Giacomo Baldi accarezzò per l’ennesima volta l’idea di uccidere il professore ordinario Aristide Faralli.

Contemplò la piccola siringa per uso sottocutaneo che aveva poggiato sul tavolo di cucina e avvertì un brivido (di piacere: sì, inequivocabilmente di piacere) che gli solleticava la spina dorsale. Aveva riempito il minuscolo cilindro graduato di una soluzione zuccherina altamente concentrata: sembrava una cosa da niente e invece ecco lì fabbricata, con un po’ di pazienza, un’arma semplice e letale!

Baldi mise in moto la fantasia che gli girava, ormai da giorni (o da settimane, o da mesi?) nel cervello: vide se stesso entrare nello studio di Faralli, lo studio più spazioso e più bello dell’Ateneo pisano (pareva una stanza del Quirinale: tutta tappeti, passamanerie, e un enorme lampadario di cristallo); nel successivo fotogramma mentale si avvicinava alla grossa borsa di pelle di daino del professore (in quel momento assente… forse impegnato in una lezione): l’apriva, trovava la siringa preriempita di insulina, e la sostituiva con la sua… al glucosio!

Infine Baldi, spinto dall’onda potente dell’immaginazione, fantasticò sul gran finale: Faralli è colpito da una forte crisi di diabete mellito; l’assistente Garozzo, uno dei tanti ineffabili leccaculo, schizza via di corsa a prendergli il farmaco che ha lasciato nella borsa. E poi… poi l’iniezione: lo zucchero che scorre micidiale dentro il corpo dell’esimio docente, che si somma agli idrati di carbonio non smaltiti, che fa esplodere il coma diabetico. E allora… pof!: il buon vecchio Faralli non c’è più! Ecco che finalmente sparisce, si leva di torno portandosi nella tomba la ragnatela di nefandezze accademiche che ha tessuto in oltre trent’anni di onorata carriera.

Baldi si riscosse da queste eccezionali fantasticherie, si avvicinò alla finestra di cucina che dava sul Lungarno Simonelli e cominciò a ridere. Sto diventando pazzo, pensò.

In realtà sapeva benissimo che non sarebbe mai stato capace di togliere di mezzo il celebre cattedratico. Eppure… eppure in quei giorni si era divertito a preparare quella siringa potenzialmente mortale; e spesso se l’era portata dietro, all’Università, nascondendola in una tasca interna della sua valigetta. Il professore ordinario soffriva davvero di diabete, e soltanto il pensiero di potere sopprimerlo, di avere uno strumento di morte efficace e pulito, produceva su Baldi uno straordinario effetto calmante. Riduceva drasticamente il grado smisurato di ansia che, in quelle settimane, minacciava di sommergerlo come una marea oceanica.

Del resto Faralli meritava ampiamente di essere oggetto di quel nodo di attenzioni e fissazioni. Faralli non era un professorucolo qualunque: Faralli era Faralli! Un’autorità, anzi l’AUTORITÀ, il barone per antonomasia del Corso di Laurea in Scienze Naturali, il forgiatore di destini, il creatore e distruttore di fortune accademiche, il fabbricatore di cattedre. Faralli, il grande Faralli!, al centro di consorterie, cosche, camarille, alleanze che si erano allargate, come tante metastasi, nei più prestigiosi atenei. E ancora: Faralli il grande Stregone, lo Sciamano capace di evocare e guidare forze insospettabili, di gestire fiumi di quattrini, di imbastire progetti colossali, di distribuire fondi, di far leva sui più disparati appoggi politici.

Ma anche Faralli il Miserabile – annotò mentalmente Baldi, con rabbia – pronto a usare trucchi e giochetti per affondare gente meritevole, ma non appartenente al suo feudo, alla sua schiera di valvassori e valvassini.

Nel tentativo di fare carriera all’Università Baldi aveva sfiorato e incrociato più volte il cattedratico. Risultato: ne era uscito sempre con le ossa rotte; cercando di saltare dentro il recinto elettrificato della baronìa, si era buscato scariche di tutto rispetto, di molte migliaia di volt.

Mentre osservava il traffico quasi paralizzato lungo le spallette dell’Arno, Baldi ricordò.

Ricordò quando Roberti – il professore associato con il quale collaborava – gli aveva consigliato di partecipare al concorso di ricercatore. Roberti era uno studioso serio e capace, ma, all’interno del Corso di Laurea in Scienze Naturali, faceva la figura di un pollo in mezzo alle faine, di un peso-piuma alle prese con lottatori di Sumo.

Il buon Faralli aveva risolto la cosa nel suo stile, con stronza eleganza, facendo in modo che il bando del concorso uscisse alla fine di luglio, quando tutti erano in ferie, compreso l’ignaro Roberti! E quella volta il Barone aveva sistemato un emerito incapace: bravo ragazzo, ma buono a nulla. Buono solo a dire sempre sì, a piegare la testolina e a sorridere giocondo.

