Michele Scoppetta nasce nel 1983 a Sarno, in provincia di Salerno.

Lettore onnivoro e da sempre amante della scrittura, si affaccia al mondo dell'editoria partecipando alle antologie della serie “365 racconti”, della Delos Books. Dopo aver seguito un corso di scrittura con Franco Forte, un suo racconto viene selezionato per la pubblicazione nello “Speciale SF 70” della rivista "Writers Magazine Italia" e nell'antologia "Il magazzino dei mondi 2" (Delos Books). Altri suoi racconti appaiono in varie pubblicazioni, tra cui l’antologia "Tutti i mondi di Mondo9" (Delos Books), sul periodico online "Strade" e sul sito "Extravesuviana", per il quale cura una rubrica di letteratura, cinema e cultura generale. Di recente è stato tra i vincitori del contest letterario dedicato ai racconti storici ispirati agli scenari del romanzo "Ira Domini – Sangue sui Navigli" di Franco Forte, vittoria che gli ha dato la possibilità di scrivere “Quella luce in fondo al pozzo”, un thriller ambientato ai tempi di Carlo Magno, dove l’indagine sul campo sfocia in quella nell’animo umano. Uscito nella collana History Crime, il racconto, che vede il diacono Alcuino e il biografo Eginardo indagare sull’omicidio del cugino dell’imperatore, ha riscosso un buon interesse presso i lettori.

Conosciamo meglio l’autore e la sua storia in questa intervista.

Chi è Michele Scoppetta e perché scrive? 

Sono solo un ragazzo della provincia campana che fa l’operaio in un’azienda di alimentari per tirare avanti. Mi verrebbe da rispondere al secondo quesito dicendo che scrivo per evadere dalla fabbrica in cui lavoro, che porta via gran parte del tempo che mi piacerebbe dedicare alla scrittura. In realtà alla scrittura ci sono arrivato per gradi e la storia è antica. Ero un bambino e mia madre mi insegnò a leggere e a scrivere prima che cominciassi le elementari. “Robinson Crusoe” e “Cuore” i miei primi romanzi. Nel contempo già osservavo la realtà che avevo attorno con occhi diversi e spesso mi capitava di sentirmi strano guardando per esempio un cielo terso di nuvole. Ma non lo sapevo dire. Crescendo ho alimentato i miei interessi sempre di più e, a un certo punto, mi sono messo a studiare la leggenda del Graal. Ecco, forse scrivo per trovare il mio Santo Graal.

Quella luce in fondo al pozzo” è il tuo primo thriller storico. Parlaci della sua genesi.

Tra i miei esami universitari [Facoltà di Lettere – Corso di laurea in Scienze dei beni culturali, ndr] c’era anche Storia Medievale, un periodo che ho sempre amato. Conoscevo abbastanza bene la storia di Carlo Magno (si dice che anche lui fosse interessato alla leggenda del Graal), e restai colpito dal fatto che, nonostante fosse analfabeta, riuscì a creare un impero così grande e solido. Qualcuno ha definito il Medioevo “Il secolo buio”, lasciando la porta chiusa a un mondo secondo me straordinario. Le innovazioni e le invenzioni che hanno caratterizzato un periodo che comprende più di mille anni di storia hanno cambiato i modi di lavorare e di pensare di tutte le epoche successive. Ho subito pensato a questo periodo perché ritengo che sia da qui che partono le varie correnti di pensiero filosofico che influenzeranno la storia moderna, le prime traduzioni in varie lingue della Bibbia. Insomma, gli uomini di cultura erano pochi, questo è vero. Ma i giovani avevano voglia di imparare e cercavano di seguire le orme dei maestri, che non facevano altro che mettere sul piatto tutti gli studi che avevano seguito nel corso degli anni. Come fai a dire che tutto questo non sia affascinante? Mi ci troverei bene nel Medioevo, così ho tentato di raccontare una storia per tornare indietro nel tempo. Potrebbe sembrare egoistico da parte mia, ma bisogna essere a proprio agio quando si parla di un periodo così lontano. E io mi sono divertito molto. Peccato essere tornati al presente così in fretta. Prima o poi farò un'altra sortita nell'"età di mezzo".

La storia è ambientata nell’epoca di Carlo Magno, subito dopo la sua incoronazione a Imperatore del Sacro Romano Impero. Perché questa scelta?

