Oggi sei editor per la casa editrice Fazi. Ci spieghi esattamente cosa implica questo ruolo?

Sono editor della narrativa italiana, e questo significa intervenire a ogni livello del processo di trasformazione che dal manoscritto porta al libro stampato. Ma non solo. Quando suona la campanella nella testa, e ci si convince che la risma di carta che si sta sfogliando contiene una storia interessante, si avvia un ingranaggio che prevede confronti interni alla casa editrice, l’approvazione del progetto da parte dell’editore, consultazioni con l’autore, decisioni circa la collocazione ideale del libro nel calendario delle uscite, e un lavoro di editing sul testo che, per quanto mi riguarda, è la parte piú entusiasmante del lavoro. Nel frattempo, con netto anticipo rispetto all’invio del libro in tipografia, dovrebbe essere partita anche la macchina promozionale: la componente marketing è tenuta in grandissimo conto alla Fazi. La vera sfida è rendere l’intero processo il più rapido possibile, con un sempre miglior coordinamento tra le professionalità coinvolte, dall’ufficio stampa alla redazione, dalla responsabilità editoriale all’ufficio grafico. Specie da noi, che abbiamo tutto interno.

Ci racconti i passaggi fondamentali della tua carriera?

Dopo 5, 6 anni di giornalismo, durante e subito dopo l’università, mi sono trasferito a Milano per frequentare il master in editoria presso la Fondazione Mondadori: esperienza intensa, divertente, che ha il pregio di farti entrare in contatto con le migliori professionalità dell’editoria italiana, milanese e non. Da bravo meteoropatico, però, non potevo sopportare di vivere a Milano più a lungo di un anno. Ricordo quanto brigai per convincere la direzione del master a scegliere per il mio stage una destinazione romana. Capitai alla Fazi, nel settembre del 2003. Dopo lo stage mi chiesero di restare: in redazione prima, poi con uno spazio via via crescente nella lavorazione dei testi degli italiani, infine editor. Sono trascorsi quasi sette anni. Cosa rara, visto il forsennato turn-over che caratterizza l’ambiente editoriale.

Se tu dovessi condensare la definizione del tuo ruolo in pochissime parole, cosa scriveresti?

Un lavoro bellissimo e straniante: più lo si osserva da lontano, più sembra romantico.

Un errore che un editor deve evitare.

Il gusto personale è importante, dà l’impronta al proprio lavoro, ma occorre evitare che soppianti del tutto considerazioni d’altro tipo, specialmente quelle inerenti il mercato e le esigenze contingenti la casa editrice in cui si lavora.

Le caratteristiche di un manoscritto che ti incuriosiscono.

Amo il registro della commedia, che, se è valido, è in grado di spazzar via ogni retorica, ogni accento di banalità. Mi colpiscono sempre i dialoghi ben scritti, scattanti… E proprio il dialogo è una grave carenza in tanta giovane narrativa italiana.

Quelle che ti fanno chiudere il manoscritto

La retorica, appunto: e per retorica intendo ombelicalismi, toni da diario esistenziale del tipo «sto tanto male e nessuno mi si fila», la presunzione di ritenere che una storia, solo perché è nostra, o magari dolorosa, debba per forza interessare qualcun altro. In realtà si raccontano sempre le stesse cose. Sono le parole e l’angolo visuale cui affidiamo il racconto a dover avere in sé un’originalità e sincerità capaci di sorprendere.

Tra i libri di cui ti sei occupato, ti chiediamo di nominarci quello più ironico.

Mia sorella è una foca monaca di Christian Frascella, e anche il suo secondo romanzo, attesissimo in libreria per la fine di marzo, Sette piccoli sospetti.

In passato, poi, ci sono stati i romanzo di Lorenzo Licalzi…

Quello con cui avete più osato

La Fazi ha nel suo dna accettare scommesse impegnative: così fu per Melissa P., e per la stessa Meyer – la mania vampire friendly coniugata a una diffusa sensibilità neoromantica sono stati intercettati da noi per primi. Tra gli italiani, scommesse importanti, e vinte, sono state anche il formidabile esordio di Chiristian Frascella, lo scorso anno, e Cesarina Vighy, che ha vinto il premio Campiello Opera Prima.

Quello che ha dato più soddisfazioni in termini di vendita

Sono molti, specialmente negli ultimi due anni…

Quello che ha dato più soddisfazioni in termini di critica

Mia sorella è una foca monaca di Christian Frascella, I gatti lo sapranno e Ci saranno altre voci di Giovann Ricciardi, definito da Marco Lodoli come «il Montalbano romano». Poi Cesarina Vighy col suo L’ultima estate. Tra gli stranieri, non dimentichiamoci della nostra Elizabeth Strout, Premio Pulitzer 2009.

L’ultimo a cui hai lavorato.

Sette piccoli sospetti, la seconda, attesissima prova di Christian Frascella. Uscirà in libreria il 25 marzo.

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A che progetto stai lavorando ora?

Un libro di cui non posso dir nulla. Ma che farà parlare di sé.

Qualche consiglio per aspiranti scrittori

Un consiglio alla Carver: Scrivete di cose che conoscete! Riguardo la letteratura di genere (se ancora si può parlare di “genere”), quella buona, ci vuole un talento davvero mostruoso per non sembrar ridicoli a parlare di mondi estraterrestri o di maniaci omicidi.

Cosa pensi della situazione editoriale italiana?

Rispondo con un: «Eppur si muove!».

Cosa fai quando non lavori?

Non me lo ricordo più, ormai…

C’è qualcosa che ti piacerebbe fare e per cui non trovi tempo?

Leggere: solo per me, per puro piacere.

Ci saluti con una citazione che ami?

«Non datemi consigli, so sbagliare da me!». Leo Longanesi, anche se l’attribuiscono a molti.