Qualche tempo dopo era comparso il bando per un posto di tecnico-laureato, sempre all’insaputa di tutto il personale dell’istituto e proprio quando Baldi si era ammalato di una grave broncopolmonite ed era stato ricoverato all’ospedale. Che il Super-cattedratico sapesse anche spargere un malocchio insidioso?

In quella occasione il concorso era stato vinto, guarda caso, da una ragazza appena laureata, figlia di un massone, un potente 33 fiorentino, un’altra personcina davvero a modo, un fedele damyo dello Shogun pisano.

Mentre Baldi si stava arrovellando a rievocare questo rosario di episodi sgradevoli (e gli capitava sempre più spesso di recitare quella posta dolorosa: quasi un supplizio che era costretto a infliggersi), squillò il telefono in salotto. Si allontanò infastidito dalla finestra e, sbuffando, raggiunse l’apparecchio.

- Pronto?

- Giacomo? Sono Roberti. Novità grandiose!

- Novità? – ripeté Baldi perplesso.

- Ti cerca Faralli! Vuole parlarti.

Il giovane rimase in silenzio, sbalordito, come se l’amico gli avesse comunicato il ritrovamento, a Calci, dell’abominevole uomo delle nevi.

- Che… che vuole da me? - balbettò alla fine, sospettoso.

 - Mi ha detto che ha apprezzato in modo particolare le tue ultime ricerche sull’Elephas antiquus. Vuole indirizzarti al prossimo concorso! Ti vuole aiutare!

- Non ci credo.

- Giacomo, metti da parte le ubbìe! Questa è la tua ultima spiaggia. Faralli è fatto così. Non lo fa certo per spirito di carità. Ha bisogno di uno come te, di un paleontologo con la tua esperienza. Da quello che ho capito vuole organizzare una serie di scavi nel Meridione, gli sono già arrivati i finanziamenti.

- Ma… ma dopo tutto quello che è successo…

- Senti, Giacomo, finiscila con i vecchi rancori e le recriminazione! Te l’ho detto e te lo ripeto: questa è un’occasione d’oro, unica, irripetibile. Vieni tra mezz’ora in biblioteca. Aristide ti aspetta là. Muoviti!

Baldi rimase ancora qualche istante con la cornetta in mano, dopo che l’amico aveva riattaccato: era frastornato, perplesso ma anche scosso da potenti scariche di adrenalina. Che il vecchio barone si fosse deciso finalmente a spianargli la strada, a dargli qualche chances?

Alla fine prese la sua valigetta e scese in strada. Le auto, a quell’ora, sfrecciavano in tutte le direzioni; lo spettacolo dei lungarni non era propriamente come lo aveva descritto, a suo tempo, il caro Leopardi: “uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente che innamora”. Ma Baldi non badava al rumore e al caos: era su di giri, galvanizzato. Giunse a passo svelto in via Santa Maria, si fermò per qualche minuto alla Libreria universitaria, quindi si diresse verso la biblioteca di Scienze Naturali…

La stanza, piena zeppa di volumi, riviste specializzate, dispense, repertori bibliografici, è surriscaldata dai termosifoni che lavorano a pieno regime. Baldi è stordito dal calore e riesce a malapena a mettere a fuoco la parete su cui cammina un ragno grosso almeno venti centimetri.

Improvvisamente gli si para davanti Aristide Faralli (ma da dove è sbucato? Baldi non ha nemmeno visto aprirsi la porta della biblioteca). Il barone è colossale, molto più robusto di come lo ricordava, ma il colore della faccia segnalerebbe anche a un cieco la presenza della malattia.

- Caro Baldi! – esordisce il professore, mentre alle sue spalle si sprigiona un alone verdognolo (possibile?) – Roberti le ha spiegato tutto, immagino. Ho bisogno del suo curriculum per aiutarla…

- Il curriculum? - chiede Baldi stupefatto. L’alone che circonda l’interlocutore comincia a virare verso un brillante arancione.

- Certo, il suo curriculum - ribadisce Faralli e scuote la superba pappagorgia che pare plasmata nella cera. - Quasi dieci anni di collaborazione con il nostro istituto, una ventina di pubblicazioni…

- Trentaquattro - specifica Baldi, gettando un’occhiata al grosso ragno che continua a zampettare lungo la parete.

- Trentaquattro. E il titolo di cultore della materia, la partecipazione a cinque congressi, le relazioni…

- Sette.

- Sette relazioni. Insomma, caro Baldi, lei ha le carte in regola per vincere il prossimo concorso per conservatore al museo. Saggi scientifici, articoli pubblicati anche su riviste internazionali. Ottimi numeri… non c’è dubbio… Certo, la sicurezza assoluta non esiste… - Faralli fa una pausa. Adesso l’alone, che ha assunto una tonalità viola, lo avvolge completamente. Ma il barone è tranquillo, come al solito, e continua: - Non posso garantirle un esito positivo al cento per cento però… come avevo spiegato al professor Roberti, avrei piacere che lei entrasse in pianta stabile all’Università.

