Capitolo secondo

«Fidelio, togli le due telecamere dal casco…».

Lupo Bianco era inquieto. L’attesa di lanciarsi con la tuta alare dal Dente della Vecchia gli stava provocando tensione. Probabilmente inattesa. Non si poteva definire paura, ma un sentimento più sottile. In realtà Lupo era consapevole di ciò che avrebbe rischiato: due giovani spagnoli erano precipitati alcuni giorni prima, schiantandosi contro le rocce del monte Sassone.

«…Carlo, non voglio essere filmato».

Da sempre Lupo detestava che la sua immagine venisse impacchettata in un video e magari caricata su YouTube. Odiava con tutto il cuore le interviste e i giornalisti. Un’ossessione che aveva ereditato dalla nonna: “Mi raccomando, fatti fotografare il meno possibile, figliolo, perché qualcuno ti potrebbe rubare l’anima e poi lanciarti addosso il malocchio”. Nell’epoca di internet era impossibile sottrarsi alla persecuzione di finire online, ma almeno in quel caso poteva decidere lui.

«Togliete anche le altre due microcamere inserite sulle spalle, lascio accesa solo la ricetrasmittente».

Fidelio Perricone, idraulico, e Carlo Nardello, responsabile dei droni del Soccorso Alpino, tutti e due esperti di base jumping – ovvero il lancio con la tuta alare e il paracadute da dirupi scoscesi, ponti e grattacieli – obbedirono in silenzio. Sapevano che Lupo era in piena overdose d’adrenalina. Una Lo situazione normale per chi sta per spiccare il primo volo. Con tanta fatica Fidelio e Carlo erano riusciti a convincere Lupo Bianco a provare quello sport estremo, almeno una volta. Secondo loro, Lupo aveva bisogno di una scossa violenta e il base jumping era in grado di dargliela. Il recente addio della sua fidanzata, Ingrid Sting, campionessa del mondo di discesa libera, gli aveva procurato una ferita profonda e lo aveva spinto a rintanarsi in solitudine. Più che un lupo sembrava un orso. Non soffriva di depressione, ma quasi. Carlo e Fidelio erano certi che il lancio sarebbe stato più efficace di qualsiasi farmaco. E gli effetti si vedevano già: Lupo Bianco faceva scintille.

Temperatura mite, primaverile, anche se era febbraio, vento leggero e favorevole: una situazione ideale. Lupo aveva compiuto numerosi lanci con il paracadute ma il base jumping era un’altra cosa. Buttarsi con la tuta alare non era uno scherzo. Carlo Nardello gli fece un’ultima raccomandazione.

«Non aprire subito le braccia, aspetta sempre qualche secondo…».

Addobbato tra Batman e l’omino Michelin, Lupo Bianco era immobile sullo strapiombo del Dente della Vecchia. Si sentiva ridicolo. E pensare che i due amici volevano anche fare un video… Fidelio tolse l’ultima microtelecamera inserita sulla schiena, controllò la tuta di Lupo, poi esaminò il paracadute.

«Ok. Sei pronto per il lancio».

Nardello tirò fuori il telefonino.

«Aspetta. Prima facciamoci un selfie…».

Ci mancava anche questo! Lupo Bianco alzò i tacchi e si scaraventò giù. Spericolato e coraggioso come sempre. Sfiorò la parete del Dente della Vecchia, poi stese le braccia e la sua tuta alare si gonfiò. La manata ghiaccia della morte incombeva Lo e la sfida era aperta. Lupo Bianco prese il cielo. Visto dal basso assomigliava a un buffo pipistrello. Un’immagine sempre più frequente a Valdiluce, diventata da poco un centro internazionale di base jumping. Da lassù il paese appariva ordinato con le sue strade pulite, le piste da sci battute con cura, gli impianti di risalita in funzione. Tutto pettinato a modo. Un cosmo tranquillo e placido, come quello delle favole.

Carlo e Fidelio gli avevano ripetuto che con la tuta alare si provava la sensazione di volare come un uccello. Lupo fantasticò di essere Trogolo, il falco più famoso del paese; ma fu solo un attimo, perché come un proiettile gli arrivò addosso la vetta del monte Sassone. Sfiorando la cima, capì che aveva raggiunto una velocità esagerata. Riprese fiato. Quel volo dava violente bordate di euforia. Si sentiva alterato come se avesse assunto della droga.

Attraversò una bolla di profumo che giungeva dalla foresta intiepidita dal sole. Era una gradevole fragranza di resina mischiata al larice. Ogni odore ha una sua capacità evocativa, può rammentare un volto, un’emozione, un suono. Lupo, che con il suo naso finissimo aveva ogni giorno a che fare con i profumi, conosceva bene gli effetti, talvolta anche fastidiosi, del loro potere. Il più delle volte la memoria produceva solo nostalgia. Sentì affiorare qualcosa. Ebbe paura. Resina mischiata al larice… Non voleva che quel ricordo gli piombasse in testa, ma l’immagine di Ingrid, bellissima e felice, che amoreggiava con lui in una radura di un bosco odoroso di resina e di larice gli si presentò ugualmente davanti agli occhi… Quel flashback gli procurò scompiglio. Lupo si stava avvitando, precipitando. Un brusco risveglio, il walkie-talkie strillò.

«Sposta il braccio sinistro in alto, cambia direzione, altrimenti vai a picco».

