In Corpo morto e corpo vivo: Eluana Englaro e Silvio Berlusconi, (Transeuropa, 2009), la proposta di fondo di Giulio Mozzi è di santificare Eluana Englaro e proclamarla martire della tecnica, proposta rivolta al popolo di Dio ma anche alle gerarchie ecclesiastiche. Questo libro è la tappa editoriale successiva a un percorso collegato al testamento biologico e iniziato nel web, all’interno di Vibrisse, dove Mozzi ha chiesto ai lettori di inviare il proprio testamento biologico perché venisse divulgato on line. Accanto alla proposta di santificazione della «povera ragazza Eluana Englaro, uccisa dopo diciassette anni di vita indescrivibile, e dopo lunga battaglia legale, dal padre Beppino Englaro»  si affianca una riflessione sull’altro corpo oggetto del saggio, quello di Silvio Berlusconi, morto e risorto mediaticamente, in procinto di eternizzarsi, disposto anch’esso a piegarsi all’etica utilitaristica che muove una certa politica.

Si tratta di un breve pamphlet (un centinaio di pagine inclusa la nota conclusiva di Demetrio Paolin), basato su argomentazioni quasi saggistiche, portate avanti con lucidità ma anche con la passione di un «cattolico tentato dal protestantismo» che ama profondamente la Chiesa, che osserva il mondo, annota, utilizza il registro logico per analizzare i fatti, anche laddove gli eventi dimostrano che la logica si è persa.

Il lettore divora il libro con la curiosità di chi sa che ha sotto gli occhi un argomento scottante e molto delicato. La scrittura è quella fluida di Mozzi, scrittore e consulente editoriale per Einaudi Stile Libero. E lungo i ragionamenti e le riflessioni, si possono evidenziare alcune parole chiave, spesso tra loro concatenate: “utilizzo” e simili, “tecnica”, “corpo”, accanto alle quali l’autore stesso ne aggiunge altre: «per me è importante anche l’espressione “la povera ragazza Eluana Englaro”. Poi ci sono delle parole che utilizzo come frame, ad esempio la parola “indescrivibile”, ovvero “della quale non si può scrivere” perché non ne sappiamo niente, va al di là delle nostre possibilità di conoscenza. Indescrivibile è la parola dell’umiltà: non ne sappiamo niente, ce l’abbiamo davanti, è lì ma non siamo in grado di descriverla, è un qualcosa che va trattato come un mistero.»