Appena uno a Milano dice Quarto Oggiaro, tutti pensano subito a una zona di degrado estremamente pericolosa. A cosa è dovuta questa terribile fama?

A due ragioni.

La prima è che, in effetti, la zona è stata, e lo è tutt'ora ma in modo meno aggressivo, degradata. E' un quartiere sorto dal nulla dove si è stipata una moltitudine di gente che veniva da aree geografiche molto differenti. Un quartiere di forte immigrazione e, perciò, di forti contrasti e

contraddizioni.

Un quartiere con una caratterizzazione ultrapopolare, con servizi totalmente inesistenti, senza attività sociali che non fossero quelle autogestite o quelle degli oratori. Il classico "quartiere dormitorio". Lo dimostra il fatto che non esiste una piazza che sia una a Quarto Oggiaro. Non era previsto, nel Piano Regolatore, nulla che fosse pensato per la socialità.

La seconda ragione è che su tutto ciò si è creato un pregiudizio talmente forte (e comodo per un certo benpensantismo) su Quarto Oggiaro che, ancora oggi che il quartiere è di fatto molto cambiato, sembra inestirpabile.

Ma Quarto Oggiaro è realmente così come lo descrivi nei tuoi libri o hai dovuto lavorare molto di fantasia per raccontarla?

Molto di quello che racconto l'ho visto con i miei occhi. Spesso le cose più inverosimili. Però, poi, c'è anche tutto un certo gusto della fiction, un desiderio di far "accadere le cose" tipico di chi scrive.

Fra le scene più belle del tuo primo romanzo "Per cosa si uccide" c'è un'incredibile rissa in cortile fra condomini. La convivenza forzata porta spesso ad esasperazioni, cosa ti colpisce della vita comunitaria del tuo quartiere?

Ecco, appunto. La rissa da cortile è una di quelle cose che se vedi da ragazzino non le dimentichi più. Ma, insisto, non bisogna generalizzare. Quarto Oggiaro ha cambiato faccia, così come tutta Milano. Quando ero ragazzo ci si vergognava di dire di essere di quartoggiaresi. Oggi i ragazzini se ne vantano. Cosa significa? Che è nato un radicamento nel territorio, una identità che i miei genitori non avevano (la prima generazione di immigrati, ancora legata al paese d'origine), che io ho visto formarsi (la seconda generazione) e che ora esiste tout cour nella terza generazione.

Certe feste di quartiere io, da ragazzo, non le ho mai viste. Oggi ci sono. C'è pure un sito Internet dedicato a Quarto Oggiaro. Molti dei figli di quegli immigrati hanno studiato, si sono laureati, altri hanno cercato casa nei nuovi complessi residenziali che si sono costruiti nel quartiere. Tutto sta cambiando, insomma.

Ora è la nuova immigazione che sta portando con sé nuove  ontraddizioni. Ma è fisiologico, mi pare.

Qual'è l'episodio più divertente capitati fra le strade del tuo quartiere?

Non potrei raccontartelo. Perché se non l'ho già scritto su un romanzo, mica me lo gioco in una intervista, non ti pare?

Visto quello che racconti ti è capitato spesso di avere a che fare con la polizia e con la mala, oppure no?

No. Ho vissuto a Quarto Oggiaro per 30 anni, i miei genitori e molti dei miei amici più cari vivono ancora lì, vado a Quarto Oggiaro spessissimo.

Nessuno mi ha mai fregato il portafogli, non ho mai dovuto richiedere l'intervento delle forze dell'ordine, non ho mai avuto "paura". E' questa una cosa importante da dire. Non si vive barricati come in un fortino, questa è un'immagine falsa, è un pregiudizio, appunto. Quarto Oggiaro è zeppa di persone serie, di lavoratori, di pensionati, di gente onesta. Certo in cortile c'era quello agli arresti domiciliari, al mercato ti capitava di incrociare un delinquente, o un mafioso (e magari neppure lo sapevi). Ma questo significava poco nella vita quotidiana, era più colore che altro.

Spesso sono state le canzoni della mala da Sthreler a Gaber, da Jannacci a Fava, a raccontarci la Milano più vera, i tuoi romanzi trovi che possano essere definiti delle ballate noir?

