Nel 1963 la Mattel aveva appena messo sul mercato un giocattolo rivoluzionario. La bambola Barbie che da allora ha riempito le tasche dei suoi inventori ei sogni di milioni di bambine. La concorrente Hasbro se ne venne fuori con un’idea che doveva controbattere il successo dei rivali. Un pupazzetto (non una bambola) chiamato Action Figure dedicato ai ragazzi. Soldati grandi una 30 di centimetri. Modelli ispirati alla seconda guerra mondiale provvisti di snodi, accessori, blister aggiuntivi, package invitanti con soldati russi, tedeschi, giapponesi, truppe speciali. Fu un successo, forse non uguale a quello delle Barbie ma tale da dare origine a vaste esportazioni, giornalini a fumetti e quant’altro. Quando arrivarono in Italia ero un ragazzino, diversi anni dopo. Costavano carissimi e, a volte dovevamo ripiegare su brutte imitazioni. Erano giocattoli, non troppo resistenti per la verità, almeno per il tour de force cui io e i miei amici li sottoponevamo girando dei veri e propri film durante i quali inevitabilmente snodi e articolazioni partivano definitivamente. Era una fonte di avventure inventate e immaginate che conserverò sempre nella mia mente. Parte della voglia di raccontare storie nasce da lì. In seguito il destino dei G.I. Joe cambiò. In America c’era ancora la guerra del Vietnam e i sentimenti antimilitaristici erano ancora molto forti. Il coro degli idioti che scambiano il gioco per la realtà crebbe. Poi ci fu la crisi energetica che mise in difficoltà un mercato che già dava segni di stanchezza. Il G.I. Joe divenne un avventuriero, l’Action Man. In seguito arrivarono gli attuali G.I. Joe in scala minore che sono una specie di super eroi dei quali, sino a poco fa ignoravo l’esistenza e tutto il merchandising( cartoni compresi) che li circondava. Dal canto mio negli anni 2000 scoprii che c’erano ditte giapponesi e cinesi che costruivano modelli simili alti uguali ed estremamente dettagliati. Non giocattoli ma costosi pezzi da esposizione e collezione. Non sono un fan della Seconda guerra mondiale ma non ho resistito a creare la mia collezione di Spie e terroristi attingendo ai cataloghi della Dragons soprattutto ma anche di altri produttori che hanno riportato il mito di Bond in Action figures ma anche creato modelli particolari ricalcati sui visi di attori famosi del cinema di Hong Kong. Qui in una stradina di Mongkok, nel quartiere riservato alla vendita di giocattoli ho trovato dei negozietti che vendevano teste di attori famosi, action figures di Chow Yun Fat, di Jackie Chan, di Norika Ishikawa e persino di Jean Reno. Quando cominciò la guerra al terrore ci fu un ultimo offspring di modelli sulla guerra e, naturalmente, c’era anche il pupazzetto di Osama e quello di Saddam. A me però interessava più crearmi una collezione che rispondesse al mio immaginario, mescolando pezzi e vestiti, integrando certi modelli con le Cy Girl che erano una collezione solo femminile. Oggi vedo il film di Sommers che forse non è un capolavoro ma è ben gestito. Un cartone vivente, tutto effetti speciali e con una trama di adeguata ingenuità. Sì, perché il ritmo e le trovate visive, le scene d’azione, le arti marziali, la base sotto il Pack e la Torre Eiffel che crolla in verità sono cementate dal desiderio di farci tornare bambini, obiettivo di molti film in questi ultimi tempi. Obiettivo spesso fallito ma, in questo caso, devo ammettere, riuscito.