LO SPUNTO: John Wayne Gacy (Chicago, 1942) è stato un serial killer statunitense. Fu soprannominato Killer Clown per aver rapito, torturato, sodomizzato e ucciso 33 vittime, quasi tutti adolescenti e maschi adulti, 27 dei quali seppelliti sotto la sua abitazione o nascosti ammassati in cantina dal 1972 fino alla sua cattura avvenuta nel 1978, scattata per il fallito occultamento della sua ultima vittima. Il nome con cui è diventato noto deriva dall'aver intrattenuto i bambini ad alcune feste con costume e trucco da clown facendosi chiamare Pogo il Clown. Il movente degli omicidi era la sua omosessualità repressa; pochi sospettavano ciò, anche perché era sposato. Gacy era un tipo socievole agli occhi dei concittadini, quindi era anche insospettabile. L'omicida dopo il processo venne condannato a morte e giustiziato con l'iniezione letale nel 1994, alla sua morte lasciò un discreto numero di disegni raffiguranti pagliacci ora parte di collezioni private.

 Il quadro di Cristina Orlandi

Sto lavorando febbrilmente a un quadro. Devo assolutamente finirlo. Questa volta l’immagine sarà perfetta, così tu, papà, sarai contento. Per una volta, sarai orgoglioso di me e, forse, smetterai di insultarmi con epiteti quali ”bastardo”, “buono a nulla”, “ridicolo” o “pagliaccio”.

Papà, io lo so che mi hai sempre voluto bene. Per questo mi castigavi per ogni minimo errore potessi commettere in età giovanile. Mi punivi duramente perché volevi forgiarmi, nel carattere e nelle capacità, fino a ottenere da me la perfezione.

Non ho mai trovato niente di strano nel fatto che tu volessi spesso avere rapporti sessuali con me, anzi, quando succedeva interpretavo queste tue richieste come una manifestazione di affetto e ne ero felice. Attenzioni, atti d’amore che erano comunque destinati ad avere breve durata. Pochi minuti e, come arrivavi all’orgasmo, le carezze e le parole dolci cessavano, per cedere il posto alle botte e agli insulti.

All’epoca, lo ammetto, ero parecchio disorientato da questo alternarsi di gentilezze e vessazioni, ma ora capisco. Capisco che tu, attraverso il supremo atto della penetrazione, volessi far entrare in me tutto il tuo essere, trasmettendomi così tutta la tua superiorità.

Papà, io ti ho amato profondamente. Tu eri severo, ma giusto. Facendo tesoro dei tuoi insegnamenti, sono diventato un uomo onesto, gran lavoratore, dedito all’impegno sociale. Tutti mi apprezzano per i risultati raggiunti e la mia generosità.

Ora sono titolare di un’azienda e ho diversi dipendenti. Tutti ragazzi, tutti giovani. Per me, sono come figli. Per questo li tratto esattamente come tu trattavi me: li rimprovero spesso, perché li amo, e voglio che diventino sempre più bravi. Desidero possederli sessualmente, perché voglio che percepiscano la forza del mio amore, della mia potenza. Sono miei e, se si lasceranno guidare, diventeranno più bravi, più intelligenti, fino ad essere i più stimati dalla comunità. Proprio come me. Certo, ogni tanto qualcosa va storto. Può capitare che, qualcuno di loro non gradisca le mie attenzioni. Allora devo narcotizzarli con il cloroformio, altrimenti lottano per farmi smettere e cercano di scappare. A volte lottano ugualmente. Non capisco. Eppure io ho a cuore il loro piacere, mi sono procurato vibratori di diverse misure, per ovviare ai miei problemi di disfunzione erettile da obesità.

Nonostante ciò, quando uso i miei vibratori, a volte questi ragazzi fanno un sacco di storie e minacciano di denunciarmi per atti di violenza. Ma quale violenza? Perché non si rendono conto di quanto sono fortunati ad essere amati da me?

Insomma, a volte devo ucciderli. Ne sono costretto, devo farlo per difendermi dalle loro accuse. Li uccido, e ne nascondo i corpi vicino alle fondamenta di casa, per continuare a tenerli con me. Ne ho uccisi più di trenta.

