Io credo che un Paese abbia bisogno di una cultura popolare, intesa nel senso di accessibile a tutti, divertente, coinvolgente, non educativa o demagogica. E la cultura popolare vive su due pilastri fondamentali dello stesso edificio. Gli eroi e la loro mitologia. Ora, in Italia non è vero che non esista una cultura popolare in questo senso, solo che una certa critica e una parte dell’intellighenzia che scrive libri incomprensibili e invendibili finge che non esista, che sia sottocultura. Dai tempi di Salgari, di Tommy River, del Piccolo Alpino se vogliamo, sino a Corto Maltese e Dylan Dog questa cultura popolare ha trovato modo di esprimersi. Tex ne è un esempio inossidabile che neanche le cannonate riuscirebbero a scalfire. Diabolik è un altro esempio. Fumetto, cinema (il film di Bava non era granché ma quando siete di cattivo umore riguardatevi Marisa Mell poi mi dite..) e una serie di novelization per la verità non particolarmente curate negli anni 60... ma da qualche anno anche romanzi. Storie di qualità scritte da uno narratore vero che di editoria se ne intende essendo autore non solo di romanzi di successo, ma anche validissimo e impegnatissimo traduttore di autori del calibro di Jeffrey Deaver e Preston e Child oltre che curatore di collane come i best seller del crimine ed editore lui stesso. E poi saggista e uno dei massimi bondologi italiani. Non è uno sterile elenco delle capacità professionali di un collega e di un amico da più di vent’anni che vi sto facendo. Per portare sulla pagina scritta il mondo del ‘re del terrore’ come di qualsiasi altro mito della cultura popolare occorre conoscere bene i codici narrativi che ne hanno fatto la fortuna. In pratica non è sufficiente avere una vaga idea delle avventure dell’assassino in calzamaglia, calzarne le maschere che permettono l’identificazione con qualsiasi persona la mondo, averne studiato i piani di fuga o pilotato la Jaguar. Occorre conoscerne bene la mitologia, ossia tutto quell’insieme di luoghi, meccanismi narrativi, caratterizzazioni che ne compongono il mondo. Dettagli e percorsi che il lettore affezionato (quello che compra la sua copia ed esige, giustamente, una sana dose di emozioni e una ‘storia’, perdio!) si aspetta di trovare ma non sempre uguali come infilati in una macchinetta. Il lettore che conosce la mitologia del personaggio ed è attento a ogni minima discrepanza, vuole anche originalità nella ripetizione del formato. Insomma non è un lavoro per tutti... Nel caso di Diabolik questo è anche più difficile perché si tratta di un universo fotografato tra gli anni 60 e 70 in cui non solo la topografia del mondo assume nomi differenti da quelli abituali ma anche ogni nuova aggiunta va calibrata e inserita in una continuità rigorosissima che non deve fare a pugni con le storie nuove del personaggio quanto con quelle vecchie. Insomma una faticaccia. Ma Andrea Carlo Cappi, arrivato al terzo romanzo con Diabolik e già al lavoro sul quarto, non si è limitato a questo. Ci ha aggiunto del suo con una capacità e un’alchimia invidiabili fondendolo con altri miti contemporanei a quello del ‘ re del terrore’ e appartenenti al suo immaginario. Il Diabolik di Cappi è indiscutibilmente quello creato dalle sorelle Giussani ma possiede un jamesbondistico vigore e una capacità di incastrare elementi che all’inizio della storia possono sembrare distanti tra loro ma che poi si avvicinano a formare un unico disegno perfetto come nella miglior tradizione di Mission Impossibile. Tutto sorretto da una prosa rapida, aderente al linguaggio dei fumetti, rispettosa di una tradizione di leggibilità ma che non tradisce l’accuratezza che lo contraddistingue in opere più personali come ‘Nightshade’ e le avventure di ‘Carlo Medina’. Un esempio valga per tutti. In questo romanzo gran parte dell’avventura si svolgerebbe in un luogo-non luogo che corrisponde agli Stati Uniti, in particolare a New York e nella riserva degli Indiani navajos chiamati in causa anche per un importante contributo della loro cosmogonia alle leggende sul diamante nero caduto dal cielo. E cosa ti combina Cappi? Ricrea New York denominandola Isòla omaggiando un maestro caro a tutti noi (Ed McBain, che ritengo abbia insegnato parecchio a noi tutti narratori popolari italiani...) e crea i vallejos, tribù di cui apprendiamo leggende usi e divinità che s’intrecciano senza una sola sbavatura nell’avventura di Diabolik. E in più tra i personaggi ritroviamo(riconoscibili solo a chi sa vedere come deve essere ogni buona citazione) amici e amiche, donne amate e altre solo sfiorate. Insomma una girandola di avventure e colpi di scena, un bellissimo film che ci lascia al termine di questa avventura con l’angosciosa domanda.. ‘Che cosa è successo a Eva?’