Parafrasando il latino Publio Terenzio Afro, niente del mondo fantastico è alieno a Michele Tetro. Saggista, narratore, giornalista, critico appassionato e molto altro ancora (recentemente è stato fra i curatori di Mondi Paralleli - Storie di fantascienza dal libro al film, Edizioni Della Vigna), nel 2004 ha pubblicato per Falsopiano il saggio Conan il  barbaro. L’epica di John Milius, un testo illuminante che analizza ogni aspetto della saga del celebre Cimmero, dalla concezione del suo autore Robert E. Howard a quella del primo cineasta ad interessarsene, John Milius.

Oggi il saggio andrebbe aggiornato con l’arrivo nelle sale di Conan the Barbarian (in 3D) di Marcus Nispel, con l’hawaiano Jason Momoa nel ruolo che lanciò nel 1982 l’austriaco Arnold Schwarzenegger. Il confronto tra i due attori, tra i due film, tra i due registi (Richard Fleischer, autore di un sequel di Conan nel 1984 di solito si evita di ricordarlo) sta da mesi infiammando blog, forum, gruppi e dovunque ci si incontri per lanciarsi in commenti infiammati. (Commenti su cui contano i produttori del recente film, visto che finite le polemiche sarà dimenticato più velocemente di un batter d’ali cimmero!)

Malgrado la nomea di “critico talebano”, il Tetro rimane autore di un saggio approfondito sul nostro Barbaro (e, non va dimenticato, di una tesi di laurea sulla Fantasia eroica e Medioevo inventato nell’opera di Robert E. Howard) quindi una fonte autorevole a cui chiedere un commento sul recente prodotto dell’inevitabile “virus del remake” che ha ormai completamente infettato il cinema statunitense.

Non ce ne voglia Daria Bignardi, ma è questa la vera intervista barbarica!

Prima di tutto una questione fondamentale... cìmmeri o cimmèri?

Un quesito che non troverà soluzione neanche dovessi esplorare tutti i pozzi di Arallu. Il termine si trova indistintamente con l’accento sulla prima e sulla seconda sillaba. Senz’altro Howard si sarà basato su testi tutt’altro che accademici per la ricerca o l’invenzione della sua nomenclatura, quindi l’accurata accentazione avrà lasciato il tempo che trovava. Penso lo abbia inteso come “cìmmeri”, con accento sulla prima sillaba, che in inglese è “cimmerian”. In effetti, se consideriamo i cimmeri del mito (quelli omerici) e della storia (la popolazione euroasiatica affine agli iranici che originariamente si stanziò in Crimea), è facile che l’accento scivoli sulla seconda sillaba, con pronuncia alla greca, da “kimmèrioi”. Ma ho sempre sentito gli appassionati di Conan accentare il termine a loro esclusiva propensione.

È stato detto e ripetuto che non si può confrontare il nuovo film con i due classici, ma noi siamo convinti che un cimmero non tema confronti: cosa ne pensi di Conan l’Hawaiano rispetto a Conan il Barbaro?