- Beh… io la… la ringrazio per la stima - dice Baldi.

È quasi commosso, ha la testa pesante, tanto pesante, però riesce a focalizzare questa incredibile congiuntura! Faralli che scende dal suo trono, che esce dal tempio per benedirlo e indicargli la strada…

Poi tutto scompare: la stanza, il cattedratico col suo alone cangiante, l’enorme ragno peloso… I giorni passano (ma passano davvero, o è solo un inganno del suo cervello?) e Baldi si ritrova tra le mani il testo del fatidico bando: “BANDO DI CONCORSO PER UN POSTO DI CONSERVATORE AL MUSEO DI PALEONTOLOGIA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI…”

Istintivamente mette a fuoco, leggendolo ad alta voce, il requisito principale che viene richiesto dall’avviso:

- “Possono partecipare al concorso tutti coloro che sono in possesso del diploma di laurea in Scienze Naturali…”

Esplode un lampo e Baldi si trova in preda a una sorta di stordimento, quasi avesse fumato oppio per tre settimane di fila. Gli occhi riescono a percepire le parole del testo come attraverso una specie di lente sfuocata. È un fatto che va oltre ogni possibile immaginazione. Almeno l’immaginazione di qualunque persona dotata di un minimo di lealtà e correttezza morale (così pensa il giovane, ma dove si trova adesso? A casa, all’Università?). Ecco a cosa è servito il curriculum! A calibrare la stesura del bando, a precisare un letale codicillo. Obiettivo: escluderlo dalla partecipazione a quella decisiva competizione accademica! Lui, Baldi, è laureato in Scienze Geologiche! I “protégés” del Volpone sono tutti naturalisti e dunque, anche se in possesso di titoli irrisori, lo scavalcheranno!

Ma a questo punto Baldi non ce la fa più e comincia a urlare contro il cielo (si trova all’aperto?), contro le stelle, contro tutto il mondo…

AAAAHHHHHHHHHHHHH!!!!!…

- Sveglia Giacomo!

- Eh… Cosa succede – fece Baldi insonnolito, prodigandosi in un poderoso sbadiglio.

- Niente… È solo che ti eri addormentato – lo rassicurò Roberti.

Il giovane si rese conto di trovarsi nella biblioteca di Scienze Naturali. Diede un’occhiata all’orologio: doveva essersi assopito per una decina di minuti.

- Ti lamentavi, borbottavi qualcosa - disse Roberti.

- Ho fatto… ho fatto un brutto sogno… Sarà la stanchezza, poi ti spiego… - fece Baldi, e si interruppe vedendo che stava entrando Faralli: il Faralli autentico, doc, in carne e ossa: non il colossale personaggio alonato dell’incubo.

- Mi fa piacere incontrarla – asserì asciutto il professore. - Ho pochissimo tempo e non mi va di perdermi in chiacchiere, Baldi. Le dirò semplicemente che voglio assegnarle un incarico stabile qui all’Università, un incarico con cui lei potrà mettere a frutto le sue innegabili competenze. Ho bisogno però di una cosa, assolutamente…

- Di che cosa? - chiese Baldi, e avvertì un brivido freddissimo sul collo.

- Del suo curriculum – affermò impassibile il cattedratico. - Semplici questioni burocratiche. Cerchi di farmelo avere entro stasera. Può lasciarlo nel mio studio.

Dopodiché Faralli uscì dalla biblioteca, accompagnato da un Roberti raggiante per quello che aveva udito.

Baldi rimase completamente immobile per qualche secondo, poi si alzò e aprì la valigetta. La piccola siringa al glucosio era adagiata sul fondo, in una minuscola custodia. L’aveva presa quasi senza pensarci, prima di uscire di casa, come se si fosse trattato di un amuleto, di un oggetto scaramantico.

Il giovane osservò il liquido chiaro che riempiva il cilindro e cominciò a ridere. Rise a crepapelle, finché il riso si trasformò in pianto. Alla fine si asciugò gli occhi con un fazzoletto e prese una decisione. Sì, era giunto il momento di agire, di andare a consegnare il curriculum nello studio dello Stronzo ed eseguire un piccolo, decisivo scambio.

Faralli, il grande Faralli, l’ineffabile Furbone, l’eccelso Manipolatore, avrebbe avuto a disposizione millenni per studiare il suo curriculum. Faralli ha superato se stesso: lo ha trombato ancora una volta, col suo consueto tocco di classe, fatto di perfida, stronza semplicità.

Riccardo Parigi & Massimo Sozzi. Coppia affermata del nuovo giallo italiano ha scritto numerosi racconti e un paio di romanzi. Questo racconto è già apparso nelle antologie  Toscana in giallo (Felici Editore 2006) e Le ombre della città (Perdisa Editore 2007).