Lupo capì di essere nella merda: stava precipitando e non era facile riprendere il dominio sul volo.

Fidelio urlò: «Cazzo, sei vicino allo stallo…».

Lupo Bianco si affidò all’istinto: imbrigliò il suo corpo d’atleta, tese i muscoli modellati dallo sci e dalle scalate, afferrò l’aria nelle mani, allargò le braccia fasciate dalla tuta alare. Spense il ricordo di Ingrid e accese i suoi occhi azzurri, stabilizzandosi. I lunghi capelli biondi ripresero a volare fuori dal casco.

«Bravo, così così…».

Lupo, come una saetta, sfiorò il comignolo del rifugio alpino. Per fortuna precipitò nell’orrido di Marti. Settecento metri di baratro. Era il momento di tirare la maniglia del paracadute. Si aprì con un botto e fu come se una mano l’avesse placcato. Finalmente poteva contemplare la Valnera, rischiarata dal sole e abbagliata dalla neve. Dall’alto identificò molti sentieri che aveva spesso percorso a piedi e notò qualcosa di anomalo vicino al fiume Marti. Era difficile stabilirne con certezza i connotati, anche perché il soggetto appariva e scompariva tra le cime degli abeti, ma sembrava una sagoma piuttosto imponente, appoggiata a un albero, immobile. Forse un corpo senza vita, con indosso una tuta mimetica marrone? O un cacciatore di frodo che si aggirava per quell’area protetta? Un escursionista che si era sentito male? Fu a quel punto che Marzio Santoni detto Lupo Bianco ritornò a essere l’ispettore responsabile del posto di polizia di Valdiluce e annotò dentro di sé le coordinate: fiume Marti altezza Valnera, ottocento metri dal lago Turchino. Il paracadute lo portò dolcemente a terra. Quasi fu un ammaraggio, tanto la neve era umida per il caldo. Subito dopo atterrarono anche Carlo e Fidelio.

Non c’era tempo da perdere, neppure per ascoltare le congratulazioni dei molti sciatori che si erano fermati a osservare il loro arrivo. L’ispettore Santoni si tolse la tuta alare, raccolse il paracadute e tirò fuori il telefonino. Chiamò il suo assistente, Kristal Beretta.

«Potrebbe esserci un cadavere nella Valnera, vicino al fiume Marti, appoggiato a un abete. Dobbiamo organizzare un sopralluogo: faccia venire subito al posto di polizia una squadra del Soccorso Alpino. Io arrivo al più presto. Intanto dirò a Nardello d’inviare un drone, per anticipare la nostra spedizione».

Kristal, quando c’era qualcosa da chiarire, un mistero magari, si eccitava e, come sua abitudine, divorò un cioccolatino. Non vedeva l’ora che il suo amato ispettore Santoni rimettesse in moto sia il cervello che la Vespa bianca. Dopo l’addio di Ingrid, un’indagine era proprio quel che ci voleva per distrarlo.

«Va bene ispettore, convoco subito la squadra. Nel frattempo vuole che la raggiunga a Prato delle Motte?», gli disse, in tono vigoroso.

Come faceva Kristal a sapere dove si trovava in quel momento? Eppure l’ispettore Marzio Santoni non aveva parlato con nessuno del lancio. A Carlo e Fidelio aveva chiesto il massimo della discrezione. Doveva rimanere una questione privata. Tagliò corto.

«Non si preoccupi, mi accompagnerà Nardello, che sta qui con me».

Kristal abbassò il tono della voce.

«Ispettore, vorrei felicitarmi per la traiettoria da brivido che ha tracciato nel cielo di Valdiluce con la tuta alare…».

Marzio Santoni lo interruppe, indispettito.

«Io non le ho mai detto che avrei effettuato un lancio. Chi diavolo l’ha informata?».

L’assistente continuò, baldanzoso. «Girava la voce. Tutto il paese si è radunato in piazza per seguire la sua performance. Centinaia di binocoli erano puntati su di lei, sembrava ci fosse un’eclisse».

Santoni non ebbe la forza di sorprendersi, ancora una volta il sistema informativo di Valdiluce superava qualsiasi immaginazione. Si consolò con un po’ d’ironia.

«Purtroppo la speranza che mi schiantassi sul monte Sassone è stata delusa…».

«Ma no, ispettore, che dice? Lei è l’uomo più amato del paese».

Lupo Bianco sorrise.

«Comunque, Kristal, dovrà provare a fare un lancio con la tuta alare. È un’esperienza straordinaria».

All’altro capo del telefonino ci furono strani rumori gutturali, forse un cioccolatino andato di traverso, e il respiro di Kristal Beretta divenne affannoso, infine cadde inspiegabilmente la linea. L’assistente di Lupo Bianco aveva molte doti apprezzabili, ma l’audacia non era il suo forte. Mai era voluto salire sugli sci. Detestava la neve e la montagna. Soffriva il freddo, e quindi divorava una quantità impressionante di cioccolatini. Si vestiva da cittadino con giacca e cravatta e non calzava gli scarponi, ma un paio di mocassini neri. Figuriamoci se si sarebbe tuffato dal Dente della Vecchia con la tuta alare. Tuttavia la fedeltà alla legge e all’ispettore Santoni colmava di gran lunga qualsiasi altra sua piccola imperfezione.