È vero, un film va giudicato per quello che è, inserito nel suo tempo e contesto. Ma per certe pellicole è impossibile evitare un confronto con l’originale predecessore, specie se abbiamo a che fare con un cult-movie che origina da un personaggio ormai entrato nell’immaginario collettivo ed esplorato in tutti i media a nostra disposizione. In questo caso poi, il personaggio narrativo di Howard non è certo il termine di paragone (quando mai, purtroppo, Howard lo è stato al cinema?), lo è invece il film di Milius. Soffermarsi sull’infanzia di Conan, sugli insegnamenti bellici-filosofici del padre, sul suo massacro da parte di un guerriero-stregone che vuole ridisegnare il mondo a suo dittatoriale piacere, sulla brama di vendetta, sul simbolismo della spada e sui suoi virtuosismi in mano al barbaro... tutte situazione derivate a Milius e assenti in Howard. Lecito chiedersi quindi il perché di un remake così derivativo. Se c’è una cosa che trovo, e uso il termine per quel che è, idiota al massimo è sentir giustificare l’esistenza di remake o riproposte di eroi seriali o comunque già portati alla ribalta al cinema con film famosi con il concetto di “servono nuove chiavi di lettura per gli spettatori giovani”. E quali sono queste chiavi? Montaggio forsennato e adrenalinico del tipo “non capisci una mazza di quel che succede”, soppressione totale dell’attendibilità, CGI a gogò, nonsense a ripetizione, botte e botti, violenza all’originalità. Insomma, per venire incontro alle nuove leve di giovani spettatori si deve sempre farli passare per poveri deficienti. Volgarizzare il mito, snaturarlo, bambocciarlo… quando invece si potrebbe ottenere l’effetto opposto semplicemente tornando con onestà alle fonti originali. Un esempio? Proprio l’infanzia di Conan, che sia Milius (con splendide capacità autoriali) sia Nispel (con mediocre dozzinalità) descrivono segnata dalla brama di vendetta per la morte dei genitori trucidati dal negromante guerriero di turno. Un tema caro ai cineasti di genere degli anni Ottanta, quello della vendetta motore dell’azione, cui soggiacciono sia Rambo che Mad Max, giusto per citare due personaggi famosi nati in quegli anni. Ma trent’anni dopo la prima versione cinematografica non si poteva fare qualcosa di diverso e più originale, magari (incidentalmente) più fedele addirittura al Conan howardiano? Come descrivere il barbaro per quello che era, un giovane outsider insofferente alle leggi tribali, al soffocante mondo di superstizione e arretratezza dei montanari, divorato da una cocente curiosità di conoscere il mondo oltre le montagne, la civiltà, l’Eldorado, propenso a mandare a quel paese usi e costumi tradizionali per lanciarsi invece alla ricerca dell’avventura più pura. Che cosa fantastica sarebbe stata: originalità di concept, fedeltà a Howard, modernità della situazione... figurarsi.

Milius e Nispel reinterpretano a loro modo il personaggio di Howard: quale delle due versioni pensi sarebbe piaciuta allo scrittore texano?

Arnold Schwarzenegger e John Milius sul set di "Conan il Barbaro"
Arnold Schwarzenegger e John Milius sul set di "Conan il Barbaro"
Howard probabilmente sarebbe stato travolto dal piacere di vedere un suo eroe portato sul grande schermo, quindi magari avrebbe apprezzato entrambe le versioni. D’altro canto, suscettibile com’era, forse si sarebbe incazzato di brutto fin dal principio per le libertà prese in entrambi i film. Facile pensare che avrebbe fatto tutte e due le cose. Credo però che la versione di Milius lo avrebbe davvero conquistato per un motivo totalmente assente in quella di Nispel: l’immedesimazione profonda del regista nella materia trattata. Che poi era la stessa messa in campo ogni volta nei racconti di Howard dallo scrittore stesso. L’avrebbe senz’altro percepita, avrebbe colto nello spirito del regista affinità col suo. E sarebbe stato vero, Milius stesso confessava ciò nelle interviste uscite a ridosso del film, una profonda affinità con l’animo dello scrittore, entrambi soli contro tutti, osteggiati da mille nemici (reali o immaginari), consci della loro solitudine nel sistema delle cose, diversi dall’entourage comune, fuori luogo nel loro tempo. Adoro immaginare John e Howard guardare assieme il magnifico spettacolo di gigantesche nuvole bianche che si addensano all’orizzonte, là ove un uomo può essere davvero libero...

Conan ha conosciuto una vita a fumetti che ancora oggi è viva e vegeta (anche se non sempre arriva in Italia): credi che il cimmero disegnato sia più fedele all’originale rispetto ai film (e telefilm) girati?

Be’, non dimentichiamo che l’intera saga narrativa howardiana dedicata a Conan è stata più volte tradotta in vignette nel corso degli anni, a partire da Barry Windsor Smith, passando per John Buscema e Ernie Chan, arrivando fino al recentissimo Gary Nord, quasi sempre in modo fedelissimo al testo scritto. Il fumetto ha anche contribuito ad allargare i confini dell’Era Hyboriana, introducendo personaggi interessantissimi come Red Sonja (mutuato da un racconto storico di Howard) o il guerriero stregone Zula, rinsaldando i legami con altri eroi seriali come Kull di Valusia, addirittura Solomon Kane... Muovendosi attraverso il genuino canone howardiano il fumetto è stato davvero fedele ai sogni e le visioni di Howard, impreziosendoli il più delle volte. Poi ha anche strafatto: pensiamo ai “What if...” con improbabili incontri di Conan con supereroi come Spiderman, Wolverine, Capitan America, Thor... Certo la dimensione fumettistica ha contribuito moltissimo ad installare nell’immaginario collettivo il personaggio, così come è comunemente riconosciuto.

