Massimo prese il pacco regalo con infinita lentezza, delicatamente lo caricò in macchina, con premura chiuse lo sportello. Poi accese il motore, si fece coraggio e partì.

Un dono prezioso, aveva detto il suo capo.

Massimo era il suo braccio destro. Lui si incaricava dei compiti più delicati, delle imprese più difficili. Ecco perché aveva pensato a lui e a nessun altro. Si trattava di un pacco per i suoi amici di vecchia data, i S., una banda rivale da sempre ostacolo nei suoi piani di potere.

Ora era venuta l'occasione di spedire un pacco. Sicuro. Un pacco pieno di riconoscenza e gratitudine.

Massimo sapeva che quelli erano e sarebbero sempre stati i nemici della sua banda. Sapeva cosa sarebbero stati disposti a fare i S. per avere il predominio dell'intera zona. Aveva visto il finto sorriso di cortesia del suo capo quando era andato nel terreno loro, “per una chiacchierata”, come tra buoni amici. Sapeva perfettamente quali erano le intenzioni del suo capo: dare avvio al suo predominio con un bel botto.

Ed era stato scelto lui, Massimo, per questa delicata impresa. Da solo nel terreno nemico. Con l'aria di un caro amico.

Massimo pregustò i giorni successivi, quando della banda rivale sarebbe rimasto solamente il nome.

Con quanta cura sistemò il pacco, con quanta sollecitudine lo spostò, lo aggiustò, lo mise da una parte, dall'altra, nella posizione migliore per poter stare tranquillo, senza preoccuparsene.

“E se esplode adesso? Se salto in aria prima ancora di arrivare?”

E allora gli accorgimenti si ripetevano, le cure si moltiplicavano, le fatiche,  le sudate, le tensioni. Il tempo rallentava in maniera impercettibile, la strada sembrava non dover finire mai. Il rosso dei semafori appariva eterno, il verde poco più che un lampo.

“E se il meccanismo scatta? E se il pacco cade e io sono a un metro?”

Pallido, quasi immobile, senza espressione, attraversò le strade con una macchina della polizia che gli stava alle calcagna, come se sapesse. Evitò tutti i pedoni e le macchine che spuntavano da tutte le parti, trattenendo un grido ogni volta.

Finalmente, livido, tremante, arrivò a destinazione.

La villa del capo rivale si stagliava sulla notte stellata come un pallido fantasma, una leggera nebbia iniziava a levarsi attorno. Un bel giardino la circondava, ampio e curato.

Al cancello due uomini della sorveglianza lo squadrarono attentamente. Massimo dovette fare uno sforzo tremendo per non urlare il contenuto del “regalo”. Parlò piano, quasi in un sussurro, con le gambe che dondolavano e le mani che non riuscivano a star ferme. Nessuno sospettò. Lo fecero entrare, Massimo era conosciuto, più volte si era recato in quella villa assieme al suo capo.

Gli dissero che al momento il padrone di casa era occupato, ma che l'avrebbe ricevuto il prima possibile. Massimo fu ben lieto di questa risposta: aveva la scusa pronta per uscire da lì e allontanarsi più che poteva.

E invece no.

Un gorilla lì vicino gli intimò di stare seduto, e Massimo, pieno di ansia e di timore, non poté far altro che obbedire.

Un minuto.

Due minuti.

Tre minuti.

Tamburellò con le dita sul tavolo, si guardò intorno, scrutò ogni cosa che lo circondava. Ma niente lo interessava, niente occupava la sua mente più del “regalo”. Cosa stava facendo il capo? L'avevano avvisato di questa manovra e ora stava passando al contrattacco? Era tutta una mossa studiata ai danni di lui, di Massimo, per spedirlo all'altro mondo?

Sciocchezze, cinque minuti e sarebbe uscito da lì.

Trascorse un tempo interminabile...

 

Quando andò incontro al padrone di casa, Massimo era più morto che vivo. Aveva un colorito spettrale, la mente in tumulto, le gambe gli tremavano, le mani pure, e non gli riusciva di articolare parola.

L'altro invece era allegro e gioviale. Lo salutò cordialmente e lo invitò a sedersi. Massimo rifiutò, era rimasto seduto anche troppo a lungo.

 – Cos'è questo? – domandò il padrone di casa. – Ah! Non riesco a crederci, davvero! È un regalo! Splendido, meraviglioso!

Iniziò a sciogliere il nodo con lentezza, con molta lentezza...

“È una bomba! Cosa stai facendo? È una bomba!”

Lesse il bigliettino con calma, fissando ogni parola, più e più volte...

“Tutti a terra! Stiamo per saltare in aria!”

Tolse la carta con delicatezza, usando un tagliacarte per il nastro...

“Buon Dio, nooo!”

Finalmente il regalo emerse.

“È la fine” pensò Massimo. “Mi sono lasciato convincere come uno stupido, è la fine, è la fine per me, è la fine...”

Il capo prese il regalo con gli occhi che gli brillavano.

– Una scacchiera! – gridò fuori di sé dalla gioia. – Una scacchiera in puro cristallo! È un regalo indovinato, assolutamente azzeccatissimo, non c'è da dire altro, veramente azzeccato...

Massimo rimase assolutamente immobile, in attesa. Non succedeva nulla. E cosa sarebbe dovuto succedere? Attese, a lungo, e ancora. Nulla.

Improvvisamente, provò un senso di inutilità verso il proprio essere. Idiota. Solo ora capiva il senso di certe frasi, solo ora comprendeva la finalità di certe strategie, di certi piani d'azione.

Come uno sciocco aveva creduto di recitare una grande commedia, uno spettacolo dove il suo era il ruolo principale.

E invece era stato l'unico imbrogliato, fregato, una pedina nelle mani di altri.

Che stupido era stato!

In quella partita lui non aveva avuto altri ruoli se non quello di tramite, di strumento, di puro e semplice mezzo per altri fini ben più importanti.

Si sentì vuoto.

L'ultima cosa che vide fu la dura scrivania in mogano contro cui andò a sbattere la testa.

Scacco matto.

 

Alessandro Maxia è nato a Cagliari nel 1987. È appassionato da sempre di lettura e scrittura. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati da giornali locali. Unica sua convinzione: migliorare sempre, perché c'è ancora molto da fare.