Un po’ di tempo fa mi hanno arrestato. Il dottore del carcere dice che sono rinchiuso da 14 anni. A me sembra di stare in prigione da secoli. Oppure, potrebbero essere passati pochi giorni. Il tempo, qua dentro, ha perso significato. Le giornate non sono più scandite dalle proficue ore di lavoro, dal volontariato, dalla compagnia degli amici e dei vicini di casa. Me ne sto qua, in una cella da solo, perché sono ritenuto socialmente pericoloso. Sono confuso. Perché un cittadino modello come me è considerato un pericolo?

Papà, tra poco mi verranno a prendere. Sono stato condannato a morte tramite iniezione letale, e oggi è il giorno dell’esecuzione.

Papà, devo sbrigarmi a finire il quadro prima che arrivino. Quando vedrai il dipinto, lo so, per la prima volta mi dirai “bravo”. Il soggetto rappresentato è un pagliaccio.

John Wayne Gacy jr.

 Il corrimano di Gary di Lorenzina Degano

Gli occhi spalancati a fissare un punto, uno qualsiasi, Gary partiva dalla punta dei piedi e poi saliva, lentamente, anestetizzando il suo corpo per intero.

Andava di fretta sulle parti rese umide da quei sogni notturni piacevoli e rassicuranti, fatti di liquido caldo che lo avvolgeva e gli teneva compagnia. Com’era possibile che al mattino fosse tutto così diverso? Di quella cullante dolcezza rimaneva solo un freddo pungente e sgradevole, un odore acre e una grossa chiazza gialla sul lenzuolo.

Aveva imparato a togliersi in fretta le mutande bagnate, ad infilarle sotto il letto, a mettersi i pantaloni con una sola, abile mossa e a ispezionare istantaneamente i movimenti della casa giù di sotto. Un’occhiata alla camera dei suoi per vedere se il padre era ancora a letto, poi inforcava il corrimano, bramoso di sentire il contatto ruvido della stoffa dei pantaloni con l’umido dell’inguine che faceva attrito e resisteva alla discesa.

Seppure guardingo, si lasciava andare al piacere intenso che partiva dallo scroto e saliva fino alla testa, prendendo due direzioni distinte, una entrava dalla punta del pene e l’altra direttamente dall’ano, poi insieme attraversavano le viscere fino ad arrivare alla gola e lì esplodevano dentro la sua bocca. Era a quel punto che sentiva un irrefrenabile desiderio di essere punito per quello che aveva fatto e quando il padre se ne accorgeva, nonostante i tentativi di occultamento della madre, per Gary era una liberazione, la giusta punizione che attendeva con l’ardore dei martiri.

Era contento che il padre gli riservasse tutte quelle attenzioni e compativa le due sorelle che non riuscivano a trovare spazio neppure nella visuale delle fugaci apparizioni della tarda serata.

Lui, mentre lo aspettava cercava di stare più fermo possibile, per non fare cose che avrebbero potuto deludere quel genitore, così interessato a lui da impegnarsi, tutte le volte che qualcosa non andava, a farglielo capire senza mezze misure. E così Gary perfezionava di giorno in giorno la sua tecnica che consisteva nell’ammaestrare il suo corpo e la sua mente a rimanere immobili, a non percepire alcuno stimolo. Era un lavoro duro e paziente, ma lui era caparbio e, come diceva il padre, con la volontà si può fare tutto.

A volte si poteva anche permettere delle variazioni sul tema, quella che di più lo affascinava era immaginare di avere una corda intorno al collo e stringerla piano piano, lentamente, allentare e poi di nuovo stringere, ancora e ancora fino a svenire. E ormai ci riusciva a comando, tutte le volte che voleva sentire il piacere di esercitare quel potere totale, anche se al momento era solo su sé stesso.

 La fata e la strega di Marinella Lombardi

Comincia così, con una lama che affonda nella tempia destra, dove il ciglio si insinua sopra l’orecchio. Uno spillo come quello che trafigge una farfalla nella teca di vetro, delizia del collezionista che la imprigiona perché non voli via.