Inseguimenti a cavallo, assalti alla diligenza, arrembaggi coi pirati, scene d’amore con tanto di musica d’atmosfera: nell’ultimo “Conan” cinematografico c’è davvero di tutto... manca solo Conan, no?

Più precisamente, manca Howard. È tutto qui il problema. È sempre mancato, in ogni riduzione cinematografica, tranne quella di Milius, dove però era presente in forma sublimata. Ma forse intendevi un’altra cosa, con la tua domanda. Ricordiamoci che lo stesso Howard, quando scriveva negli anni Trenta, era solito prendere ispirazione dal cinema del suo periodo, soprattutto da pellicole avventurose ed esotiche come “Il ladro di Bagdad”, “Zorro”, “Robin Hood”, interpretate da attori come Douglas Fairbanks e dirette da Cecil B. De Mille, Fred Niblo, Michael Curtiz, Raoul Walsh... Nella sua rutilante immaginazione trasfondeva poi tutto nella mutevole e variegata Era Hyboriana, dove era possibile capire in precedenza, sulla base della connotazione geografica degli scenari dei racconti, se si sarebbe trattato di un racconto dalle atmosfere da Mille e una Notte, western, cappa e spada, avventura esotica, thriller, horror… Un bel patchwork di elementi differenti, spesso in contrasto tra loro ma perfettamente oliati dalla trascinante capacità di scrittura di Howard e dal suo credere fermamente in ciò che faceva. I suoi mondi sono reali proprio per questo, per questa capacità di renderli vivi, tridimensionali, anche con poche incisive pennellate. Perciò se in un film di Conan ravvisi tanti generi che vengono a confluire in uno, quello propriamente del fantastico, non è cosa negativa... se fatta bene. Se fatta con lo spirito di Howard. Altrimenti sì che è un bel paciocco... e quest’ultimo Conan è un bel paciocco.

Anche i detrattori più incalliti apprezzano però l’interpretazione di Momoa: tu che ne pensi? E visto che siamo barbari, non temiamo un confronto con Schwarzenegger...

I due Conan: Arnold Schwarzenegger e Jason Momoa
I due Conan: Arnold Schwarzenegger e Jason Momoa
Forse l’apprezzano perché il film è così brutto che quel che si salva, a forza, va cercato proprio nell’attore protagonista, che comunque è ben lungi dal fare un Conan howardiano. Lo ricorda in certe frasi, desunte dai racconti originali, in certi atteggiamenti spavaldi, in un mood tenebroso e accigliato, in una sornioneria che rivela scaltrezza sotto l’aspetto di barbaro non civilizzato. Però poi vedi primissimi piani di occhi castani, al posto «dei vulcanici occhi azzurri», fronte aggrottata e prominente alla klingon incazzato, ammiccamenti oculari tipo Mel Gibson, americani anzichenò... Ti dirò, non è che mi importi moltissimo sapere chi possa interpretare meglio Conan, se Schwarzenegger o Momoa... se tale interpretazione non rispecchia l’originale narrativo. Tra i due preferisco ancora Schwarzenegger, senza essere poi suo fan. Mi sarebbe piaciuto vedere nei panni del cimmero, a suo tempo, il caratterista Sonny Landham, che faceva l’indiano sensitivo nel primo “Predator”: c’è una scena dove scoppia a ridere che mi ha ricordato alla grande proprio Conan...

Il serpentone verso la fine ti sembra una citazione del “vecchio” Conan?

Il film è strapieno di citazioni, copia e incolla, spesso solo copia e basta. No, non ho ravvisato in quella sequenza una citazione o un omaggio particolare del film di Milius. È solo un inevitabile e gratuito sfoggio di CGI, di rigore in questi tempi. Non mi è neppure sembrato ben fatto, in realtà, come tutti gli altri effetti digitali del film, goffi e stravisti. Curiosa poi l’idea della nave che viene trasportata “a mano” per terra, derivata direttamente da “Uomo bianco, va’ col tuo Dio” di Richard Sarafian, per non parlare del “Fitzcarraldo” di Werner Herzog.

