Quando nella trama spuntano servizi segreti deviati, intrighi, poliziotti testecalde, associazioni terroristiche e esperimenti clandestini, i guai sono annunciati. L’Impero dei Lupi, trasposizione dell’omonimo romanzo di Grangé (scrisse I fiumi di porpora) qui nelle vesti anche di sceneggiatore, parte come una specie di fosco e originale thriller apocalittico dove la vicenda di Anne, (Arly Jover, clone francese in viso e corporatura di Carrie-Anne Moss) che perde scampoli di memoria dopo aver subito una strana operazione, s’intreccia con quella di alcune ragazze turche sans papier trucidate in modo raccapricciante e rinvenute nelle fogne parigine. Un giovane agente chiede aiuto lecteriano a un ex ispettore della Polizia destituito (Jean Reno, fresco della dichiarazione di essere stanco di questi ruoli e si vede) che dovrebbe ben muoversi negli ambienti della malavita turca e aiutarlo a risolvere il mistero del killer. Infarcito di dialoghi gocciolanti muffa, appesantito da rimpalli incessanti da una supposta verità all’altra – ambirebbero a essere sorprendenti colpi di scena ma finiscono per essere mazzate all’attenzione - col risultato di trasformare la pellicola in un dispendioso pastiche - il Père Lachaise è distrutto da tonnellate di tritolo, la Cappadocia suggestivo quanto inutile teatro di un edipico scontro – e dove i personaggi brancolano nel buio più nero in dionisiaca ricerca di un filo logico. I fiumi di porpora sono mutati in rigagnoli prosciugati e ruscelli dell’assurdo: vorrebbero farci credere che basti una manciata d’acido per far fuggire un sicario letale e che una psicologa (Laura Morante, sprecata) decida di aiutare senza fare domande una presunta nikita psicolabile, scomodando pure i lupi grigi per confondere ulteriormente l’impasto. Ce ne fosse bisogno.