Poi, sornione, il morso affonda dentro, sgocciola dalla tempia alla mandibola, una scossa di brivido che intorpidisce la palpebra. Asimmetria. Anche il labbro si incurva, sfugge. Non mi appartiene più. Off. Mi spengo e vedo tutto. Come allora.

Un macigno in bilico, da quale parte ruzzolerà? I vecchi hanno ragione. Dovunque precipiti, colpirà qualcosa. O qualcuno. Massima allerta. E poi strike! Bersaglio centrato! Basta una volta, una soltanto. La risonanza amplifica l’oscillazione, rumoreggia con l’ampiezza propria, provoca la catastrofe.

Katy non conosceva le leggi della fisica. Era la mia cuginetta, coetanea e compagna di giochi. Adorava l’altalena, quella di corda intrecciata alla quercia, a casa dei nonni. Su e giù, non si stancava mai. Via i piedi da terra, su e giù. Katy volava su e giù, volava in alto, forte, sempre più forte. Leggera come una piuma. Annullava la gravità, con una spinta. Tutti giù a terra, e lei in alto, pronta a decollare.

“È mia, soltanto mia”, diceva Katy e indicava l’altalena.

“Voglio salirci anche io”, frignavo per dispetto.

“Sei una femminuccia”, mi rinfacciava, “se sali sull’altalena sei una femminuccia”.

Avvampavo in volto, la polvere che Katy scalciava intorpidiva i miei occhi e mi strappava il fiato.

“Femminuccia asmatica”, mi sfotteva ridendo, dall’alto in basso.

Tossivo, sputavo catarro, piangevo di rabbia col respiro affannoso. La detestavo, anche se era mia cugina.

“Femminuccia asmatica, vieni a prendermi se ci riesci”, sibilava contro sole, storpiando il mio nome. Che marciva sulle sue labbra.

Tra la polvere e i pollini dei tigli, quella primavera l’altalena era diventata un luogo inaccessibile. Pericoloso, per me. La femmina è stanziale, ripeteva mia madre. E quello, l’altalena e la grande quercia da cui pendeva, era il suo territorio e Katy lo difendeva con orgoglio e rabbia egoista.

Schernendomi di fronte alle amiche. E l’umiliazione bruciava dentro di me.

“Mary, guarda il mio cuginetto”, urlava, “si rotola nel fango perché non sa volare, come noi!”

“Ah, è un porco, nel fango!”, echeggiava l’amica del cuore.

E ridevano all’unisono.

L’altalena era larga abbastanza per accoglierle entrambe. A 13 anni esplode l’adolescenza nel corpo e la mente si sente adulta. E loro due erano fragole mature: rotonde, morbide, profumate. Da cogliere e succhiare.

Arrossivo perché desideravo Mary. Ne ero attratto senza sapere il perché. Avrei spedito all’inferno Katy. Perché mi faceva fare la figura dell’allocco, di fronte a lei.

“Porco mollaccioso, porco mollaccioso!”, strillavano all’unisono.

Nella mia fantasia, erano la fata Mary e la strega Katy. Bionda Mary, corvina Katy. Angelica l’una, infernale l’altra.

Ero impotente, ridotto al silenzio, all’inerzia. Fiaccato dall’asma, senza fiato.

Aspettate e vedrete, rimuginavo. Vendetta, ecco che cosa volevo. In silenzio. Vendetta. Intendevo offenderle, senza toccarle. Avrei potuto spintonarle, farle cadere, picchiarle, ma non era questo il mio intendimento. Troppo banale. Volevo spezzarle nella cosa loro più sacra: l’orgoglio femminile. Distruggerle, senza sfiorarle. Da vero signore. Come fare?

Subii ancora. Finché sul declinare dell’estate, ebbi un’idea.

“Ma che belle mutandine a pois, Katy”, l’apostrofai con noncuranza, prima di starnutire, un giorno.

Mia cugina lanciò un calcio nell’aria. Touché!

L’altalena ebbe un sussulto.

L’avevo finalmente violata, senza toccarla!

