In Io ti perdono, edito da Kowalski per Colorado Noir, l’ispettore Maria Dolores Vergani – personaggio seriale di Elisabetta Bucciarelli (Happy hour, Dalla parte del torto entrambi usciti per Mursia e Femmina de luxe per Perdisapop) – viene contattata, in qualità di psicologa, da don Paolo, parroco di un paesino valdostano che lei conosce da quando era piccola. Don Paolo le chiede di sostenere la madre di una bambina scomparsa nel bosco. A questo mistero si affianca quello che la Vergani deve risolvere nel suo territorio: in un’area industriale dismessa vengono trovati i resti di una donna.  La situazione si complica con la losca figura di un tal Trinciacapelli, uno squilibrato che agisce nell’ombra inquietando la città di Milano e gli enigmi s’infittiscono nel momento in cui saltano a galla, assieme a un giro di prostituzione, anche una scomoda verità.

Il perdono è uno dei temi affrontati in questo romanzo ma il titolo non sia fuorviante: l’autrice si addentra in punta di piedi ma ben salda al terreno nei meandri di un lessema tanto carico di significato, con la delicatezza e la determinazione che è propria della sua scrittura. Dal perdono in chiave religiosa  -che alcuni sbrigativamente pretendono debba essere elargito in nome di una dovuta remissione cattolica- la storia conduce a un’idea di perdono come percorso individuale profondamente laico, come momento di evoluzione interiore.

Acuta osservatrice del male come materia d’indagine, la scrittrice analizza anche il peccato in chiave terrena, ovvero come propulsore del male, un male che, come lei stessa ha dichiarato: «...è presente ovunque. In ogni luogo. Annidato all’interno di ogni essere umano. Il Male trova spazio nell’istinto indomito, nelle frustrazioni e nei conflitti che la nostra psiche non riesce a rielaborare. Il Male è la cattiveria, la crudeltà, l’invidia e la presunzione che schiaccia e riduce in un angolo il prossimo.»

E poi c’è la Vergani, ex psicologa ora ispettore di Polizia, single un po’ per vocazione un po’ per incroci sbagliati di destini diversi, poco socievole e meno ancora cerimoniosa, schiva rispetto agli eccessi, severa con gli altri non più di quanto lo sia con se stessa, difficilmente incline alle seconde chances. Però la Vergani affascina per quel suo attaccamento al dovere, a un senso di verità che non viaggia di pari passo col senso di giustizia, quest’ultimo già troppe volte deluso. Affascina per la capacità che ha di rapportarsi agli uomini per lei importanti: li scansa, se necessario, ma quando in qualche modo li tocca –metaforicamente o concretamente– è come se prendesse possesso di parte della loro anima e marchiasse la loro pelle di un’impronta indelebile.

Un libro intenso, da leggere senza farsi prendere dal ritmo incalzante, perché ne vale la pena di fermarsi, ogni tanto, e riflettere.

In http://www.thrillermagazine.it/rubriche/8135 l'intervista all'autrice.

(Marilù Oliva)

Con l’ispettore Maria Dolores Vergani…

Mi sono avvicinato con una certa diffidenza al libro. Copertina a prima vista un po’ ruffiana, frasettine brevi e sottili l’una dietro l’altra (dopo un po’ mi rendono nervoso). Bambina che sta per correre un grosso pericolo da sola nel bosco. La solita storia di violenza, magari pure strappalacrime e la solita detective sfigata, mi sono detto. Eppure ho continuato la lettura di Io ti perdono di Elisabetta Bucciarelli, Kowalski 2009, in una delle abituali librerie di Siena per un bel pezzo guadagnandomi il sorriso compiaciuto della commessa.

Al centro di tutto l’ispettore milanese Maria Dolores Vergani chiamata da un sacerdote di un paesino della Val D’Aosta. Bambini che spariscono, violentati e rilasciati, violentatore che confessa i suoi peccati a Don Paolo. Resti di ossa di una giovane donna trovati in un’area industriale di Milano a complicare una vita già complicata.

Dunque Maria Dolores Vergani psicologa quarantenne radiata dall’Albo per un suo sbaglio che lascio in sospeso. Sensi di colpa e un odio insanabile verso la madre che l’ha abbandonata lasciandola a genitori adottivi. Sua storia tribolata nei cosiddetti Anni di Piombo. Il padre adottivo, Direttore di uno stabilimento automobilistico, sotto scorta. Paure e piccoli scongiuri. Viene su forte, sicura, severa, corazzata come una campana d’acciaio, sua bestia nera le emozioni che la avvolgono da tutte le parti (per evitarle si muove come un Cavallo sulla scacchiera) e dunque sensibile, seppure fidanzata, al fascino degli altri uomini. Soprattutto se musicisti o poliziotti. Chitarra e pistola. Parole, parole, parole, sogni, emozioni, trasporti, l’amore e il desiderio di amore che si insinua in ogni momento della vita. Sesso al punto giusto. Bello e passionale. Ma anche il male del mondo, il marcio, il degrado, la violenza, la prostituzione, la rabbia, l’odio. Il perdono. Quello celeste e quello umano. Difficile da praticare. Troppe cicatrici dentro.

Capitoletti brevi, scrittura veloce, martellante, spesso monotona e triste come le litanie che da ragazzo sentivo in chiesa. Qualche istintiva citazione (l’affannoso petto), il caso di Trinciacapelli ad inserire una nota grottesca. Quadretti di vita paesana che rimandano a certe antiche pitture ad olio. Colpo di scena finale.

Un libro attento. Misurato e sofferto. Un buon libro.

P.S.

Ora però un invito a tutti gli autori, maschi o femmine che siano, a creare qualche detective lady spensierata e giuliva come la vispa Teresa.

(Fabio Lotti)