E’ il quarto romanzo di Marco Malvaldi, chimico pisano che ha esordito nel 2007 con La briscola in cinque. L’anno dopo ha  pubblicato Il gioco delle tre carte e nel 2010 Il re dei giochi.

E’ la trilogia del BarLume, che vede protagonisti un barista, sempre coinvolto per caso in un fattaccio di cronaca nera, e quattro vecchietti che, in vernacolo pisano, fanno da supporto all’investigazione.

Odore di chiuso è invece un giallo storico, ambientato dalle parti di Bolgheri nel 1895. L’azione si svolge in un castello di proprietà del Barone Romualdo Bonaiuti e della sua strampalata famiglia: una madre paralitica e di pessimo carattere ma attenta a quello che succede intorno a lei, i due figli maschi del barone, buoni a nulla e privi di qualsiasi talento, la figlia intelligente e acuta ma con la ali tarpate perché donna. Intorno a loro ruotano servitori, fattori e due ospiti: Pellegino Artusi, il famoso buongustaio autore del celeberrimo libro di ricette, e un misterioso fotografo, a cui si aggiungeranno il medico e il delegato di polizia dopo che è stato scoperto l’omicidio. Non manca un cameo irriverente di Giosuè Carducci, il Vate dell’Italia.

In aggiunta, un io narrante che commenta l’azione.

Malvaldi contrappone efficacemente lo stile di vita della nobiltà terriera, che pensa soltanto a perpetuare i propri privilegi di casta anche dopo l’Unità, all’intraprendenza  dei ceti emergenti: mercanti, professionisti, ex servitori. La vicenda si svolge nell’arco di un fine settimana, scandita dall’arrivo e dalla partenza dell’Artusi che, manco a dirlo, ha indagato parallelamente al delegato e ha dato il suo contributo per risolvere il caso.

Si nota un’accurata ricerca storica della vita politica, culturale e quotidiana dell’Italia di fine ottocento, mentre dal punto di vista del linguaggio non capisco il motivo per il quale Malvaldi fa parlare alcuni suoi personaggi con un linguaggio attuale, infarcito di interlocuzioni fin troppo colloquiali che mai sarebbero state pronunciate in una famiglia nobile, anche se decaduta.

Forse per attualizzare il testo? Fino a un certo punto del romanzo ho pensato che volesse differenziare linguisticamente l’io narrante dai personaggi “storici”, ma non è così.

Segnalo a pag. 123 che data una lettera inviata al barone, è datata 1890 mentre i fatti riportati si riferiscono a pochi mesi prima dello svolgersi della vicenda, quindi nel 1895.