“E tu, Mary, mutandine a righe viola”, aggiunsi.

Silenzio da parte loro. Solo la corda cigolava. Un lamento costante, ritmato. Le avevo ferite nel loro orgoglio! E da lì, mi lasciai andare, senza moderazione.

“La signorina e la puttanella…” ripresi “chi è una e chi è quella?”, la rima mi sostenne prima di un altro starnuto.

Mary era alterata, una smorfia spegneva il suo volto.

“Porco, sei un porco, un lurido guardone”, si mise a urlare, agitando una mano. Come volesse colpirmi.

“Signorina o puttanella, che mai sei mia bella? Prendimi, se riesci”, soffiavo sulla brace, con sagacia poetica.

“Mary, sta’ calma.. Mary”, urlava Katy ché l’altalena si dimenava senza controllo. Come un gigante ferito a morte.

“Vieni qui, lurido porco”, continuava Mary, con tono di sfida.

Era bellissima, incandescente. I capelli arruffati dal vento e dalla stizza si agitavano di energia propria. Era un gorgo che mi aspirava, cui aspiravo.

“Vieni qui, lurido porco”, ululò ancora.

Appena un istante. E poi…

Off.

Tutto si spense. I ricordi si sbriciolano. Frammenti che agonizzano e a stento riesco a ricomporre.

La lama che affonda nella tempia. È la prima sensazione a dirmi Sei vivo, ancora vivo. Mi tocco con la mano. Sì, sono ancora qui. Dove? Mi pare in un letto lindo, che beccheggia, sotto una luce abbagliate. Ho nausea. Sono circondato da ombre. Aloni. Verdi. Abiti verdi, ma dentro sono umani. Sì, sono uomini e blaterano concitati. Brandelli di improperi.

“.. corri cazzo! Corri, cazzo!, anche se è rosso”, annuso, in sottofondo.

Tutto dondola, sono frullato, shakerato. Vomito sul bianco marmoreo, un rigurgito verde erba. Sto malissimo.

“Corri, la stiamo perdendo!”, implora la voce.

Un sobbalzo, sono spinto avanti, addosso a qualcuno, a qualcosa. Uno spasimo, un calcio nello stomaco, urlo disperato. E in quell’istante ricordo tutto.

Mary che sguscia dall’altalena, vola, si libra in alto, come una piuma, una farfalla. È bianco l’abito come le nuvole che la risucchiano. Fugge da Katy, fugge da me, fugge da tutti. Non sappiamo dove. Katy urla e l’altalena mi colpisce in testa. Vibra tutto. O sono soltanto io che entro in risonanza con la tavola di legno del sedile. Si squarcia la testa, si squarcia il mondo. Nuovi orizzonti. E tutto si spegne.

“Cazzo, corri più veloce, sta morendo…” ringhia la voce in sottofondo. Mi giro, un dolore sconfinato, e riesco a vedere. Una flebo, una mummia bendata, riccioli neri attorno a chiazze rosse. La strega.

E la fata, che ne è stato di lei?

Schiudo la bocca ma non esce suono. Le labbra sono macigni, che sprofondano in acqua. Mentre la lama affonda, sempre di più, nella mia tempia. Off.

Mi sono risvegliato dopo due mesi.

Non ricordavo più nulla. Il vuoto. E tanti spasmi. Più di un anno di riabilitazione per ritrovare il possesso del mio corpo. E di me. E allora ho scoperto che cosa era accaduto a Katy e Mary, la strega e la fata. Le prime vittime. Erano state le mie prime vittime. Inconsapevoli loro. Inconsapevole io. Mary schiantata per terra, sul colpo. Katy in ambulanza, durante il trasbordo in ospedale.

Da quel giorno lontano la lama, quella lama che affonda nella tempia, non mi abbandona. Come un ricordo. Un incubo. O un rimorso.

 Tutta colpa di Jack di Annalisa Simoncini

Ehi Jack, ci sei?

Jaaack?

Mi senti, Jack?

Avanti, Jack! Dove cazzo sei?

