Macchiavelli Loriano, scrittore, si cimenta con Via Crudes in una storia che va oltre noir, il genere che l’ha fatto conoscere al grande pubblico. È una "favola per adulti", una via crucis laica in tredici stazioni, protagonista un Pellegrino senza nome, verso una Bologna "città nascosta"; un viaggio senza tempo, allegorico e suggestivo, con passi che spesso affondano su un suolo fradicio di sangue.

"Se la storia fosse maestra di vita", dichiara lo stesso autore in un’intervista di Barbara Baraldi, "oggi noi vivremmo in un paradiso terrestre; non ha mai insegnato nulla. Ma non è colpa della storia, è colpa nostra, che non abbiamo memoria." Una ciclicità che è quasi una maledizione che Loriano tenta di spezzare stendendo la narrazione in un non-tempo, una bolla in un continuum rosso vermiglio. Anatema che è anche compito nostro sciogliere: "Siamo arrivati al momento del coraggio: il coraggio non accettare più le norme, la consuetudine, le leggi di secoli. È il momento per un nuovo pensiero e una nuova cultura perché il vecchio pensiero e la vecchia cultura ci hanno sempre ingannato".

Un sottotitolo a Via Crudes potrebbe essere: "Storia di un pellegrino sulla via di una Nuova Età di Mezzo". Macchiavelli recupera la sfera del mito e della fiaba, alzandosi e immergendosi nello stesso momento nella contingenza della nostra epoca: il clangore delle spade che si tramuta nel tuono delle bombe e viceversa.

Qualcuno parlerebbe di Compresenza dei tempi: "Egli è il testimone della presenza d’un altro tempo all’interno del nostro tempo, è l’ambasciatore d’un altro mondo all’interno del nostro mondo. Possiamo definire questo mondo il mondo che vive fuori della storia di fronte al mondo che vive nella storia". Questo illustre "Qualcuno" è Italo Calvino e queste parole le scriveva a proposito di Carlo Levi. Con i dovuti distinguo di opera e poetica, le potremmo rileggere per Loriano Macchiavelli. In fondo il mondo è sempre quello, spaccato sui quattro punti cardinali – nord, sud, ovest, est – e sprofondato in una dimensione temporale che è tutt’altro che una linea retta ma piuttosto una curva anomala che vogliono farci credere circolare.

Potremmo quasi inserire Via Crudes nel filone nel New Italian Epic, gli elementi ci sono tutti: mito, allegoritmo, sguardo obliquo. Anche se in definitiva l’impressione dominan

Il 3 maggio 1808 di Francisco Goya
Il 3 maggio 1808 di Francisco Goya
te è quella di un’opera viscerale, scritta d’istinto da un uomo che vive e sente profondamente il proprio territorio e non lo isola dal mondo: come a dire che il lembo di terra tra la Valmarecchia e Bologna altro non è che un cristallo frattale dell’universo dell’uomo. E anche in questo sta il sincerissimo umanesimo dell’opera.

"Gli ho descritto i monti e le dure bellezze del mio paese; gli ho detto dei disagi e della miseria che troppo spesso viene ad abitare dalle nostre parti e di come i nostri ricchi siano uguali ai ricchi di ogni parte del mondo. Gli ho fatto il quadro triste della mia gente che, per i troppi problemi o per stanchezza o per ignavia o per disinteresse o chissà per quale motivo, ha dimenticato che esistono altre gioie oltre quelle di produrre, consumare, accumulare".

Dunque, ancora una volta: Passato, presente e chissà.

Luigi Bernardi, presentando il 21 gennaio scorso Via Crudes assieme all’autore nell’ambito della rassegna "Oltre i noir, scrittura e territorio a Bologna e dintorni" ha detto, con cognizione di causa, che "abbiamo perso l’immagine del futuro". Ce la dobbiamo riprendere quest’immagine, prima che sia troppo tardi. E quella sera, Macchiavelli Loriano, un umile scrittore che ancora ha il garbo di parlare al condizionale quando esprime una sua opinione, uno che durante l’arco dell’incontro non ha quasi mai pronunciato la parola "io", ha salutato il pubblico leggendo queste righe:

"Hanno talmente imbalsamato i nostri sensi che nessuno di noi riconoscerebbe, se li incontrasse, né il bene né il male.

E ci parlano di morale. La morale è un’impostura e serve solo a garantire gli interessi del più forte".