Sulle mie labbra. Ingredienti: una segretaria bruttina (l’abilità di Emmanuelle Devos sta per intero nel dar vita ad un personaggio femminile che è brutta non perché lo sia davvero, ma perché si sente brutta…) per di più sorda e costretta quindi a servirsi di due protesi acustiche. Un lavoro poi a soddisfazione zero, dove le occasioni per emergere sono pochissime, mentre la vita sentimentale è inesistente. Unica consolazione: il saper leggere le labbra come un libro scritto, ma solo per accorgersi che in mensa i colleghi la prendono in giro. Poi un fattorino neo-assunto in libertà vigilata (due anni per rapina), e un garante della libertà paterno ma che cerca di non darlo troppo a vedere.

 

Una solitudine più un’altra solitudine fanno due solitudini, ed ecco emergere una coppia anomala dalla quale scaturisce una storia noir tesa e incalzante (cosa sempre più rara…), tra uffici, cessi, cantieri, fotocopiatrici, appartamenti più o meno desolati, pose davanti allo specchio dove cercare di capire se c’è o meno un pizzico di femminilità nascosto in qualche piega del corpo. Per accaparrarsi il grisbi, che a scanso di equivoci è stato già rubato e che quindi viene rubato di nuovo, è sufficiente un pizzico di faccia tosta e qualcuno che sappia leggere le labbra…

 

Su tutto regna la regia di Jacques Audiard, implacabile, mai stanca (e che mai stanca…): macchina a mano perennemente addosso agli attori a respirare all’unisono, bruschi salti di montaggio, dove l’unico trade-union sembra essere quello della massima intensità fisica da raggiungere subito senza perdersi in chiacchiere. Un cinema raro questo sprigionato da Audiard (lo stesso di Tutti i battiti del mio cuore), fortissimamente sensoriale, dove la percezione, di suoni, odori, immagini, è sempre frammista a pezzi interi d’anima: prendete le soggettive sonore di Carla (la Devos) che vanno e vengono (stanca di sentire il pianto del bambino che un’amica gli ha lasciato, si toglie le protesi e il pianto cessa…), oppure le improvvise iridi che cancellano per qualche istante la nitidezza della visione.

In tutto questo c’è un’idea molto precisa di cinema, l’idea di un cinema capace di tenere assieme senza esitazioni momenti di smaccata violenza e trovate capaci di far evadere da situazioni che paiono senza via d’uscita. Ancora: un cinema capace di seguire i personaggi dai primi agli ultimi, regalando proprio ad uno di questi ultimi, il garante della libertà vigilata, una profondità inaspettata di uomo che non si direbbe capace di e che invece

 

A volte la differenza tra la vita e la morte è solo una questione di saper leggere le labbra, così, senza rumore…

Extra

Dietro le quinte