Chi pensa che la Norvegia abbia cominciato a sbarcare negli ultimi anni solo nelle nostre librerie (la Holt, la Fossum, l’ultimissimo Dahl), si sbaglia: a fine anni Novanta “Il Giallo Mondadori”, in assoluta controtendenza rispetto alla sua storica linea editoriale, comincia a proporre autori di tradizioni estranee a quella anglosassone o alla più recente francese e italiana. Gunnar Staalesen, affermato scrittore norvegese di noir, autore di un paio di serie di cui una diventata anche televisiva, sempre nel suo paese, è una di queste new entry: e già dal nome del protagonista, l’investigatore privato Varg Veum (che in norvegese significa grosso modo Lupo Solitario), capiamo bene quale sia il modello di riferimento. E non sarà un caso che nel corso del romanzo venga citato esplicitamente Philip Marlowe.

In effetti il nostro Veum ha tutto per impersonare un felice epigono nordico del disincantato eroe di Raymond Chandler: biondo, quarantenne, single, ma non misogino, attorniato da belle donne (qui l’amante Solveig e una prostituta particolare, Elsa) con le quali però non riesce a instaurare uno stabile rapporto affettivo (altrimenti la storia diventerebbe troppo “rosa”, come vietano i sacri canoni).

Nella professione è onesto (cercando il motivo della scomparsa di un dipendente di una piattaforma petrolifera, rischia la pelle quando tutto gli consiglierebbe di piantarla lì); ha dei principi dai quali non si discosta (non accetta indagini matrimoniali); non è attaccato al denaro e sostanzialmente è un cane sciolto (rifiuta la principesca offerta di collaborazione di un importante collega di Oslo). Salta da un indizio all’altro con acume, prendendo le sue brave botte in testa, usando le armi ma proprio se indispensabile; e se la sua strada si incrocia con quella della polizia, collabora solo se costretto anche perché i colleghi in divisa si fanno allegramente surclassare da lui: insomma un degno nipotino di Marlowe, baciato anche lui ogni tanto da un guizzo d’ironia.

Quel che gli manca però è, direbbe un regista, una degna “location”.

Il “private eye” americano è per sua natura un animale metropolitano: qui la capitale Oslo (dove peraltro l’azione non si volge) conta poco più di mezzo milione di abitanti mentre Bergen (dove abita Veum) appena 200.000 e Stavanger (dove si reca in Cristallo di ghiaccio) solo 100.000.

Staalesen comprende il pericolo e allora sceglie una zona che, negli anni Ottanta con il boom petrolifero del Mare del Nord, si è velocemente e disordinatamente urbanizzata alterando senza misericordia l’ambiente originario. E quindi niente colori squillanti, nevi eterne, fiordi azzurri e verdi prati: dal cielo, siamo in novembre, scende una poltiglia scura; il mare porta sé rifiuti di ogni genere e, ogni tanto, qualche cadavere; le nubi la fanno spesso da padrone e i vecchi vicoli del centro storico evocano più I misteri di Parigi che una Guida Michelin.

Anche questo romanzo ha comunque le sue pecche: innanzi tutto la trovata, che naturalmente non riveleremo, su cui si basa tutta la vicenda che risulta in effetti, abbastanza improbabile; e poi Staalesen, neanche avesse letto Venere privata di Scerbanenco (ma tutto è possibile), immagina che la sua dolce Elsa utilizzi la professione più antica del mondo per accumulare dati sperimentali per la sua tesi in sociologia.

In ogni caso il nostro Lupo Solitario ha svolto con diligenza il suo compito, ha acclimatato con sufficiente credibilità la tipologia dell’investigatore privato in una società come quella norvegese dove solo col petrolio è affiorata una melma sociale in grado di dare spessore alle sue indagini e ha dato al lettore non scandinavo un’immagine anticonvenzionale di quelle zone.

Vi pare poco?

Voto: 7