Jack! Ho bisogno di parlarti. È una cosa seria, amico. Non sto scherzando, Jack. Mi hanno chiuso in questa stanza, da solo. È tutto buio, Jack. C’è una puzza di Dio qui dentro. Non ce la faccio più, aiutami.

Dai, Jack, per favore. Non farti pregare.

PORCA PUTTANA TROIA, JACK! SI PUÒ SAPERE COSA CAZZO STAI FACENDO? VUOI ASCOLTARMI O MI DEVO INCAZZARE? LO SAI CHE, SE MI INCAZZO, NE ESCI MALE, EH?

JACK!

CAZZO, JACK! MI ASCOLTI?

Oddio. Oddio mio. Scusa Jack. Scusa, scusa, scusa. Scusami, lo so. Sono stato cattivo, hai ragione. Ti chiedo scusa. Lo sai che è un brutto periodo per me. È solo che sono un po’ sotto pressione. Con tutto quello che è successo… Abbi pazienza, Jack, non volevo essere aggressivo. Ultimamente sono un po’ nervoso, lo capisci? E tu lo sai che, quando sono nervoso, non riesco a controllarmi. E poi, qui dentro è ancora peggio. Mi sembra di impazzire. Tu sei il mio migliore amico, l’unico vero amico che ho, l’unico che ci tiene veramente a me. Jack, ti prego, non lasciarmi solo proprio adesso che ho bisogno di te. Scusa per prima. Scusami, non volevo, davvero. Non volevo alzare la voce.

Scusami, amico…

Scusami…

Jack, per favore, abbi pietà. Ti prego. Jack. Non abbandonarmi proprio adesso. Jack… Non farmi urlare, amico. Non costringermi ad urlare, per favore.

 Dai, Jack, avanti, vieni fuori, fatti vedere. Te lo chiedo per favore.

Ci hanno beccati, Jack, lo capisci? Se non mi aiuti, mi ammazzeranno. Ho paura, Jack. Jack? Jaaack? Dai, avanti, vieni fuori, amico mio. Per favore, Jack. Per favore…

Jack.

È QUESTO CHE VUOI, EH? VUOI VEDERMI PIANGERE? VUOI VEDERMI DISPERATO, È COSÌ? CI GODI A VEDERE CHE SONO NELLA MERDA, VERO?

Sto male, Jack! Vuoi che mi metta in ginocchio e ti supplichi di darmi una mano? È questo che vuoi? Brutto stronzo bastardo pezzo di merda infame! Feccia! Ecco cosa sei. FECCIA!

Avevamo fatto un patto io e te, non te lo ricordi più? Bastardo egoista che non sei altro!

Com’era? Io ti procuro i ragazzini, ti ci faccio giocare finché ne hai voglia, poi ci gioco un po’ io e poi…

E poi? E poi, il resto te lo ricordi, Jack? Il resto del nostro accordo, te lo ricordi, brutto infame di merda che non sei altro?

Te lo dico io com’era il resto del nostro accordo, visto che la tua memoria fa cilecca.

Non ti preoccupare, John. Stai tranquillo, amico mio” mi dicevi. Con quella vocina, quella cazzo di vocina stridula che non mi lasciava vivere e che, adesso te lo dico, mi ha sempre infastidito da morire.

Tutto quello che devi fare tu è procurarmi i ragazzini” mi ripetevi.

I ragazzini, John” insistevi. “Nient’altro che i ragazzini”. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. “I ragazzini, John”. Ancora. E ancora. E ancora.

È facile, credimi. Gli racconti due cazzate, li convinci e poi non ci rimane altro da fare che divertirci”.

Io ti chiedevo di lasciarmi in pace, non volevo, avevo paura, ti chiedevo di smetterla, ma tu trovavi sempre il modo di tranquillizzarmi.

Con quella vocina di merda, quella vocina che mi triturava il cervello, mi rassicuravi: “Non devi preoccuparti di niente. Vedrai che andrà tutto bene, non ci scopriranno mai” mi dicevi. “E poi, se per caso qualcosa dovesse andare storto, ci sarò io. Ci sarò io, John. Ricordatelo sempre. Ci sarò io a prendermi la colpa di tutto. Dirò che è stata una mia idea, che ti ho costretto a farlo e tu ne uscirai liscio e pulito come…”.

