Si conclude con La città proibita la trilogia di Zhang Yimou filmata e dedicata al wuxiapian (da wu = marziale; xia = cavalleresco, l’equivalente cinese dei film cappa e spada), una trilogia che assieme a Hero e La foresta dei pugnali volanti ha segnato un cambiamento radicale rispetto alla filmografia precedente dello stesso Yimou. Le reazioni sono state grosso modo suddivisibili tra coloro i quali la trilogia è piaciuta, vuoi per l’irresistibile seduzione esercitata dalle sfarzose scenografie (stavolta a prevalere è il giallo dei crisantemi a cui si sovrappone il nero dei guerrieri Ninja) vuoi per le spettacolari coreografie dei combattimenti (per inciso il martial arts director di La città proibita è nientemeno che Ching Siu-tung…), e coloro che non hanno mancato di far notare che col nuovo corso di Zhang Yimou altro non sia che uno smaccato tentativo di ingraziarsi le gerarchie cinesi, quelle stesse gerarchie mai troppo tenere con chi, anche attraverso il cinema, vorrebbe lavare i panni sporchi in pubblico (anziché in famiglia, cosa assai più gradita). Come già detto sopra la trilogia, riuscita o meno che sia, ha comunque segnato un momento di rottura rispetto al cinema del nostro, che fino alla svolta wuxia aveva di gran lunga preferito il ritratto realistico delle condizioni di vita cinesi, basti pensare a film come Keep Cool, La storia di Qui Ju, Non uno di meno (in tale filone si innesta il lavoro di Jia Zhang-Ke che con Still Life ha vinto il Leone d’Oro a Venezia un anno fa…), il che gli aveva procurato a volti non pochi problemi con la censura.

Per amor del vero va detto che vecchio o nuovo corso, Yimou conserva comunque una mano felice nel disegnare le vicende della famiglia dell'Imperatore Ping (Chow Yun-fat) dilaniata tra faide di palazzo e lotta per il potere, e che vede protagonisti, oltre l’Imperatore, anche l'Imperatrice Phoenix (Gong Li) e i loro figli, il Principe Jai e il Principe Wan, vicende che consentono a Yimou di innescare un’amara riflessione sul potere stesso e sui lati oscuri che il suo esercizio si porta dietro come una zavorra ineliminabile.