Eccoci quindi, per la prima volta, a uscire dal terreno del giallo (e dintorni) per analizzare una miniserie in sei puntate che sta andando in onda tutti i mercoledì (tranne la prima puntata, trasmessa di martedì) dal 31 maggio in prima serata su Canale 5.

Primo mistero: perché un prodotto in cui recitano attori di tutto rispetto, o comunque di largo successo televisivo e cinematografico, come Silvio Orlando (nella parte dello psicologo Francesco Patrizi), Marina Massironi (nelle vesti della ginecologa Vera Merli, moglie di Francesco) e Vittoria Belvedere (l’altra psicologa Lucilla Scipioni), viene trasmesso in pieno giugno quando, è notorio, i network tirano i remi in barca, e scaricano sul malcapitato e fedele telespettatore tonnellate di repliche e prime di dubbia qualità?

Secondo mistero: perché la suddetta miniserie è stata girata nell’estate del 2003, come afferma Orlando in un’intervista, e non è stata programmata, come di solito accade, l’autunno o la primavera immediatamente successivi, ma dopo quasi due anni?

Terzo mistero: come mai il telemaniaco di serial in questo consultorio romano all’avanguardia, dove convive un gruppo di personaggi abilmente calibrati (l’andrologo un po’ razzista, il pediatra dolcissimo, il ginecologo che ci sa fare con le pazienti, etc. etc.) con l’appendice della situazione familiare dei due protagonisti (Patrizi e la Merli), sente un forte odore di Un medico in famiglia, acuito, tra l’altro, dalla presenza dell’attore Paolo Sassanelli, medico in entrambe le fiction?

Proviamo a dare delle risposte.

Al di là dell’idea-guida, analizzare cioè i delicati e complessi rapporti tra genitori e figli, è chiaro che il format di Un medico in famiglia è servito come modello di riferimento: un capo (Andrea Lotti, interpretato da Toni Garrani) che, almeno nelle prime puntate, fatica a entrare in sintonia coi suoi dipendenti; un protagonista (Patrizi) che si fa amare per le sue dolcissime performances sia professionali che private; una bella ragazza (la nuova psicologa) che debitamente si innamora del suo mèntore; dei figli che impensieriscono per la loro crescita tumultuosa.

Solo che in questo caso gli sceneggiatori hanno spinto un po’ troppo sul pedale del “pedagogico” e del “politicamente corretto”, confezionando un prodotto che, al di là dell’interpretazione degli attori, troppe volte finisce per essere palesemente inverosimile.

È possibile che l’esperta ginecologa Merli rimanga involontariamente incinta di suo marito come la prima squinzia senza alcuna nozione di educazione sessuale? E non basta: persino suo figlio mette incinta la fidanzatina e a chi si rivolge per far seguire la gravidanza della sua bella? Naturalmente a sua madre, situazione che credo tutti voi riteniate altamente probabile nella vita di tutti i giorni.

Ed è possibile che lo stimatissimo psicologo Patrizi, in omaggio alla sua formazione professionale  e progressista, si limiti a macerarsi in silenzio senza dire una parola quando sua figlia, minorenne, se ne esce di casa con un tizio appena conosciuto (detto “Spider” per la velocità con cui mette al tappeto le ragazze che incontra!) per trascorrere una serata in un imprecisato centro sociale romano in cui suona una band italo-etnica?

E via di questo passo.

Due adolescenti meridionali scappano dalle loro famiglie perché si amano e lei è incinta, ma, novelli Romeo e Giulietta, riescono – senza morire, beninteso, e con l’aiuto del pronubo Patrizi – a far rappacificare i padri bellicosi e le madri ansiose.

Una suora (a cui dà il volto la bellissima Mandala Tayde, già vista in un Ritorno di Sandokan di diversi anni fa), assegnata erroneamente al consultorio, diventa infermiera, tiene naturalmente un corso di yoga, e, poverina, è così mal messa a soldi che attraversa mezza città a piedi per andare a lavorare visto che non ha i soldi per l’autobus.

Un giovane, da anni sulla sedia a rotelle e afflitto da una madre iperansiosa, dopo un paio di colloqui con Patrizi accetta che una bella ragazza si innamori di lui così com’è e supera tutti i complessi.

E poi un esercito di adolescenti, da una “sciroccata” come Pat ai figli dello stesso Patrizi, che hanno in testa una sola cosa, il sesso: e quando uno di loro (l’”intellettuale” schivato dalle ragazze) utilizza un paio di versi di Prévert (peraltro suggeritigli dallo stesso Patrizi), lo fa solo come viatico per una bella notte d’amore in una cabina al mare con la suddetta Pat.

Si potrebbe continuare all’infinito, ma ci sembra di aver messo a nudo la principale debolezza della serie, quella che, forse, ha convinto i produttori a posticipare la messa in onda: l’insistita e pedagogica inverosimiglianza delle situazioni in un contesto cordial-sanitario già sfruttato appieno dalla fortunatissima serie di RaiUno.

In una parola: non solo questo consultorio non esiste, ma è talmente fuori dal mondo che al massimo il pubblico può digerire la storia come una bella favola. Raccontata, appunto, in estate a un pubblico infantile o anziano: quello che è rimasto desolatamente in poltrona davanti alla tv.

 

Voto: 5