Lo scrittore Piergiorgio Pulixi e il giornalista Enrico Bellavia hanno partecipato recentemente al festival Giallo Pistoia 2017 con un intervento dal titolo: “Trame e misteri nel mondo delle mafie tra realtà e immaginario”.

La conversazione poi si è aperta alla riflessione sul modo di raccontare un fenomeno criminale nei giornali e in letteratura, tra realtà dei dati e invenzione letteraria.

Piergiorgio, nei tuoi romanzi hai spesso raccontato storie criminali basandoti su ricerche e inchieste giornalistiche. Cosa differenzia questo tipo di letteratura legata alla realtà rispetto a  quella di pura invenzione?

 

Credo che entrambe rivestano un ruolo molto importante, questo perché danno impulso al senso dell’immaginazione. Leggere significa immaginare; sfruttare le proprie sovrastrutture, memorie, e capacità introspettive per trasfigurare in immagini, emozioni, sensazioni, profumi, e voci, ciò che leggiamo. Il cinema, le serie-tv, i videogiochi, e la maggior parte delle altre forme di intrattenimento hanno un tipo diverso di fruizione, più passivo. Immaginare significa in qualche modo partecipare attivamente al processo creativo, perché la storia, in tutti i suoi polimorfi elementi, viene “ricostruita” nella nostra mente attraverso i nostri personali codici interpretativi. Ciò ci porta a sfruttare l’empatia e una gamma vastissima di emozioni – non soltanto positive – che ci fanno vivere in prima persona quello che stiamo leggendo. Il segreto è questo: “entrare” totalmente dentro le storie ci consente di relazionarci ai temi del racconto (e nel secondo caso all’inchiesta) in un modo diverso rispetto agli altri mezzi di comunicazione e/o intrattenimento. Quel genere di letteratura che è nato sotto il nome di “noir mediterraneo”, che coniuga i canoni della letteratura noir/poliziesca con una forte inchiesta e denuncia sociale, sfruttando l’empatia e tutte le potenzialità emozionali della letteratura, fa sì che quelle inchieste, quei virus di realtà contamino più a fondo la coscienza del lettore rispetto a un saggio o una semplice inchiesta giornalistica, questo per via della componente emozionale che ci induce a introiettare temi e inchieste in modo più intimo e coinvolgente.

 

Quanto ha influenzato nelle tue scelte letterarie la “scuola” di Massimo Carlotto?

 

È stata determinante. Massimo ha saputo rielaborare e ampliare le lezioni di Jean Claude Izzo, rinvigorendo il genere e declinandolo in una realtà complessa e stratificata come quella della criminalità italiana che spesso confina con ambiti a lei affini, come la politica, l’alta imprenditoria, tanto che a volte si fatica a distinguerne i contorni e i confini. Attraverso le sue lezioni sono stato in grado di leggere la letteratura di genere sotto lenti diverse, arrivando a capire la portata rivoluzionaria insita in questo genere che può scardinare menzogne e status quo.

 

Per scrivere Perdas de fogu (romanzo inchiesta sul poligono sperimentale di addestramento interforze del Salto di Quirra in Sardegna) Massimo Carlotto e il vostro collettivo Mama sabot,  avevate fatto ricerche in prima persona?

 

Sì. Quella è stata l’occasione per mostrarci l’anatomia del romanzo d’inchiesta, questo sulla strada, in itinere. Credo che quel libro in particolare sia l’esempio perfetto di come la letteratura possa dissolvere coltri di menzogne e demolire sistemi di potere; quel romanzo l’ha dimostrato e continua a farlo. Il punto è che i libri da soli sono inerti e inermi; quel potere rivoluzionario di cui parlavo prima, quella spinta civile e morale a prendere una posizione e avere consapevolezza di un dato problema può avvenire solo grazie ai lettori che danno “vita” all’oggetto libro, e ai librai che se ne fanno portatori. Il “contagio” può avvenire solo grazie a loro. Il noir mediterraneo o il noir sociale, come preferisci denominarlo, è intrinsecamente legato alla coscienza del lettore. Per questo il legame con i nostri lettori è così forte e duraturo: poiché si basa su una fiducia reciproca e sull’assunto che i nostri noir sono una trasfigurazione letteraria della realtà nelle sue anime più buie e violente.

 

Esiste il rischio di querele trattando argomenti di attualità criminale?

 

Meno rispetto ad altre forme di comunicazione e cronaca, anche perché col tempo abbiamo imparato a difenderci giuridicamente in modo più adeguato, scongiurando quell’eventualità sul nascere grazie all’ausilio degli uffici legali delle case editrici. Il rischio comunque esiste, ma questo fa parte del gioco.

 

Per finire, la letteratura giallo/noir oggi ha una funzione sociale?

 

In qualche modo credo che tutta la letteratura, a prescindere dalle sfumature di genere, abbia una funzione sociale. Se un libro mi porta a pensare, a riflettere, conseguentemente questo mi stimola a leggere la società e la realtà con occhi e consapevolezze diverse, quindi questo ha avuto un effetto sociale, quantomeno su me stesso. Se però si vanno a sommare gli effetti che la lettura – mettiamo di quello stesso libro – ha avuto sugli altri mille, diecimila, centomila lettori oltre che su di me, allora gli esiti vanno letti sotto cifre e portate diverse.  Ovviamente la “funzione sociale” può variare a seconda di quale libro stiamo parlando (e soprattutto della qualità del testo), ma parto dal principio che ogni libro ben scritto dovrebbe da una parte farci riflettere su un qualsivoglia aspetto della nostra esistenza, e dall’altra regalarci e rivelarci un angolo prospettico visuale sulla vita, sulla realtà, o su noi stessi, che prima ignoravamo, e che in qualche modo può arricchirci come esseri umani, ancora prima che come lettori assettati di intrattenimento. Accrescere la propria consapevolezza, maturare un intelletto critico e attento, rinvigorire l’empatia, sono di per sé aspetti che ci permettono di vivere meglio il nostro ruolo di cittadini ed esseri umani, ed è palese che questo abbia una ricaduta sociale sulla nostra comunità e sul nostro modo di relazionarci agli altri. Quindi, per tornare alla tua domanda, sì, ogni libro scritto col sangue e con l’anima può e “dovrebbe” avere una funzione sociale.

 

Grazie, a presto. Non mancherà l’ occasione per fare ancora quattro chiacchiere “letterarie”.