Per una qualche strana ragione psicologi, psichiatri e psicoanalisti al cinema vengono sempre accompagnati da un libro che hanno scritto: come se l’essere stati pubblicati sia la misura della loro professionalità.

Ecco un breve viaggio fra alcuni pseudobiblia scritti da chi, a forza di ronzare attorno alla psiche, finisce per lasciarsene bruciare.

Può la rabbia manifestarsi a livello fisico? Certo, e lo sanno bene quelli che soffrono di malattie psicosomatiche, patologie cioè che legano la mente (psiche) al corpo (soma). Ma la domanda è un’altra: può la rabbia assumere forme fisiche... al di fuori del corpo di chi la prova? Attraverso un film particolarissimo e “interiore”, David Cronenberg trascina lo spettatore in un viaggio nel profondo della psiche, solo per uscire attraverso il soma. Stiamo parlando di “The Brood - La covata malefica” (The Brood, 1972).

Il dott. Hal Raglan (un intenso Oliver Reed) è uno psichiatra che plagia i propri pazienti con l’innovativa “psicoplasmica” di sua creazione. All’interno della Somafree, Institute of Psichoplasmics, Raglan porta avanti esperimenti sulla cui moralità lo spettatore è in dubbio fino alla fine. «Questo è Raglan, - dice un “sopravvissuto” ai trattamenti del dottore mostrando una formazione tumorale, - si sta propagando: è una forma di cancro linfatico». Ma cosa sta realmente studiando Raglan? Quali sono i suoi veri scopi? E perché si ostina a non lasciar andar via la moglie del protagonista? E chi sono quegli orribili bambini assassini?

Tutto questo lo lasciamo scoprire a chi ancora non avesse visto il film scritto e diretto da Cronenberg, ma forse ogni risposta è racchiusa nel libro scritto da Raglan: “The Shape of Rage. An Introduction to the Psichoplasmic” (il libro viene solo mostrato e non citato direttamente, quindi non esiste una versione italiana del titolo: si può comunque tradurre all’incirca come “La forma della rabbia. Un’introduzione alla Psicoplasmica”).

La lotta tra la mente e il corpo genera rabbia e frustrazione, secondo l’opinione del dott. George Waggner (Patrick Macnee), fra i personaggi de “L’ululato” (The Howling, 1981), il film di Joe Dante che diede il via ad una lunga serie di sequel. «Tutti noi possediamo

una potente energia, - spiega il dottore in un’intervista televisiva, - e cosa ne facciamo? Molto dipende dal nostro atteggiamento nei confronti dei nostri desideri fisici, direi dalla programmazione sociale delle nostre menti.» Dietro tanti giri di parole, dietro la pubblicazione del suo saggio “The Gift” (il dono), non c’è altro che uno psichiatra che studia il fenomeno della licantropia su pazienti perfetti: una bella comunità di lupacchiotti mannari nella quale finirà la protagonista di un film che ha segnato un’epoca e fatto raggiungere al genere vette difficilmente eguagliate.

I grandi problemi della vita, è noto, non vanno affrontati nel loro complesso: è decisamente più consigliabile procedere a piccoli passi... a passi di bimbo. Questa è la strategia utilizzata dal celebre psicoanalista Leo Marvin (interpretato da un divertentissimo Richard Dreyfuss truccato à la Freud), autore di un «avanzatissimo nuovo libro» - dice egli stesso

con molta poca modestia - che ha come titolo proprio “Passi di bimbo” (Baby Steps). «Stimola a prefissarsi ragionevoli traguardi, anche uno solo al giorno: un piccolo passo per volta».

Il successo editoriale gli arride e la troupe di una nota trasmissione televisva, Buongiorno America, lo sta per raggiungere in vacanza per intervistarlo: tutto sembra andare per il meglio per il buon dottor Marvin, ma egli non sa che sta per incontrare il peggior paziente possibile. Così inizia lo spumeggiante film “Tutte le manie di Bob” (What About Bob?, 1991) di Frank Oz, in cui fanno da mattatori due interpreti straordinari: Dreyfuss lo psicoanalista impettito e pomposo e Bill Murray il paziente ossessivo compulsivo che sposerà a pieno la tesi di “Passi di bimbo”, fino però a far letteralmente impazzire il povero analista.

Cos’avrà mai scritto il dottor Bob Moore (Scott Bakula) per venire addirittura ucciso? Se lo chiede il suo amico, il dottor Bill Capa (un davvero improbabile Bruce Willis) che ora si ritrova a dover presiedere alle sedute di gruppo fra i cui partecipanti può nascondersi un assassino.

Stiamo parlando del film “Il colore della notte” (Color of Night, 1994) di Richard Rush, prova di bravura per alcuni grandi caratteristi (come Brad Dourif e Lance Henricksen) che surclassano di gran lunga un protagonista assolutamente fuori parte.

Il dottor Moore, ucciso nei primi minuti del film, ha scritto un libro pericoloso ma dal titolo decisamente innocuo: “Way to Go”: il suo autore ne è talmente soddisfatto da usare il titolo del saggio... come targa per la propria macchina!