Sai, non sei il primo che fa questa associazione, che, ovviamente, mi lusinga. Io cerco di spiegare ogni volta che rispetto la forma "romanzo borghese", che tanto piace ai "lettori forti" in Italia, io sono più attirato dall'idea di scrivere "romanzi plebei". Plebei per la stessa scelta del "genere" (che è, per sua natura, popolare), plebei per i temi trattati, per le storie raccontate, plebei anche nel desiderio di restituire un linguaggio non ingessato, antiaccademico. Questo ovviamente non mi farà mai vincere lo Strega o il Campiello, ma che ci posso fare?

Spesso tu citi come tuo nume tutelare Gadda, come mai?

Innanzitutto perché è stato forse il più straordinario sperimentatore della lingua italiana del Novecento. Da lui ho capito che tutti i linguaggi avevano dignità letteraria. Anzi, di più: che alto e triviale, dotto e popolare, tecnico e aulico, cinematografico e televisivo, dialettale e teatrale, potevano, dovevano, convivere insieme se si cerca di ridare vita, nelle pagine, alla lingua.

E poi perché si era laureato al Politecnico, come me!

Che rapporto hai con il dialetto milanese che ormai è scomparso dal parlato quotidiano e sopravvive solo in qualche mercato rionale?

Io il dialetto l'ho dovuto conquistare. Mio padre è campano, mia madre siciliana, in casa non si è mai parlato in dialetto. L'ho sempre sentito come un vuoto da colmare. Sono ingordo di dialettalità, che a Quarto Oggiaro poi è babelicamente presente: pugliese, veneto, milanese, siciliano, si sente di tutto, cadenze impossibili, sincretismi da far venire la pelle d'oca a qualunque glottologo.

C'è da dire che la perdita del dialetto è una cosa più milanese che del resto d'Italia. Già fuori città, a Lodi, a Brescia, si sente parlare più comunemente in dialetto. A me dispiace perché il milanese la trovo una lingua molto dolce e musicale. Senza però cadere nella nostalgia; una lingua se è forte e viva si rigenera. Se scompare si vede che aveva fatto il suo tempo.

Come si trasforma Quarto Oggiaro durante l'estate, quali sono i possibili ristori concessi ai reclusi che non possono permettersi di andare in vacanza?

Una volta Quarto Oggiaro si svuotava completamente. Non c'era anima viva, non un negozio aperto. Oggi non è più così. Molti milanesi non partono, oppure distribuiscono le ferie in un arco di tempo più ampio. C'è chi parte a luglio, chi a settembre. Quindi il quartiere, e Milano stessa, non sembra più un deserto, semmai una landa poco abitata. Il problema è che se non hai mai avuto luoghi deputati alla socialità d'inverno, dove credi di trovarli d'estate?

E' vero che quest'anno rinuncerai alle vacanze per portare a termine il tuo nuovo romanzo, di cosa parlerà?

Più o meno. Mentre ti scrivo la mia famiglia è al mare e io me ne sto qui a sudare in studio (sono pur sempre un architetto, no?). Ad agosto non penso che farò alcunché di esotico. Andrò a trovare qualche parente e mi ritaglierò del tempo per la scrittura. Il prossimo romanzo, te lo dico subito, non sarà un giallo e Ferraro non ne sarà il protagonista, anche se... come dire... diciamo che uno dei tanti personaggi che costellano i miei due precedenti romanzi mi ha chiesto di raccontare la sua storia, e io l'ho accontentato. Tecnicamente questa operazione si chiama spin off: "portare fuori" un personaggio minore di una serie e farlo diventare protagonista.

E' una storia di ragazze, di ventenni che hanno un sogno: sfondare con un gruppo rock. Un sogno tipico di molti ragazzi. E' una storia piccola, rispetto i miei romanzi precedenti, una storia quasi sussurrata, dove la vera sfida è quella di far parlare un io narrante al femminile e dove la musica sarà presentissima. Quello che spero è riuscire a scrivere un libro "da ascoltare", "da canticchiare".

Da tempo sei una sorta di forzato delle presentazioni, come reagisce Milano ai lanci dei libri?

Mah... Milano è una città strana, molto snob. Spesso le presentazioni sono semideserte. Trovi gente molto più entusiasta in assurdi paesini della provincia. A Milano tutti corrono, sembra che non abbiano tempo per fermarsi ad ascoltare un autore che parla del suo libro. O forse è la formula "presentazione in libreria" che non regge più. Mi è capitato che in manifestazioni particolari, che univano magari al libro altre iniziative, anche a Milano, venisse molta gente. Non so che dirti.

