Cinque lunghissimi anni sepolto chissà dove e finalmente le Officine Ubu mosse a pietà (anche perché con Tottenham a ferro e fuoco il momento pareva adatto…) fanno arrivare nelle sale questo This Is England di Shane Meadows, un bildungsroman coi controfiocchi che non lascia indifferenti, che strappa via incrostazioni dalle coscienze imbolsite dalle consuetudini dei racconti anodini, per esporle nude crude al bagno acido di un racconto che ora indigna, ora imbarazza, ora accarezza, ora scuote.

Shaun, dodici anni, “io speriamo che la cavo” (gli altri permettendo, visto che non passa giorno che non venga pestato per bene dai soliti bulli della scuola…), padre morto nella guerra delle Falklands/Malvine, madre “quasi” ebete da televisione.

Ma l'incontro casuale con un gruppo di Skinheads gli cambierà la vita…

Detto così pare facile, anzi peggio, visto e rivisto. Invece, vuoi per la faccia “cicciotta” del protagonista, Shaun (Thomas Turgoose), che fa a pugni con la rabbia bestia che c’ha dentro, vuoi per l’ingresso nel cono d’ombra di Woody, il capo buono degli skinheads in coincidenza con l’arrivo del più cattivo dei capi, Combo (un formidabile Stephen Graham), e ben presto il film si inerpica sui sentieri scoscesi del razzismo e della violenza, della fascinazione del male sempre maledettamente seduttivo anche perché in fin dei conti non sembra chiedere molto, ma solo di schierarsi, il che ancor prima di essere una scelta politica diventa l’unico antidoto, non tanto alla noia, ma alla mancanza di identità, perché è sempre meglio averne una di identità, seppure a brandelli, che nessuna…

Vivisezione dei rapporti di forza colti come poche altre volte si è visto sullo schermo nel momento esatto in cui emergono alla luce, un fortissimo radicamento nella realtà sociale dell’Inghilterra degli anni ’80 con immagini di repertorio che bruciano lo schermo e gli occhi (la Thatcher, i Duran Duran, la carneficina dei soldati impegnati nella guerra delle Falklands/Malvine…), momenti di tenerezza e di commozione che fanno a pugni con la violenza sottotraccia sempre ad un passo dall’esplodere.

Il gesto finale di Shaun (c’è una bandiera di mezzo…), solitario e silenzioso, è la risalita dopo aver toccato il fondo (come può toccare il fondo un ragazzino di dodici anni…?), una magistrale presa di distanza senza retorica né compiacimento da tutto quello che era sembrato essere desiderabile fino ad un istante prima ed ora non lo è più, una chiusura del cerchio ma solo perché un altro se ne apre.

In piena citazione de I quattrocento colpi, Shaun guarda in macchina (quindi ci guarda…). Vuole capire se abbiamo visto bene, se abbiamo visto tutto…

Tranquillo Shaun, abbiamo visto bene, abbiamo visto tutto…