Come dicevi, Jack? Te lo ricordi, almeno questo?

Liscio e pulito come il culetto di quei ragazzini che ci piacciono tanto” dicevi.

Liscio e pulito come il culo di tutti quei poveri bambini che ti sei sbattuto in questi anni, Jack! Ti sei divertito, eh? Testa di cazzo, infame! Ti ho fatto comodo, vero? Mi hai usato per le tue porcate e adesso mi lasci nella merda, non è così? Sei un bastardo!

Carne fresca. La più fresca che c’è” mi dicevi.

Mi hanno beccato, Jack! MI HANNO BECCATO, HAI CAPITO?

Brutto stronzo, figlio di una gran puttana!

Tu e la tua idea del cazzo di nasconderli in giardino. Te l’avevo detto che puzzavano e che la storia della fogna non reggeva. Ma tu, niente. Te ne sei sempre sbattuto i coglioni di quello che ti dicevo io. Per te, l’importante era chiavarti quei bambinetti del cazzo!

Non c’è niente di cui preoccuparsi, John! Stai tranquillo, John!” continuavi a ripetermi con quella vocina che mi faceva diventare pazzo. E io, stronzo, che ti ho sempre creduto.

Vaffanculo, Jack!

VAI.

A FARE.

IN CULO.

Ma sai cosa c’è di nuovo, Jack? LO SAI CHE NOVITÀ CI SONO PER TE, JAAACK???

C’è che hai finito. Chiuso. KAPUT!

Dirò chi sei, farò il tuo nome. Eh, sì caro mio, racconterò quello che mi hai costretto a fare. Gli dirò tutto, Jack. Tutto, hai capito? E sarai tu a marcire in questa cazzo di galera, non io. Perché io non c’entro nulla. Gli dirò che anche io sono una vittima, proprio come quei ragazzini che hai violentato e ucciso.

E loro mi crederanno, Jack. Dovranno credermi. Perché io sono una persona rispettabile, io sono sempre stato un bravo lavoratore. Io sono una persona buona. Io sono una persona onesta. Lo sanno tutti.

Non avrai neanche il tempo di scappare, Jack. Sono qui fuori. Posso chiamarli quando voglio. Aspettano solo me.

E io non li farò aspettare ancora.

L’hai voluto tu.

Non hai scampo, Jack.

Non hai scampo.

GUARDIAAAAAAAAAA!

Baciatemi il culo di Fabrizio Corazza

Dal Diario mai pubblicato di John Wayne Gacy

09 maggio 1994

Uno spillone in vena.

Voi ditemi se io, John Wayne Gacy, devo salutare il mondo con la miseria di 5 cc di pentothal e curaro, o una schifezza del genere.

Anche la poltrona mi hanno negato quegli stronzi, cosa gli sarebbe costato poi...

Te lo dicevo io Pogo che ne avevamo ammazzati troppo pochi.

E poi quella tua mania di voler rimanere a tutti i costi a Chicago.

A Houston o Dallas dovevamo traslocare!

Lì avremmo trovato gli stessi stronzetti, ma in più, se ci avessero beccati, ci sarebbe stata la prospettiva di un finale elettrico.

Mi chiedo io perchè quello psicopatico di Ted si ed io no.

Questi stronzi perbenisti credono davvero che l'iniezione diminuisca l'eco che le mie gesta hanno destato? Ci sono tanti fratelli che sono pronti a continuare il lavoro che io, Ted e gli altri abbiamo iniziato, e accadrà anche se cercano di mantenere il più assoulto riserbo e far si che la cosa passi sotto silenzio.

Io le lettere le ricevo e le leggo.

Poi le butto perchè ci sono confidenze che mi riguardano e non sono cazzi vostri.

Sappiate però che ci sono uomini che si masturbano al solo pensiero di prenderlo nel culo dal sottoscritto. Mocciosi di buona famiglia che mi pregano di raccontargli come violentavo i miei amichetti, perchè i loro padroni son troppo delicati e loro vogliono qualcosa di più emozionante.

