Sul palco de L'imputato si trovava la scenografia, essenziale ma riconoscibilissima, di un'aula giudiziaria americana. Il giudice ha fatto entrare via via un assistente di sala, due avvocati per l'accusa e altrettanti per la difesa, e quattro soggetti abbastanza riconoscibili e caratterizzati (una donna in nero, un giovane in cachemire, una donna in carriera e un prete). A questo punto il pubblico ha dato i suoi contributi, scegliendo chi dei quattro fosse l'imputato (la donna in nero), dove si trovasse il ragazzo in cachemire al momento del delitto (in palestra), che mestiere svolgesse la donna in carriera (marketing) e in che rapporti fosse il prete con la vittima (cognato, quindi fratello dell'imputata); ultimo ma non meno importante, è stata scelta l'arma del delitto, una cravatta (!).

Lo spettacolo vero e proprio si è svolto in questo modo: il giudice chiamava a deporre uno dei testimoni, che veniva interrogato dall'avvocato dell'accusa. Successivamente il teste veniva controinterrogato dalla difesa, dopodiché tornava al posto. A quel punto veniva chiamato il secondo teste, interrogato prima dalla difesa e poi dall'accusa; si proseguiva con il terzo teste e con l'imputata, interrogati sempre alternativamente. L'interrelazione tra le domande degli avvocati e le risposte dei testi (tutte improvvisate!) ha intessuto via via una trama fatta di odî aziendali e intrallazzi amorosi, tonache sacerdotali in procinto di essere gettate alle ortiche e cravatte tessute in un rivoluzionario polimero, assai facile da allacciare al collo (e altrettanto da stringere...).

Terminate le testimonianze, i due avvocati hanno tenuto entrambi una arringa strappalacrime - che, nel richiamo palese ai film di questo genere, si è appellata ai grandi valori morali della costituzione - e poi la giuria, rappresentata dal pubblico stesso, ha votato se considerare l'imputata colpevole o non colpevole. Stante anche la scarsità di prove decisive, il pubblico si è espresso in favore dell'imputata, che è stata quindi liberata.

Il secondo tempo dello spettacolo era costituito invece da una rappresentazione vera e propria, anch'essa improvvisata ma più tradizionale come struttura, in cui gli attori ricostruivano i retroscena della vicenda, compreso il momento stesso del delitto (in cui il pubblico scopre che l'assassina era la donna in carriera, e capisce quindi di aver scagionato un'innocente!).

Il giudizio finale sullo spettacolo è mediamente positivo. La prima parte, soprattutto, merita un plauso per l'originalità del format, mentre la seconda parte è risultata meno efficace.

Di qualità abbastanza variabile gli interpreti, alcuni decisamente amatori, altri che invece hanno dato ottimi spunti e possono ambire tranquillamente alla categoria dei professionisti. Ma quel che ci interessa è il format stesso di questo gioco di narrazione, ed è questo che andiamo a discutere.

Innanzitutto, il contesto del tribunale è affascinante. Hollywood ci ha abituato a tonnellate di film e telefilm ad ambientazione giudiziaria ed effettivamente si tratta di un'ottima 'macchina' per raccontare una storia gialla. Il gioco di narrazione vero e proprio si è svolto principalmente tra i due avvocati dell'accusa e della difesa, che... suonavano i tre testimoni e l'imputata per trarne le note da loro desiderate. Nell'intento di capire quali fossero le "regole del gioco", ci è parso che gli avvocati avrebbero potuto lasciare più libertà agli interrogati; spesso invece si aveva l'impressione che li torchiassero avendo già in mente una tesi precostituita e cercando di andare a parare in una svolta ben specifica della storia, quando invece un duetto più equilibrato fra teste e avvocato avrebbe beneficiato sia alla costruzione collettiva della storia, sia a far emergere per contrasto entrambi i personaggi.

Altri possibili problemi riguardano una certa asimmetria fra i contributi narrativi dei due avvocati: mentre l'accusa ha tutto l'interesse a costruire indizi che puntino verso la colpevolezza dell'imputato, la difesa può invece sfruttare ben tre testimoni per costruire attorno a loro dei moventi plausibili, in modo da distogliere i sospetti dal proprio assistito. Questo sbilanciamento rischia insomma di lasciare un maggior potere narrativo nelle mani della difesa.

