Consì consà, questo Colpo d’occhio di Sergio Rubini che non dimentica, en passant, di omaggiare Fellini Federico che lo elesse suo alter ego ne L’intervista con scena un po’ anodina (ma trattasi di scena di raccordo…) sita in Largo Federico Fellini, Roma, via Veneto. Rubini regista si cuce addosso il ruolo solito, quello tutto ombre e luci che tanto gli si attaglia. Stavolta è un critico d’arte (eccelso) che di nome fa Lulli. Come tutti i critici potenti fanno e disfano carriere a tutto spiano. Quando Adrian (Riccardo Scamarcio) gli ruba Gloria (Vittoria Puccini), musa amante e critica d’arte anche lei, sulle prime pare che Lulli tenga botta ma non ci vuole molto a capire che le cose non stanno proprio così...

Per un terzo Colpo d’occhio è una riflessione, non troppo convincente, sul mondo dell’arte che popolato da opere (nel film sono quelle di Gianni Dessì) che cercano incessantemente la strada perché qualcuno le noti, strada impervia che immancabilmente passa attraverso la critica (positiva), gli agganci (giusti), le lenzuola (quelle di qualche gallerista), e se una volta che la strada è spianata manca l’ispirazione, pazienza, tanto ci sarà sempre l’opera di qualcun altro di cui impossessarsi (“solo i mediocri imitano. I geni rubano” spiega pazientemente Lulli ad Adrian citando Picasso…). Per un altro terzo è un discorso appena accennato su come l’arte non sia al servizio di nessuno, tanto meno dell’artista (è lui ad essere al suo servizio…) e su come l’arte in buona sostanza si insinui ovunque, perfino sulla scena di un delitto. L’ultimo terzo è un thriller abbastanza prevedibile nella sua architettura e molto poco convincente nel finale.

L’aria che tira non è quella del “vorrei ma non posso”, il che sarebbe stato comunque un risultato, ma quella più pericolosa del “volere a tutti costi”, volere un film a trecentosessanta gradi, artistico, commerciale, intellettuale, ma ci sono troppo buchi nell’ordito, a cominciare dalla direzione dei due bellissimi Puccini/Scamarcio, fuori parte entrambi e per di più viziati da Rubini con una estenuante sequela di primissimi piani (soprattutto Scamarcio) a ribadire la loro indiscutibile  bellezza e dialoghi abbastanza triti. Aggiungeteci che la discesi agli inferi, o se preferite la perdita d’innocenza dell’ingenuo Adrian, è molto all’acqua di rose, e il quadro che ne esce è di quelli dimenticabili e dall’accentuato sapore televisivo...

In due occasioni, prima Scamarcio poi Rubini, si lanciano in quella che di fatto appare come una apologia dei Puffi. Vai a capire…