Dobbiamo considerare che l’impero carolingio era formato da varie genti, un po’ come succede ora all’Italia con i profughi di guerra che tentano di prendere asilo per salvarsi la pelle. La differenza sostanziale è che Carlo Magno lasciò a ogni etnia le proprie tradizioni e trattò egualmente tutti coloro che aveva sottomesso all’impero. E non è una grandezza, questa? Un analfabeta che arriva oltre gli usi e i costumi di un popolo, e li cementa semplicemente lasciando la libertà a ogni uomo di fare ciò che faceva quando abitava le proprie terre. Abbiamo un esempio da seguire, tutti. Ogni volta che sento che un barcone è andato disperso o qualche migliaio di rifugiati è stato rispedito al mittente, penso sempre a Carlo Magno. Con lui le cose sarebbero state molto diverse, questo è indubbio. L’ho scelto perché, come ho già detto, mi sembra un periodo ben più fecondo della nostra storia contemporanea. E molto meno banale. Altro che secoli bui. Come dice il buon Luciano De Crescenzo: “Tutti parlano del Medioevo come il periodo dei secoli bui, ma nessuno ci dice chi ha spento la luce”.

Oltre a Carlo Magno, hai inserito altri personaggi realmente esistiti?

Abbiamo Eginardo, il famoso biografo di Carlo Magno. Seguiva il suo imperatore in tutte le sue avventure e prendeva nota di tutto quello che accadeva intorno a loro. L’ho fatto allontanare per qualche giorno per farsi le ossa nel campo dell’investigazione.

Il secondo personaggio realmente esistito è il diacono Alcuino di York, a cui i libri di storia dedicano ingiustamente al massimo tre righe. Questo diacono ebbe un grande impatto sulla cultura dell’impero. Sua la creazione della Schola palatina, il punto di partenza per la creazione di numerosi centri di studio sparsi per tutto l’impero. Carlo Magno si fidava molto di lui, teneva di buon conto anche i suoi consigli in ambito bellico. Si dice che, quando morì, Alcuino conoscesse alla perfezione il contenuto di circa cento libri, una mole enorme di materiale. Considerando che fosse istruito in quasi tutti i campi del sapere, sono stato curioso di metterlo alla prova con un assassinio. Se l’è cavata egregiamente, come sempre.

Alcuino: un anziano diacono, ma anche un indagatore dalla mente vivace.

Sì, in gran parte ho risposto prima. Dalle fonti che sono riuscito a trovare ho scoperto che era un uomo molto solitario e silenzioso, che mal sopportava la compagnia altrui quando si trattava di perdere tempo. Alcuino studiava quasi sempre e, se doveva rilassarsi, studiava lo stesso. Un personaggio oscuro, enigmatico. Come non dargli la parte di protagonista in un racconto del genere?

Durante la fase di stesura del racconto, qual è stata la parte dove hai incontrato maggiore difficoltà? E qual è quella che ti ha gratificato di più?

All’inizio la difficoltà maggiore è stata quella di adattare un linguaggio consono al tempo che veniva raccontato. Ho già letto da qualche parte che persino autori famosi hanno, come dire, barattato terminologie contemporanee in luogo di parole più semplici e più attinenti al periodo. Di sicuro è molto facile uscire fuori dai binari e incorrere in questo genere di errori, specie se parliamo di un esordiente come me.

L’incontro iniziale tra Carlo Magno e Alcuino è forse la parte che mi ha dato più soddisfazione. Perché era il primo dei momenti cruciali, il sodalizio tra due grandi per arrivare a scoprire l’artefice del delitto. Sono un tipo molto emotivo, anche a livello di scrittura. Mi sono venuti i brividi quando scrivevo questa scena come se fossi stato presente. Tipo quando scartocci un regalo e i tuoi occhi aspettano di incontrare la sorpresa ambìta. Questo racconto è stato il mio regalo.

Il titolo “Quella luce in fondo al pozzo” è molto evocativo. A cosa si riferisce?

Alla verità. La prima immagine che mi è balzata alla mente era quella di un bosco, di notte. Il buio totale e una debole fiammella appena intravista sul fondo. Ho optato per il pozzo che in termini di titolo è più pratico e forse più evocativo. Il racconto potrebbe anche proporre altri tipi di quesiti, come “Quanto costa (e a chi) arrivare alla verità?”.

Credi che l’animo umano sia cambiato rispetto al periodo carolingio?

