Nel tuo romanzo sono presenti diverse realtà: quella concreta della vita quotidiana, quella vicina di un’alterità tenuta a distanza, quella lontana degli avvenimenti letti sul giornale. Differenti strati del vissuto e del sentito sovrapposti con grande equilibrio. Vorrei sapere se questa sovrapposizione è stata studiata o è venuta spontaneamente.

Da un punto dei contenuti quando scrivo so da dove parto e dove vado a parare, quello che succede in mezzo viene deciso di giorno in giorno. Da un punto della struttura, nulla è casuale. Bensì frutto di studi, ricerche, revisioni. Ovvero devo trovare la veste adatta al tipo di contenuto. Il lavoro è davvero maniacale, a cominciare dalla punteggiatura.

Affronti un tema scomodo ma soprattutto lo affronti ponendoti in una posizione non scontata: il fondamentalismo islamico contro le donne. In realtà detta così è una semplificazione somma e rasenta quasi la banalizzazione perché la tua critica non è diretta solo contro l’estremismo maschilista islamico, ma contro qualsiasi forma di fondamentalismo (tant’è che non si risparmiano riferimenti neanche all’integralismo cattolico). Quali dubbi ti son venuti prima di accingerti a scrivere o durante la stesura?

Nemmeno uno, sono sempre stato convinto di quello che stavo facendo. Ma ci tengo a precisare che più che contro qualcuno, il libro si pone a favore dei diritti delle donne. E si pone come obiettivo quello di riaffermare e di ripristinare la laicità dello stato italiano. Uno stato dove la Chiesa agisce come soggetto politico.

Pensi che questo libro potrebbe non essere capito?

Temo che possa sembrare un libro che schierato politicamente. Anche se di sicuro è un testo che non risparmia critiche agli xenofobi. Ma quelli sono fuori, o comunque li escludo io, da ogni confronto democratico.

Tu cosa risponderesti a possibili fraintendimenti?

Di rileggersi il libro.

I tragici omicidi di Hina e Sanaa, da cui hai preso spunto, come credi abbiano influenzato l’opinione pubblica?

Molto il primo omicidio. E’ stato uno shock scoprire lati così oscuri e violenti della legge religiosa islamica. Il secondo molto meno, non era più una novità. Pochi giorni ed era già sparito dalle pagine dei giornali. Oramai al peggio c’è un processo rapido di assuefazione.

Quanto di te c’è nel protagonista e della sua incazzatura col mondo?

Tutti i miei protagonisti sono incazzati con il mondo. É una costante nella mia scrittura. Ma d’altra parte o vivi da ignavo o vivi con la rabbia dentro. Ma oltre e farsi un fegato così serve a qualcosa? Ovvio che no, ma almeno.

Cosa rappresenta il motivo ricorrente della cronostoria giornalistica della morte di Michael Jackson?

É l’aspetto puramente letterario del romanzo. Una specie di filo rosso che attraversa e unisce la storia principale. Quando finii la prima stesura Jackson era ancora vivo, sono stato purtroppo tragicamente profetico. Molti sono stati i dettagli aggiornati in seguito, ma diversi di fantasia sono stati lasciati com’erano. Il tutto senza dimenticare che Jacko si era convertito alla religione islamica e che anche lui è stato vittima di gravi soprusi.

La tua scrittura è fluida e si basa spesso su accostamenti inediti di immagini/sensazioni/ situazioni. Cito tre righe che mi son piaciute molto: «[...] vecchie dai polpacci suini con borse da cui debordano foglie di sedano, nell’aria eccessi di luce ultravioletta, più lontano una chiesa che mormora, l’universo si espande da quattordici milioni di anni e noi sempre qui a fare che.» (pp. 69-70) Ci dici qualcosa della tua scrittura? Stendi a cascata, utilizzi dizionari, ti segni su un taccuino le illuminazioni...

Scrivo ogni giorno per molte ore, ma alla sera ho prodotto una pagina, al massimo due. Spesso prendo appunti quando per la testa mi passa una frase che potrei utilizzare e tengo un bloc-notes sul comodino accanto al letto.

Ma altrettanto spesso studio, apprendo e rielaboro quello che leggo, e in questo caso mi riferisco a quotidiani e saggi.

Secondo te lo scrittore dovrebbe porsi un fine etico? Se sì, quale? O, per lo meno, cosa uno scrittore non dovrebbe fare?

Deve essere consapevole del suo ruolo, ovvero di essere interprete della società in cui vive. Ma non lo è quasi nessuno, per la maggior parte degli “scrittori”, l’importante è avere il proprio nome su una copertina ed essere riconosciuti pubblicamente in quanto tali. La parola scrittore è ormai un titolo nobiliare.

Com’è l’ambiente letterario italiano? Ti ci ritrovi come intellettuale/scrittore/artista?

É come l’Italia, una spaghettata tra amici e sembra vada tutto bene, mentre sotto il tavolo hai il baratro. L’ambiente non lo frequento, per cui non mi ci ritrovo a priori. Ho alcuni amici, cui voglio bene.

Tre scrittori di riferimento

Thomas Bernhard, Don De Lillo, José Saramago

Stai già pensando a un nuovo libro? Quali argomenti ti piacerebbe affrontare?

Sto finendo di scrivere “Il chirurgo rosso”, storia ambientata in provincia di Bologna tra il dicembre ’76 e il marzo ’77. Sotto la veste thriller si ricostruisce la storia del Movimento del ’77 e allo stesso tempo del terrorismo nero. Il prossimo sarà “Metastasi”, analisi di tutti i cancri che devastano la nostra società. Mi piacerebbe però affrontare l’argomento Stasi, ovvero il servizio segreto della DDR. Il soggetto e il titolo già ci sono, “Il correttore di necrologi”, ma è un impegno quasi proibitivo.

Salutaci con una citazione da Italian Sharia

“Meno male che ci sono gli immigrati perché se ci fossero solo italiani avrei paura a uscire di casa”

Bibliografia di Paolo Grugni (intervista Dietro le quinte in rubriche/4274)

Italian Sharia, Perdisa Pop, 2010 (recensione su TM in libri/9320)

Aiutami, Barbera, 2008

Mondoserpente, Alacràn, 2006 (recensione su TM in libri/4473)

Let it be, Mondadori, 2004 (recensione su TM in libri/1032)