reale sfida era il soggetto del film.

            

Anche se nel 1961 il presidente Kennedy lo aveva inserito tra i suoi romanzi preferiti, Dalla Russia con amore restava un libro difficile. Personalmente è uno dei Bond che amo di più sia nella versione romanzata che in quella cinematografica. Forse proprio perché esce dagli schemi ed infatti è un film unico nella serie.

Prima di tutto aveva un forte risvolto politico (era del ’58) che gli sceneggiatori dovettero attenuare proprio perché l’idea era creare una serie di avventure che tutti avrebbero potuto gustare. Ma a questo si poteva rimediare facilmente. La SMERSH russa, il ruolo di Rosa Klebb e il furto del Lektor (che poi sembrava un po’ la macchina Enigma) erano solo strumentali a un piano dei veri “cattivi”, gli agenti della SPECTRE il cui capo appariva solo nei dettagli. No, era la struttura stessa del romanzo a creare qualche difficoltà.

Se sulla pagina era anche accettabile che nella prima metà della storia Bond non apparisse, il format dei film rendeva tutto estremamente complicato. La storia era quella di una konspiratskia dei servizi russi e aggiungervi la SMERSH non facilitava il compito degli sceneggiatori, che dovevano trarne una vicenda piena d’azione, facilmente comprensibile per lo spettatore abituato alla linearità di Licenza di uccidere.

        

Primo passo. Bond entra in scena nella sequenza pre-titolo. E qui arriviamo al primo shock. L’eroe muore strangolato dal laccio di metallo di Red Grant. Ovviamente si tratta di un allenamento e il bersaglio non è Bond ma un uomo mascherato come lui. Una bella idea che suggerisce un tono di minaccia che lo spettatore si porterà addosso per tutto il film. Però il soggetto scelto per simulare la morte dell’eroe era troppo simile. Gli venne applicata così una maschera e, nel taglio finale, mostra un paio di baffi.

Qui arriva poi un altro pezzo forte, il montaggio dei titoli di testa sul corpo di una danzatrice del ventre. Esotismo, creatività visionaria, c’era da prendere lo spettatore per la gola. Vengono quindi girate diverse sequenze per presentare i comprimari e rendere chiaro il piano. L’incontro tra la Klebb e Grant, la partita a scacchi che riproduce un celebre finale di gioco di Boris Spassky allora famosissimo e introduce la figura di Kronsteen (grandissimo Vladek Sheibal, dottore in UFO e spia in un grandissimo numero di film d’epoca), il reclutamento di Tatiana a Istanbul e la riunione con Blofeld. Tutti brani necessari alla comprensione della storia e alla creazione dell’atmosfera. Più volte cambiati di posto nella sequenza alla fine trovano una loro giusta collocazione ma non una risoluzione al problema principale. Bond  a un terzo del film non ha ancora fatto nulla.

Lo vediamo amoreggiare con Silvia, alle prese con i gadget di Q (qui per la prima volta interpretato da Desmond Llewelyn) ma di botti spari e crudeltà come si dice... niente per un po’. Arriva allora una trovata interessante. Da quando entra in missione accettando la trappola del miele, come si dice in gergo, Bond è sempre seguito da Grant che diventa il suo... spettro. L’idea, come la finta morte iniziale, è così buona da sopperire a una variazione del format rispetto al primo episodio e ai successivi. Per questo Dalla Russia con amore diventa un film unico, rompe ogni regola e, grazie a un’attentissima regia e a una buona scelta di interpeti, dimostra che anche lo spionaggio avventuroso può risultare d’azione, anche basandosi sui tipici intrighi dei romanzi.

Un gioco di matrioske costruite una dentro l’altra ma per quadri molto ben delineati dove non mancano mai elementi di interesse. La spettacolarità della palestra della SPCETRE, il fisico gigantesco di Grant che non è solo minaccia intellettuale ma anche fisica per 007, i sottintesi lesbici nell’incontro tra Klebb e Tatiana giocati con maestria da Young, e la perversa mentalità criminale della SPECTRE che nel Dottor No avevamo solo intuito, giocano il loro ruolo altrettanto bene che inseguimenti e scazzottate.

Soprattutto si tratta di scene brevi, incisive in cui il decòr dell’ambiente e il taglio delle immagini giocano un ruolo fondamentale. Poi c’è Istanbul con le moschee, i campi degli zingari, la danza del ventre e quella complessa e affascinante atmosfera che viene sì dal romanzo ma anche da più lontane suggestioni, i romanzi di Eric Ambler, i film con Humphrey Bogart.

     

Per chi ama l’azione comunque la versione cinematografica non risparmia emozioni. Se i confronto Bond-Grant è caratterizzato da un maschio vigore, la lotta tra le zingare va a solleticare il vouyerismo dell’appassionato, che in queste storie si aspetta sempre una certa dose di sesso. E, oltre che in questa occasione viene accontentato con tutta la sequenza in cui ci “pare” (in realtà è una controfigure) di vedere Daniela Bianchi vestita solo di una nastrino di velluto scivolare nel letto di Bond. E anche qui l’idea dell’amplesso filmato dietro lo specchio segreto sotto gli occhi di Rosa Klebb tocca corde vincenti.

Naturalmente c’è il suo bell’inseguimento sul mare con tanto di esplosioni, una sequenza elicottero contro uomo che sembra (anche è) ispirata a Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock, la scarpa con il puntale avvelenato e la magnifica e violentissima bagarre tra Bond e Grant. Qui addirittura i produttori temevano che la scena potesse risultare troppo brutale per il pubblico, ma si rivelarono paure infondate.

Bond era Bond e anche con una storia così fuori dai canoni quale solo(purtroppo con altri risultati) sarà Servizio segreto, riuscì a riprendersi tutto il suo pubblico e, anzi, acquisirne ancora di più. Siamo a un passo dalla leggenda. Ma per una consacrazione definitiva sarà necessario aspettare il film successivo.