È peggiorato. Gli uomini malvagi ci sono stati e ci saranno sempre, e Carlo Magno non è stato certo un santo. Tuttavia i sistemi politici ed economici, oltre che quelli sociali, erano basati su forme di fiducia e rispetto che oggi è difficile rinvenire. La corsa al potere fa dimenticare a molti di avere una vita da rinfoltire, non solo il portafoglio. Così la gente muore con un conto in banca cospicuo e un magro ricordo delle belle esperienze che ha avuto. All’epoca erano maggiori e più cruente le guerre, ma è altrettanto vero che la gente, anche i più ricchi, si accontentavano di quello che gli veniva concesso. Carlo Magno era il più potente, ma vi assicuro che oltre alla caccia e a mangiare tonnellate di arrosto, non si concedeva molto altro. Pensate a uno dei potenti di oggi, può mai limitarsi a leggere un libro e giocare a golf ogni tanto? Oggi il potere è visibile e certificato anche nelle cose che si possiedono, il feudalesimo carolingio tendeva a far vivere bene tutti. C’è una bella differenza.

Siamo il frutto del nostro passato. Cosa hai imparato dal tuo?

Bella domanda. Posso dire che mia madre mi ha insegnato una cosa fondamentale, che voglio portarmi dietro per tutto quello che mi resta da vivere: avere fiducia in me stesso. E questo anche quando le cose non vanno come abbiamo previsto. Quasi mai il tempo aggiusta le cose, come dicono molti e quasi mai è vero che una volta si stava meglio di adesso. Credo che siano solo due impressioni errate, che non tengono conto della propria persona, che dovrebbe essere il centro della vita. Il tempo, il passato, il futuro, sono un filo indipendente in cui finiamo tutti. Non si ammorbidisce, non diventa più ostile e non sortisce favori. Allora la cosa più importante è l’uomo, che deve muoversi a fare quello che vuole fare e non abbattersi alle prime difficoltà, rimpiangendo un passato che, a conti fatti, non è stato assai migliore. Non lo è quasi mai. Questo ho imparato, a prendere tutto quello che di buono riesco a costruire. E a meravigliarmi per le novità. Mai perdere la meraviglia, è la porta principale per il sogno. E se non sogno abbastanza, come faccio a scrivere?

Tre consigli per chi vuole scrivere un thriller storico.

Si tratta del mio primo thriller, e non credo di poter dettare delle regole precise. Per la mia personale esperienza, in primo luogo bisogna studiare per bene il periodo che si vuole prendere in esame. Una prerogativa fondamentale, se non si vuole incorrere in strafalcioni anacronistici. Una volta completato lo studio, bisogna entrare nella mentalità dell’epoca, che significa anche conformare il modo di parlare per rendere più verosimile la storia. Infine, e questo vale per ogni tipo di racconto, bisogna sentire. I profumi, i suoni, ogni cosa che viene descritta deve essere vissuta in primo luogo dall’autore. Entrare dentro la propria storia è una esperienza irripetibile. Perché ogni storia che scriviamo è irripetibile.

La tua avventura nel thriller storico affonda le radici nella vittoria al contest letterario dedicato ai racconti ispirati a "Ira Domini – Sangue sui Navigli", romanzo storico di Franco Forte, pubblicato da Mondadori. Raccontaci la tua esperienza.

Questi contest per miniracconti sono i primi a cui ho partecipato quando ho deciso che era ora di mettersi sotto per scrivere e pubblicare più professionalmente. Ho testato me stesso e, a ogni nuova occasione, mi sono reso conto che andava sempre meglio. Tuttavia, per quest'ultimo, al primo tentativo sono stato scartato. Lo ricordo bene perché avevo già addosso il vestito elegante e la cravatta per andare a un matrimonio. Arrivata la notifica di esclusione, mi sono spogliato e ho scritto di getto il racconto che poi è andato a bersaglio. I posti disponibili erano quasi finiti e non c'era da perdere tempo. È stata una buona iniezione di fiducia, anche se tendo a demonizzare tutto quello che scrivo. Quando mi rileggo mi sento brutto e banale e per questo alcuni racconti sono relegati in cartelle anonime e affondate nei meandri del mio portatile. Ma è altrettanto vero che gli attestati di stima di chi mi legge e degli addetti ai lavori, rinvigoriscono comunque la voglia di raccontare storie, che con tutta probabilità è l'unica consuetudine che mi concederò fino alla fine del mio tempo, a prescindere dal risultato. Per quello sto già lavorando per migliorare e arrivare più vicino ai professionisti.

Sul tuo profilo Facebook pubblichi spesso miniracconti. Sono stralci di opere più lunghe o riflessioni stese in forma narrativa?

