Qualche tempo fa Piergiorgio Pulixi è stato a Pistoia per presentare i suoi ultimi due libri: il romanzo, e una raccolta di venti racconti dal titolo “L’ira di Venere”.

Ne è seguita una conversazione interessantissima che ha toccato temi che andavano ben oltre la classica presentazione dei libri. Si è parlato di tecnica di costruzione dei personaggi, del ruolo dell’autore come artigiano della scrittura, del suo inizio alla “scuola” di Massimo Carlotto, dei personaggi a cui dà vita.

Insomma, una passeggiata nel noir contemporaneo.

Protagonisti di alcuni racconti dell’antologia “L’ira di Venere” (Cento Autori) sono gli investigatori Carla Rame e Biagio Mazzeo. “La scelta del buio”appartiene alla serie “I canti del male” ed ha come protagonista il commissario Vito Strega. Uno dei fili conduttori è l’estrema contiguità con i carnefici e l’empatia con le vittime.

Venere ovvero l’amore: come declini nei tuoi racconti questo eterno tema della letteratura?

È un amore distorto, malato, che conduce da una parte alla follia attraverso l’incapacità propria degli uomini di gestire questo sentimento – forse perché nessuno ha mai insegnato loro come fare – e dall’altra si traduce in atti di violenza non soltanto fisici, ma in primis psicologici. In questi venti racconti che hanno per protagoniste venti donne diverse l’amore viene declinato in contesti e situazioni personali molto differenti, ma l’elemento comune a tutti i racconti è proprio come a volte l’amore nasconda al suo interno un seme oscuro: il seme della possessività, della gelosia irrazionale, dell’incomunicabilità, e di un amore che spesso amore non è ma ne ha solo le forme dietro cui si nasconde un bisogno di attenzione, di sentirsi importanti, una sorta di stampella psicologica per tenere assieme i cocci di una personalità fragile e debole; e quando si tenta di eliminare quella stampella, quella sorta di armatura psicologica crolla a pezzi, e spesso la reazione all’abbandono è la violenza. Alcune donne ne sono, purtroppo, inevitabilmente vittime; altre – come in alcuni di questi racconti – trasformano il dolore e la paura in coraggio, e reagiscono con altrettanta determinazione e violenza, vendicandosi. Il motivo primigenio che mi ha spinto a scrivere quest’antologia era quello di comprendere il perché di tutta questa violenza di genere e quali fossero le cause di tale dramma diffuso; la mia tesi personale è che si tratti principalmente di un problema culturale, di un retaggio e un’impronta culturale arcaica che inficia ancora i nostri comportamenti. La vera tragedia è che a essere succubi di questi sistemi culturali obsoleti e maschilisti non sono soltanto gli uomini, ma anche le donne.

Nel noir contemporaneo c’è sempre un’indagine sulla zona d’ombra, talvolta molto oscura, dell’animo umano. Nei tuoi la zona grigia si estende a tutti i personaggi, tormentati da esperienze che li hanno segnati. Perché questa scelta?

Perché nei miei ultimi lavori è proprio questo il centro nodale: raccontare il male, descrivere la devianza e le meccaniche emozionali interne che portano a scegliere il buio. Attraverso il noir puoi raccontare l’erosione dell’animo umano prodotta da ferite psicologiche endogene, e al tempo stesso individuare le cause esogene, quelle che arrivano dall’esterno, come per esempio l’influenza della società che spesso si rivela essere una madre violenta e crudele nei confronti dei propri figli. Il noir racconta il disagio, le sue radici avvelenate, e cosa accade quando non solo la pianta viene intossicata, ma l’intero ecosistema diventa nocivo. Lo fa senza filtri, senza strizzare l’occhio al lettore, con una onestà intellettuale che per forza di cose spesso rasenta il cinismo. Sono storie dure così come è dura la realtà e la vita. I lettori, forse proprio per questo, si riconoscono in queste storie e situazioni, sentono il profumo della realtà e della verosimiglianza, e vogliono andare alle radici dei problemi, a costo di essere destabilizzati e spaventati.

Oltre a quella interiore c’è un’inchiesta su modello giornalistico sui crimini moderni, in particolare sulla violenza sulle donne.

Sì, alcuni dei racconti sono prettamente rubati alla cronaca: ho identificato dei casi su cui a mio avviso valeva la pena concentrarsi per andare un po’ più a fondo della normale cronaca giornalistica, e li ho trasfigurati letterariamente in un corpus di racconti più organico per poter ravvisare i prodromi della violenza, la sua gestazione, l’esplosione improvvisa, e soprattutto cosa accade dopo a chi resta e deve metabolizzare il dolore, il vuoto, e la perdita. La vera maledizione perseguita chi rimane. Chi è costretto a vivere giorno dopo giorno infestato dai fantasmi e dai sensi di colpa e dalle recriminazione dei “avrei potuto…”, “avrei dovuto…”, “non ho fatto abbastanza…”.