Io, in realtà, inizio a stancarmi, mi porta via molto tempo, soprattuto alla scrittura. Ma mi sento come in dovere nei confronti del lettore. Io non credo all'idea dello scrittore chiuso nella sua torre d'avorio. Vado alle presentazioni più che per vendere copie, per ringraziare tutti quelli che al posto di andare al cinema, o di giocare alla play station preferisce "predere tempo" con i miei libri.

Quali sono i locali che ami frequentare e perché?

Quando hai un lavoro, una moglie, due bambine e vuoi anche scrivere dei libri, il tempo per uscire e andare nei locali non ce l'hai più. Punto.

Di mestiere fai l'architetto, cosa ti colpisce di più dell'urbanità della tua città, cosa cambieresti e cosa non toccheresti per tutto l'oro del mondo?

La più antica tradizione milanese è proprio quella di cambiare pelle, continuamente. Per assurdo se questo non fosse, se conservassimo tutto, Milano morirebbe. Certo, non bisogna perdere di vista il patrimonio storico architettonico che c'è, e che è tra l'altro di altissima qualità, di livello (non ho paura a dirlo) mondiale; basta ricordare che S. Maria delle Grazie e il Cenacolo sono stati dichiarati "patrimonio dell'umanità"... però è vero che Milano non è tutta lì. Bisognerebbe pensare a qualcosa di importante, a riformulare nuove centralità al di fuori della cerchia dei navigli, nuovi monumenti moderni che riqualifichino a livello estetico e sociologico molte aree della città che oggi sono un po', come dire, anonime e che spesso cercano identità negli ipermercati, anomici per definizione.

Come trovi che sia stata raccontata nel tempo Milano dagli scrittori?

Direi che dopo una Milano neorealista, Viscontiana, sembrava che fosse sparita dagli interessi nazionali. Pensa alla fiction Tv. Dalle soap opera, ai film tv, non c'è un solo progetto televisivo italiano ambientato a Milano. Non lo trovi assurdo? Stiamo parlando dell'unica città italiana che potrebbe competere in Europa e sembra sia stata dimenticata dall'immaginario collettivo.

Da un po' di anni a questa parte ci stanno pensando gli scrittori, sopratutto quelli noir, a ridefinirla, a ridare un immaginario urbano.

Speriamo che questo tracimi in un media più collettivo, quali il cinema o la televisione. Cioè, intendo, spero che Milano venga, finalmente, rirappresentata per quello che è oggi, e non per luoghi comuni ormai obsoleti.

Se dovessi descrivere in poche parole la nostra città come la ritrarresti?

E' una città che, dopo una sbornia incredibile durata decenni, si è leccata le ferite per anni, mesta e melanconica, in un cantuccio. Ma ora si sta chiedendo se rialzarsi e riprendere il cammino o addormentarsi definitivamente. Io tifo per la prima ipotesi, ovviamente.

Per creare il tuo ispettore Ferraro ti sei ispirato a un poliziotto vero?

No. Mi sono ispirato ad un uomo qualunque. Perché reputo i poliziotti, prima di tutto, uomini qualunque. Con i pregi e i difetti di chiunque.

Perché hai voluto regalargli i dolori di un'emicrania così forte?

Perché, dato che Ferraro non sono io (siamo molto diversi, io e lui) almeno una cosa di mio gliela volevo dare. La più antipatica, ovviamente.

Se dovessi far fare un breve giro turistico a un amico straniero quali tesori di Milano gli faresti riscoprire?

Gli chiederei di fare il giro insieme a me. Milano bisogna conoscerla bene per scopre la sua bellezza autentica.

Qual è l'ultimo spettacolo o concerto visto a Milano che ti ha colpito per intensità?

Non me ne viene in mente neppure uno. Non è buon segno, a pensarci bene!

Gianni Biondillo è nato a Milano nel 1966. Architetto, saggista, ha scritto per il cinema e per la tv. Ha scritto Con la morte nel Cuore e Per cosa si uccide (Guanda). Dai due libri, che raccontano le avventure dell’ispettore Michele Ferraro, dovrebbe essere presto tratta una fiction televisiva. Biondillo è già alle prese con la sua terza prova narrativa: non sarà un poliziesco.