Non sempre i morti riposano in pace. Alcuni si rifiutano di restare nelle tombe: vanno dal parrucchiere, escono dalle piscine, riascoltano ossessivamente vecchi dischi. Ma non si tratta di storie di zombie, bensì di uno standard del giallo classico, spesso associato a un altro standard: una serie di eventi inspiegabili, che potrebbero essere frutto dell’immaginazione del protagonista e rischiano di condurlo alla follia, alla morte o a entrambe le conclusioni. In entrambi i casi ci si muove sul filo sottile e ambiguo del fantastico, anche se - trattandosi di giallo classico, sottogenere “giallo psicologico” - la soluzione dev’essere perfettamente logica, razionale e, naturalmente, impeccabile. I lettori di gialli classici, da questo punto di vista, sono molto esigenti. Accade anche nel Giallo Mondadori del maggio 2013 Buio come una cantina chiusa, di Enrico Luceri, già vincitore nel 2008 del Premio Alberto Tedeschi per il miglior inedito con Il mio volto è uno specchio e autore del recente Le strade di sera (Hobby & Work, 2012).

Gli esempi più famosi di morti che ritornano sono quelli di due romanzi anni Cinquanta dei francesi Boileau e Narcejac, I diabolici (Les diaboliques) e La donna che visse due volte (D’entre les morts), resi celeberrimi dai film che ne vennero tratti rispettivamente da Henri Georges Clouzot (Les diaboliques, 1955) e Alfred Hitchcock (Vertigo, 1958). Il primo ha subìto un mediocre remake (Diabolique, 1996, di Jeremiah Chechik) e il secondo ha ispirato a suo modo alcuni quasi-remake come Complesso di colpa (Obsession, 1976, di Brian De Palma) e D’entre les morts (2006, di Alain Basso). Ne I diabolici la vittima di un omicidio scompare misteriosamente (nella fattispecie, dalla piscina paludosa in cui è stata sepolta) e sembra volersi vendicare delle sue due assassine; ne La donna che visse due volte un’affascinante suicida riappare nella vita dell’uomo che avrebbe dovuto salvarla... forse non esattamente la stessa donna, anche se il protagonista cerca maniacalmente di ricreare in lei l’amata defunta.

         

L’altra componente che ricorre in questi casi, come si è detto, è la serie di eventi inspiegabili che porta i protagonisti al terrore e alla pazzia, come in Angoscia (Gaslight, 1944, di George Cukor, dal testo teatrale Angel Street di Patrick Hamilton) o in Merletto di mezzanotte (Midnight Lace, 1960, di David Miller, dal testo teatrale Matilda Shouted Fire di Janet Green).

Le stesse suggestioni si ritrovano talvolta negli sceneggiati del mistero della gloriosa RAI degli anni Sessanta-Settanta, soprattutto alcuni sceneggiati da Biagio Proietti: vengono alla mente Ho incontrato un’ombra (di Daniele D’Anza, 1974) e La mia vita con Daniela (di Domenico Campana, 1976). Riprendendo i temi di quest’ultimo, gli autori Biagio Proietti e Diana Crispo hanno scritto il romanzo Chiunque io sia (Hobby & Work, 2012). Mentre l’influenza di Ho incontrato un’ombra è dichiarata dallo stesso Luceri in Buio come una cantina chiusa attraverso la figura del commissario: Vian nello sceneggiato, Viani nel romanzo (capita, tra vecchi amici come Proietti e Luceri).

Questo tipo di giallo, classico, rigoroso e al tempo stesso atipico, è in ogni caso una sfida per ogni autore. Ci si allontana tanto dal modello «Agatha Christie» quanto dalle storie alla Maigret, per focalizzare l’attenzione su personaggi di cui nemmeno il lettore può fidarsi al cento per cento. E ci dev’essere qualcosa nell’aria, perché - oltre a Chiunque io sia - abbiamo visto di recente raccogliere la sfida da Cristiana Astori con il suo Tutto quel nero, Giallo Mondadori di grande successo nel 2011, ma anche dal regista Oriol Paulo con il suo ottimo thriller El cuerpo, che sembra riadattare nella Spagna di oggi le suggestioni della migliore TV italiana degli anni Settanta.

            

Enrico Luceri
Enrico Luceri
Ora ci prova (e ci riesce) anche Enrico Luceri, con la storia di un uomo tormentato dal misterioso suicidio del padre, avvenuto esattamente un anno prima. Il protagonista, Alfredo Zardi, improvvisamente ha la sensazione che l’anziano - e defunto - genitore sia tornato a vivere nella villa di famiglia, da tempo abbandonata, vicino alla quale si è gettato in mare da una scogliera. Il padre è forse tornato dall’aldilà per riascoltare il 45 giri della sua canzone preferita, J’entend siffler le train di Richard Anthony, e lasciare strani indizi in giro per casa? O per vendicarsi del fatto che il patrimonio di famiglia è passato direttamente nelle mani del figlio senza transitare dalle sue? Oppure il padre non è morto e il cadavere irriconoscibile ripescato dopo diverso tempo non era il suo, malgrado l’autopsia lo abbia confermato? Oppure non è il padre, bensì qualcun altro a voler giocare con la mente di Alfredo Zardi? Sempre che non sia lo stesso protagonista a immaginarsi tutto, dal momento che a vedere lo strano, anziano signore con il cappello e un cappotto di cammello (e una pistola nella tasca) sembra essere sempre e solo Alfredo...

Naturalmente, altro non si può dire. Se non che la suspense dura fino all’ultima pagina, quando gli ultimi tasselli del mosaico andranno, rigorosamente, tutti al loro posto.