Nei tuoi romanzi non dai spazio all’ambientazione urbana, a una precisa connotazione geografica quanto piuttosto alla psicologia dei personaggi. Questo ti differenzia da molti altri scrittori di noir “regionale”.

Sì, è una scelta poco in linea con quella della gran parte dei miei colleghi. Trovo che la specificità dei territori che viene raccontata attraverso i romanzi polizieschi italiani sia una componente forte del loro travolgente successo. Allo stesso tempo, ritengo che il luogo debba avere un ruolo caratterizzante all’interno del romanzo, debba influenzare la storia e, a cascata, i personaggi, perché ogni città ha le proprie dinamiche, la propria storia, e questo determina degli influssi e delle suggestioni in grado di arricchire un romanzo. Se però questo ruolo centrale non lo possiede, se la storia è totalmente slegata dall’ambientazione specifica, (così come nel mio caso), allora ritengo più utile concentrare tutta la vis descrittiva sull’intimità dei personaggi e sulle loro relazioni personali; il “genius loci” diventa l’anima del personaggio, e l’autore, sgravato dalla responsabilità di dover raccontare nel dettaglio un luogo spesso complesso da tratteggiare come una grande metropoli, può totalmente dedicarsi alla psicologia dei personaggi e al mosaico delle loro personalità. I miei ultimi romanzi, appartenendo a delle serie tematiche, hanno sfruttato più questo territorio psicologico e meno quello “cittadino”, perché andavano a scavare nell’animo umano. Ma, ovviamente, se la storia dovesse essere innervata a un luogo specifico, anch’io tornerei ad ambientare quel racconto in un determinato territorio.

Quali caratteristiche deve avere una storia per imporsi al pubblico dei lettori?

Probabilmente la sincerità. Credo che i lettori – soprattutto quelli afferenti all’area noir/thriller – siano ormai molto smaliziati, e percepiscano istantaneamente se una storia sia genuina, o se sia artefatta; se i personaggi sono troppo prevedibili, se l’intelaiatura tecno-strutturale è troppo visibile sotto l’ordito delle parole, il lettore proverà una sensazione di “già visto” e di freddo: freddo inteso come distanza, come un qualcosa di artificiale. Le storie invece devono essere calde. Calde di passioni ed emozioni, calde di errori umani, di contraddizioni, e di lati luminosi e zone d’ombra. Se un autore racconta in modo onesto e genuino i suoi personaggi e l’intreccio delle loro vite – strutturando e congegnando una trama ingegneristicamente perfetta ma non per questo “fredda” – il lettore scivolerà dentro il racconto con molta fluidità e si dimenticherà di leggere un libro, trovandosi invece a vivere una vita che non è la propria. Il trucco è proprio nascondere la fredda tecnica sotto un manto caldo di emozioni e sentimenti.

Con la serie “I canti del male” hai assunto un grande impegno: narrare il Male contemporaneo nelle sue sfaccettature. Quasi un’indagine criminologica. Come operi per ogni romanzo della serie?

I Canti del Male” vogliono essere un affresco su quella che è la malvagità umana, e su come il male arrivi a influenzare i nostri comportamenti, smussando la nostra morale, fino a pervertire il nostro animo. Ogni romanzo sarà un Canto a sé stante, e ogni Canto esplorerà un tema, e un aspetto del Male diverso. Così opero in questo modo: individuo un tema, cerco come un rabdomante sotto la superficie della cronaca un caso che possa attagliarsi al tema che voglio eviscerare, e lo studio, documentandomi; a quel punto, una volta terminata la fase di ricerca e documentazione, inizio a pensare a come quel determinato caso possa influenzare il sistema morale dell’investigatore, e quanto l’agente investigativo – in questo caso Strega – debba esporsi per provare a risolvere il caso, e che costi questo comportamento abbia in termini di contraccolpo emotivo e psicologico, personale e famigliare. A quel punto inizia la delicata intelaiatura della trama, che passa da fili inizialmente più grezzi e spessi, fino a intrecciare filamenti sempre più sottili e ricercati. Una volta srotolato l’arazzo degli eventi, si verifica che i colori, l’intreccio e i contorni siano tutti omogenei e che non si sfaldino al tocco, anche quello più violento. Solo a quel punto, consapevole dell’interezza della storia, comincio la fase più creativa, che coniuga in qualche modo la “scienza” del racconto con “l’arte” del racconto, ovvero incarnare la scrittura, unendo all’ossatura della storia la carne delle parole.