Per non parlare delle ragazze.

Sapeste in quante mi hanno chiesto di suggerire loro un modo per convincere il marito o il fidanzato di turno, cazzi assolutamente mosci, a prenderle con violenza, con forza.

“...voglio essere legata, frustata e poi violentata, voglio che mi spacchi in due con quel cazzo moscio che si ritrova...”

E questo è niente!

E poi dicono che lo psicopatico sono io. Mi fanno ridere.

E' la loro cultura del cazzo, il loro finto moralismo, la loro incestuosità repressa a far deragliare il cervello della gente.

Lo sanno anche i bambini che più neghi una cosa, più quella cosa viene desiderata.

La lezione del proibizionismo non è servita a a nulla. O meglio, è servita a quelli che dovevano arricchirsi “regolarmente”, ai possessori delle licenze per la vendita cosìdetta legale dell'alcool, a loro è servita.

Ed è servita al presidente per distribuire qualche legnata in nome della legalità.

A tutti quelli che vanno lassù, ad un certo punto, vengono le manie di onnipotenza ed allora giù con qualche guerra qua e la, qualche rivoluzione da sedare, qualche dittatore da far cadere.

Te lo diamo noi il problema da risolvere caro presidente del cazzo.

I morti li trovi qui in casa tua senza andare in Asia o in Europa a fare lo sceriffo

.

E vedrai che dopo Ted e John ci saranno tanti di quei fratelli che vorranno lasciare la loro impronta in questa nazione del cazzo che avrai il tuo bel da fare.

Non mi piace scommettere, ma prevedo un ecatombe caro Bill.

Tra serial killer, come li chiamate voi, stronzetti che se ne andranno in giro con le armi a fare il culo al prossimo e mitomani di vario genere, mi sa che avrai il tuo bel da fare senza andare in Kuwait, Iraq o altre località amene.

Me li immagino già i titoloni:

“Ancora sangue di innocenti versato a New York”...ma quali innocenti??

Gli sta bene a quegli stronzetti, e soprattutto alle loro famiglie benpensanti, di quelle che votano “dalla parte giusta”.

Avessero sentito, papi e mami, come strillavano i loro bambini quando glielo mettevo nel culo! Dicevano no, ma invece non vedevano l'ora e più urlavano più gli piaceva e alcune volte mi è persino dispiaciuto ammazzarli.

Ma dovevano morire perchè solo il numero avrebbe suscitato scalpore.

Se devi fare casino, fanne molto, mi diceva il nonno, sennò non ti sentono.

E infatti Pogo, accidenti a me quando ti ho ascoltato ed abbiamo rilasciato Robert e l'altra checca! Come si chiamava...Jeffrey ecco, se non ricordo male doveva chiamarsi così.

Si, è vero, loro avevano famiglie giuste, gente che s'ammazzava di lavoro, padri e madri che sanno cosa vuol dire spezzarsi la schiena, ma poi vedi com'è finita? Avevamo ancora tanto lavoro da fare, di lezioni da impartire.

Li abbiamo presi per il culo per dieci anni, contorti come sono dentro le loro leggi e i loro rituali, che se non mi avessi convinto a lasciarli andare quei due sfigati, saremmo andati avanti ancora un sacco di tempo.

E invece...

Son 14 anni che resisto da qui dentro, ma ormai non sopporto più questo odore nauseabondo di alcool e disinfettante. Odio quella sbobba annacquata che mi danno da mangiare e quel sorriso che mi tocca fare alla psicologa ogni tre mesi, quando viene e mi fa quelle domande del cazzo dalla risposta ovvia.

Mi chiedo io, ma chi cazzo scrive i test? Chi sceglie il protocollo? Ma davvero credono che siamo dei folli o delle persone da curare?

Tuttavia Pogo, sono stanco di mentire, di dichiararmi pazzo, di aspettare che quel rotto in culo dell'avvocato sposti ancora in avanti la data del mio trapasso.

Sono pronto a passare il testimone.

Ho anche deciso le mie ultime parole

“Baciatemi il culo” gli dico, ti piacciono Pogo?