Un modo per ovviare a questa disparità potrebbe essere quello di immaginare delle 'tappe forzate' attraverso cui il format deve passare - per esempio l'attribuzione di un movente obbligatorio per ciascuno dei testimoni, cosa che li renda quindi possibili sospettati - in modo che la storia possa andare avanti solo se prima sono stati completati questi step predefiniti. Ciò permetterebbe anche di ribilanciare l'importanza dei testimoni all'interno della storia: se infatti la storia viene costruita per accumulo, il primo teste risulta probabilmente meno incisivo perché ancora poco è stato definito della vicenda, mentre l'ultimo testimone si ritrova una trama già in larga parte delineata e ha quindi gioco più facile a costruirvi sopra la propria parte. Sempre nella logica degli step, si potrebbe per esempio richiedere al primo testimone di introdurre un elemento misterioso che rimanga in sospeso, e che solo gli interrogatori dei testimoni successivi "sveleranno" in tutta la sua importanza.

Il fatto che i quattro personaggi fossero già un minimo definiti va visto probabilmente più come un aiuto alla storia che come un ostacolo all'improvvisazione: il ragazzo in cachemire ha mostrato fin da subito una certa effeminatezza, mentre l'improvvisatore vestito da prete, be', evidentemente nella rappresentazione era proprio un prete! Insomma, disporre di una "pasta semilavorata" con cui creare la storia è sicuramente un utile appiglio alla costruzione della trama, purché ovviamente si tratti di uno spunto fecondo e non già definito per filo e per segno (un consiglio agli interpreti è anche quello di acquisire maggiore dimestichezza con la terminologia giudiziaria e con il lessico legato al proprio personaggio; per esempio il prete dovrebbe saperne un po' più degli altri di vocaboli ecclesiastici!).

Del resto improvvisare una trama gialla che sia perfettamente coerente e che alla fine della storia faccia quadrare tutti gli elementi non è per niente facile. Alla fine della rappresentazione, per esempio, il pubblico ha visto la donna in carriera sputare per odio sul cadavere, cosa che in tempi di CSI e di rilevamento del DNA è un gesto indubbiamente pericoloso per chi tenta di nascondere il proprio coinvolgimento in un delitto. In questa esigenza di coerenza interna giocano un ruolo fondamentale gli assistenti degli avvocati, che hanno preso appunti per tutta la durata del processo e supponiamo quindi "custodi", in qualche modo, della costruzione della trama.

Ultima considerazione sulla seconda parte dello spettacolo, quella in cui gli improvvisatori hanno messo in scena una serie di flashback per mostrare alcuni retroscena della storia. Questa sezione del format era fondamentale per capire chi fosse il vero colpevole dell'omicidio (o perlomeno per capire se l'imputata era stata assolta quando invece era un'assassina!), perché qualsiasi giallo deve evidentemente terminare con la rivelazione di chi ha commesso il delitto. Per gli stessi motivi di aderenza al genere, invece, la seconda parte funziona meno rispetto al processo, un po' perché ridondante (gran parte degli elementi della trama erano già emersi nel corso dell'istruttoria) e un po' perché "sleale" nel momento in cui introduce elementi che invece non erano nemmeno stati accennati durante il processo (come il fatto che la donna in carriera e il morto fosssero amanti).

Si tratta di un equilibrio molto sottile: forse questa seconda parte potrebbe beneficiare del fatto di essere assai più breve - magari ristretta solo agli eventi immediatamente contigui al delitto - e di essere sfruttata unicamente per far "quadrare i conti" dei vari elementi emersi nel corso dello spettacoli, fili sciolti che non aspettano altro che di essere annodati in un'unica trama. Mi rendo conto che la preparazione e la concertazione necessaria per ottenere questo sono probabilmente l'esatto opposto dell'improvvisazione, ma penso anche che il vero lavoro di improvvisazione teatrale venga svolto durante il processo, e che la storia nel suo complesso ne guadagnerebbe.

Nonostante queste piccole segnalazioni (da intendersi come critiche costruttive) il format è comunque di sicuro interesse e merita di essere tenuto d'occhio: potremmo essere di fronte a un nuovo tipo di spettacolo fecondo di sviluppi. Bravi insomma agli autori e improvvisatori de L'imputato, dai quali ci aspettiamo molte altre performance di questo tipo!

(articolo pubblicato originariamente su flyingcircus.it)