Il Reichsleiter le ha chiesto di entrare segretamente in territorio polacco con le SS e rapire bambini che nessuno ha desiderato, e che nessuno reclamerà. La cosa è già stata fatta in passato, e verrà ripetuta sempre più spesso in avvenire. Niente di difficile. E niente che vada veramente contro le convinzioni morali di Kira von Durcheim. Il personale dell’istituto meritava di essere trucidato, a cominciare dal direttore, che accumulava una fortuna stornando sui suoi investimenti personali i fondi elargiti dal governo polacco per il mantenimento dei bambini, fino agli inservienti brutali e libidinosi.

Eppure, Kira sente che c’è qualcosa di sbagliato in quello che sta facendo, di intrinsecamente sbagliato.

Nota un bambino fra gli altri, il più biondo, dalla pelle talmente bianca da sembrare trasparente. Non avrà più di sette anni, ed è il più grande.

Gli fa segno di avvicinarsi, sorridendogli per rassicurarlo, e lui va verso di lei. Gli altri accennano a volerlo seguire, come se un filo invisibile li tenesse tutti legati.

Kira vorrebbe accarezzare e confortare il bambino, ma gli si rivolge come a un adulto, parlando con poche e chiare frasi in polacco.

— Come ti chiami?

— Vaslav.

— Vaslav, ti piacerebbe diventare un altro?

Kira prende un libro che le porgono. È un semplice libro per l’infanzia, con illustrazioni che mostrano bambini a casa con un padre, una madre, un nonno, una nonna, un cane, un gatto. Bambini coccolati e baciati. Bambini che vanno a scuola. Bambini che studiano. Che giocano all’aperto, a rincorrersi, o in una stanza dei giochi, con bambole e trenini.

— Ti piacerebbe diventare un bambino tedesco, questo bambino?

Vaslav guarda le immagini con gli occhi sgranati. Non ha mai conosciuto una vita del genere, ma forse la sua età e la sua intelligenza gli hanno permesso di indovinarla. Ora che la vede effigiata in un libro, vuole entrare in quel libro. Ha appena la forza di annuire.

Sì, sì, lo voglio. L’ho sempre voluto. Portami via, ti prego, e dimmi che non è un sogno.

Ebbene, Vaslav sarebbe diventato un bambino tedesco. Adottato da genitori tedeschi, che avrebbe chiamato Mütterchen e Väterchen. Lui stesso avrebbe avuto un nuovo nome, si sarebbe chiamato Hans, Heinz, o Heinrich. Non più Dreckpolack, sporco polacco, condannato a un disumano lavoro in miniera, o al crimine e all’ubriachezza, o all’accattonaggio. Un bambino tedesco, con una buona educazione e una vita migliore nel Reich millenario.

E così gli altri. Sottratti a una sorte di sventura. Diversamente da lei, Kira, sono tutti abbastanza piccoli da poter dimenticare la povertà e gli abusi, le percosse e la violenza sessuale. Col tempo, tutto l’orrore che hanno subito nella loro carne discenderà sempre più lontano nelle loro coscienze, trasformato in un incubo infantile, una di quelle favole nere con cui le balie addormentano i bambini.

Con una specie di solennità, Kira consegna a Vaslav il libro, il passaporto per la sua nuova esistenza. La promessa di entrare in quelle pagine. Essere un altro, con un altro nome e un altro destino. Un’opportunità che viene concessa a pochi in questo mondo... a nessuno.

Kira ha un brivido. È veramente come interpretare il ruolo di Dio nell’intreccio dell’universo, cambiare le carte sul tavolo da gioco, mutare il corso delle vicende umane.

Fa un cenno alle SS.

Gli uomini neri appiccano il fuoco all’edificio basso e incombente, del colore del sangue coagulato.

Le fiamme cominciano a divorare lo scadente legname da costruzione.

In meno di un’ora, ci sarà soltanto un orfanotrofio polacco bruciato, e per la cronaca tutti i suoi occupanti saranno periti in un incendio accidentale.

Ma ecco, come per una punizione nell’aver voluto usurpare il ruolo di Dio, i conti non tornano.

I bambini, i bambini non sono tutti lì.

Kira ha letto i registri dell’istituto; sa che l’ultima annotazione relativa ai nuovi ingressi dei neonati abbandonati risale a otto mesi prima. Contando rapidamente i bambini, compresi quelli più piccoli fra le braccia delle Schutzstaffeln, si accorge che ne manca uno.

Dio conosce il numero dei granelli di sabbia della spiaggia più sperduta; lei ha dato per scontato che le SS avessero radunato tutti i bambini fuori, e non avrebbe dovuto. Un bambino di otto mesi, gattonando, potrebbe essere finito sotto un letto, o in qualsiasi altro luogo nascosto, e sfuggito alla loro ispezione.