Sono dei piccoli allenamenti che mi concedo quando ho poco tempo per scrivere. Il lavoro in fabbrica mina parecchio quest’ambito, così propongo questi passaggi, anche per tastare le impressioni degli amici che hanno voglia di leggere. Per me è terapeutico, oltre che divertente. Vivo in cento mondi diversi, e bastano solo cinque minuti alla volta.

Nella tua biografia ti definisci un lettore onnivoro. Cosa significa per te leggere?

Penso che ogni scrittore abbia cominciato leggendo. Subire il fascino di un romanzo, di un racconto, è una gran bella sensazione. Sono rimasto così stupefatto e condizionato da certe storie, che ho finito per pensarci per mesi. Vuol dire che quel libro ha smosso qualcosa che già era latente in me e di questo sono sempre contento. Magari trovassi sempre libri così. Leggo perché voglio riflettere, mi voglio commuovere, voglio sorridere. Quando troverò una donna che sappia fare tutte queste cose, capirò che forse è giunto il momento di sposarmi.

Quali sono i tuoi autori preferiti e perché?

Ho autori che leggo di più, non preferiti. Stephen King è il primo, ma è anche vero che la sua produzione è sterminata. Non parliamo di solo horror, King riesce a spaziare in vari generi e mi piace molto il suo modo di narrare. Poi c’è Lansdale, con la sua scrittura ruvida e diretta. Mi sto preoccupando di leggere molti autori italiani. In fondo, se abbiamo ambizioni di pubblicazione, dobbiamo sondare cosa viene pubblicato. Ce ne sono molti che amo, come Cristiana Astori, Stefano Di Marino (che con il suo personaggio, il Professionista, ha fatto la storia della spy-story italiana), Andrea Pinketts, Andrea Vitali, lo stesso Franco Forte, Valerio Evangelisti e via di seguito. Leggo anche molti esordienti, che non nomino uno a uno perché sarebbe una lista troppo lunga. Posso solo dire che sto imparando parecchio anche dai miei colleghi giovani. Con alcuni di loro ho instaurato un bel rapporto di amicizia, e anche questo è molto utile (e raro) in questo campo.

Quali generi ti piace scrivere?

Non lo so. Nel senso che adeguo la mia storia al genere che meglio potrebbe rappresentarla. Mi rendo conto che non è pensabile, almeno ora, poter scrivere bene tutti i generi. Io comunque ci provo e continuo a carpire insegnamenti e a mettere in saccoccia tutta l’esperienza che ne deriva. Leggo anche parecchia fantascienza, per esempio (ho dimenticato di aggiungerla alla domanda precedente), ma è un genere molto difficile da produrre, specie perché si incorre quasi sempre nei soliti cliché o, nella peggiore delle ipotesi, vengono fuori castronerie illeggibili. Leggo, imparo e scrivo. Non c’è altra soluzione.

Dove trovi l’ispirazione per le tue storie?

Dovrei dire dalla vita di tutti i giorni, e in gran parte è la verità. Spesso però mi capita di partire da un titolo e di aspettare che una storia maturi da quella breve frase. Non è un procedimento solito e può essere molto pericoloso se non si ha bene in mente la trama della storia. Per me a volte è illuminante rifarmi a una mezza frase per poi procedere alla stesura successiva. Bisogna però anche essere consapevoli di quello che si fa: se il mio lavoro è da buttare, io lo saprò. Magari non lo butto e mi ci metto a lavorare su per renderlo pubblicabile, ma dobbiamo essere onesti. Prima verso noi stessi, poi verso gli editori e chi ci legge.

Chi ha subito creduto in te pur senza essere addentro all'editoria?

Io, ed è quello che più conta. Anche da adolescente ho cercato di scrivere qualcosa, e i più si limitavano a prendermi in giro. Ora le cose sono cambiate, almeno in parte, e per fortuna ho abbastanza amici che sostengono il mio percorso e apprezzano il mio modo di scrivere. L’obiettivo è farsi apprezzare anche fuori dalle conoscenze personali, anche se sembra una scalata assai difficile per i tempi che corrono. Ho quasi trentadue anni e nessuno è mai riuscito a rubarmi le ambizioni. E così sarà finché campo.

Progetti futuri?

Parecchi. Sto editando un giallo che spero possa trovare il suo spazio. Subito dopo ne inizierò un altro, ma non vi dirò la sua destinazione. Ho un racconto di fantascienza fermo al palo, ma nel frattempo mi è venuta una bella idea per una spy- story all’italiana. Sono un uomo dai molteplici gusti e curiosità e, come vedete, non mi faccio mancare proprio nulla.

Valeria Barbera