Chan-sil (Kang Mal-geum) è una produttrice di film indipendenti che ha dedicato la propria vita al cinema, seguendo la carriera di un unico regista con costanza gestendo i soldi a disposizione e coordinando l’intera troupe; c’è anche chi la definisce “il gioiello del cinema coreano”, lodando la sua capacità di portare avanti con coraggio la scelta di sostenere il cinema indipendente invece di piegarsi alla produzione di blockbuster inconsistenti. Eppure, tutto questo si rivela effimero nel momento in cui il regista muore fulminato da un attacco di cuore: di colpo, a quarant’anni Chan-sil si ritrova senza lavoro, non più gioiello ma scarto, e dovrà fare i conti con le scelte compiute  ̶  l’aver sacrificato tutto per amore del cinema d’autore, rinunciando a una vita sociale e affettiva  ̶  imparando a convivere con il solco lasciato dalla perdita per poter trovare la forza di ricominciare.

Così, la donna decide di ritirarsi a vivere in montagna prendendo una stanza in affitto da un’anziana signora un po’ burbera (Youn Yuh-jung), guadagnandosi da vivere diventando una tuttofare a casa della sbadatissima sorella Sophie (Yoon Seung-ah), attrice priva di talento la cui vita è fastellata da corsi improbabili che forse neanche le interessano né le sono utili. Fra pulizie, fornelli e passeggiate al parco, Chan-sil cerca di sciogliere il peso del dolore per arrivare a sapere cosa vuole veramente da se stessa e dal futuro ora che il cinema sembra svanito dalla sua vita; eppure, lo spettro del cinema tornerà a bussare prepotentemente alla sua porta prima attraverso l’incontro con Kim Young ( Bae Yoo-ram), aspirante autore di cortometraggi costretto a fare l’insegnante di francese per sopravvivere, poi con la buffa apparizione di un fantasma in mutande e canottiera bianche (Kim Yung-min II), che si rivelerà essere lo spirito dell’attore Leslie Cheung, di cui la figlia dell’anziana padrona di casa era appassionata. E fra chiacchierate con il fantasma e improbabili struggimenti per Young, Chan-sil si ritroverà inevitabilmente ad avvicinarsi all’anziana signora con cui ormai vive, cominciando a condividere frammenti di vita anche con lei. Finché quell’unica domanda che sembra voler evitare per non soffrire griderà forte nel suo cuore pretendendo una risposta chiara: Posso vivere senza fare film?

Al suo secondo lungometraggio, la regista coreana Kim Cho-hee ci offre un piccolo inno alla leggerezza che, come Chan-sil dice parlando dei film di Ozu, “cattura i miracoli di ogni giorno”, le segrete vittorie che ci attendono se sappiamo essere pazienti e dare il tempo alle idee di maturare, invece di “bramare sempre qualcosa”, come Chan-sil ricorda la propria giovinezza, fatta di furia e incapacità di amare.

Perché vivere non è soltanto lasciarsi la sofferenza alle spalle ma anche cercare di esaudire i desideri che ci sentiamo di realizzare giorno per giorno un poco alla volta, dedicandoci“ a tutto ciò che desideriamo vedere”. E questo, sapere ciò che si vuole veramente e renderlo vero e reale per noi, è ciò che può renderci “lucky”, fortunate e fortunati perché vive e vivi senza rincorrere miraggi  ̶  ad esempio inseguire l’idea del romance, che troppo spesso rappresenta un falso obiettivo soprattutto per molte donne giunte a un bivio dell’esistenza. In tal senso, il film è anche un messaggio sottile ma molto chiaro di empowering femminista, lasciando sottintendere che si può vivere benissimo senza un uomo al proprio fianco dopo i quarant’anni (o, nel caso della padrona di casa, anche nella vecchiaia). Soprattutto, Kim Cho-hee sembra dirci che l’amore sia qualcosa da coltivare per noi stesse e noi stessi e per realizzare quello che vogliamo veramente, non proiettandolo verso l’esterno, perché sarebbe soltanto un riempire la solitudine invece che un dare corpo ai propri sogni. Il che ci riporta alla magia del cinema, altro vero protagonista del film. Con il suo alternarsi continuo di leggiadra comicità e poesia, Lucky Chan-sil è infatti un vero e proprio omaggio al cinema, sia occidentale  ̶  Il tempo dei gitani di Emir Kusturica si rivela essere la ragione che ha spinto Chan-sil a scegliere di dedicarsi a questa arte  ̶  che orientale, segnalata dalla presenza di “Leslie Cheung”, il consigliere spirituale di Chan-sil, tributo a un’icona intramontabile della New Wave hongkonghese, l’(anti)eroe sognante di capolavori indimenticabili come Nomad di Patrick Tam, Rouge di Stanley Kwan o Days of Being Wild di Wong Kar-wai. Ispirandosi a lui, simbolo dell’energia creativa e della vitalità intramontabile del cinema, la luce della verità ritrova finalmente il suo spazio, nella vita di Chan-sil come nello schermo.