La corsa con le uova a cui i giovani cimmeri devono sottostare come rito d’iniziazione ha dei riscontri in Howard o si rifà semplicemente ad una scena straordinariamente simile in “Rapa Nui”?

Ovviamente non ha nessun riscontro con Howard, che non si è mai soffermato sull’infanzia di Conan. È una sequenza imbarazzante, non solo perché clone di quella vista in “Rapa Nui”, ma perché fa venire in mente le nostrane sagre paesane più che un nordico rito di iniziazione. Insomma, ma chi può immaginare dei cimmeri che per conquistarsi l’onore di combattere non devono rompere un uovo di corsa? Anche il seguito della scena, con i pitti che sembrano uroni del Nord America, mi ha lasciato alquanto indeciso se star male o scoppiare a ridere. Vero è che Howard stesso nel racconto conaniano “Oltre il fiume Nero” intese rievocare gli scontri tribali tra cimmeri, pitti e aquiloniani come ancestrale retaggio delle lotte tra coloni e nativi d’America, ma qui è grottesco...

In generale, quindi, come ti è sembrato questo nuovo film?

Una boiata, purtroppo e prevedibilmente. Sembra che nulla funzioni, né nell’insieme né considerando singole parti. La storia è di una banalità spaventosa, riesce quasi a far sembrare un capolavoro il sequel di Richard Fleischer “Conan il distruttore”, che pure era già di suo un innocuo fumettone. Inutile in quanto non innovativa la parte sull’infanzia di Conan, dove già si comincia a ridere tra uova e pitti-mohicani, tremenda la nuova “filosofia” della spada del padre di Conan, e poi di male in peggio, con situazioni trite e ritrite, esasperazione di una violenza comunque “finta”, un continuo e totalmente insensato mulinar di lame da parte del barbaro, pure a cavallo durante un inseguimento, ma sarebbe lungo proseguire ad evidenziare pecche. Mi ha dato l’idea di un filmetto del venerdì sera, già evaporato nel ricordo il sabato successivo. Non so proprio cosa poter evidenziare in senso positivo: le musiche sono ininfluenti, le location squallide, i caratteristi amorfi, il ritmo fracassone e monocorde al tempo stesso, il finale telefonato. E tutto questo senza voler fare paragoni coi precedenti, perché così la cosa diventerebbe pure divertente. Ma ti dirò cosa è davvero fallimentare in questo film, e che invece decretò il successo di quello di Milius, oltre alla già citata immedesimazione alla materia trattata tipica del regista e dello scrittore. Qui manca l’afflato epico dell’avventura, l’idea di stare vivendo, con le parole di Milius «qualcosa di grande». Quella solennità dell’impresa, quell’ariosità spettacolare dell’immagine, quella colonna sonora “drammatizzante”, quel verismo di ambientazioni, quella fisicità di ruoli che fecero del film di Milius un vero cult-movie. Il vero senso dell’avventura, avventura epica ancor più che fantastica (genere quest’ultimo poco simpatico a Milius e infine abbandonato pure da Howard, che prima di morire decise di dedicarsi esclusivamente al western). Nel film di Nispel non c’è nulla di tutto questo, sembra raffazzonato alla meglio, i cambi di ambientazione rivelano una singolare monotonia di location, si parte dalla Cimmeria, si attraversa Zingara, si arriva in Hyrkania con una colpevole faciloneria che avrebbe fatto ridere pure Emilio Salgari, esperto in trasferimenti “lampo”, e con questo si serve pure Howard, due veloci citazioni nominali e tanti saluti. È un film disonesto nei confronti di Howard, e fin qui era palese aspettarselo, ma anche nei confronti del pubblico, perché serve piatti insipidi, rancidi e forse pure scaduti. E rivela impietosamente l’incapacità di stupire dell’attuale heroic fantasy cinematografica. Forse se si fosse intitolato “Tarazum il barbaro” sarebbe stato meglio, almeno gli spettatori avrebbero potuto dire «una cazzatina, sì, simpatici però quei richiami o omaggi a Howard, in alcune scene, in alcuni atteggiamenti del protagonista». Concludo, individuando forse il solo aspetto positivo del film di Nispel, quello che più ho gradito e giusto per non essere il solito tetro talebano: la parola “Fine”. Sperando sia tale.