Avendo tutto questo presente, sembra davvero strano che in Italia non si leggano western, almeno non così tanto come altri generi. Proprio in Italia che, dal punto di vista cinematografico, è stato un paese così creativo e interessato al mito della frontiera da riuscire a ricreare quel genere straniero “in vitro” e fuori dagli scenari originali inventando lo Spaghetti Western e a rendere un insolito ibrido - “No stories, no scenes, just killings”, commentò sprezzante in proposito Burt Kennedy a John Ford - talmente convincente da dominare la scena, almeno per un certo periodo, influenzando profondamente perfino i padri americani (fino allo splendido omaggio al western all’italiana di Quentin Tarantino con il suo Django Unchained). Proprio l’Italia che fra i suoi autori d’appendice - Emilio Salgari in primis con Avventure fra i pellirosse ad esempio - enumera vari modelli e antesignani di questo particolare genere avventuroso per noi esotico e che, nel campo del fumetto, ha dato vita al più longevo cow- boy disegnato: Tex Willer. Eppure l’Italia non ha mai amato o coltivato la lettura dei classici americani di questo genere che, a parte sporadici esempi, restano ignoti o misconosciuti ai più.

La narrativa western nasce in tempi piuttosto remoti: i primi esempi sono anteriori al 1850 e praticamente contemporanei all’epopea western stessa. James Fenimore Cooper è forse il primo e più illustre narratore della Frontiera - molto noto da noi è il classico L’ultimo dei Moicani, ma altri ne sono stati pubblicati tra i quali La prateria - si tratta di una frontiera che ovviamente, dati i tempi (siamo intorno agli anni Venti dell’800) è posta molto meno a ovest di quanto saremo abituati in seguito. Poco più tardi, intorno alla metà del secolo, iniziano a comparire storie ambientate nel West sui “penny dreadfuls” riviste britanniche da un penny dedicate alla narrativa seriale e sensazionalistica (su queste pagine popolari nascerà il primo vampiro della storia, Varney, l’antenato di Carmilla, Dracula e compagni); dai “penny dreadfuls” si origineranno poco più tardi negli USA i “dime novels”, il prototipo dei successivi pulp del ‘900: e proprio un western, Malaeska; the Indian Wife of the White Hunter, è considerato il primo dime novel mai pubblicato (nel giugno del 1860). Gran parte di questi romanzetti - entrati a loro volta fra gli accessori dell’epopea soprattutto cinematografica del Western - hanno per protagonisti personaggi reali come Buffalo Bill, Wild Bill Hickok, Jesse James, Wyatt Earp, Billy the Kid, ecc., le cui spesso tutt’altro che memorabili imprese, vengono amplificate ed eroificate se non del tutto inventate. Anche fuori degli USA: prima e con più successo del nostro Salgari, il tedesco Karl May diffonde, con ampia risonanza di pubblico se non di critica, il mito del West in Europa intorno agli anni Ottanta del secolo. Nel Novecento il pulp sancisce ormai la definitiva autonomia del genere che passa da ingrediente generico della narrativa avventurosa a titolo specifico: accanto alla fantascienza, all’horror, al fantasy, al poliziesco, al romantico, anche il Western si apre la strada delle edicole a suon di revolverate, pugni e cavalcate selvagge con testate come “Western Story Magazine”, “Star Western”, “West”, “Cowboy Stories”, “Ranch Romances”, e molti altri. Non mancano in quegli anni grandi scrittori che - in parte a causa del loro vissuto personale - partecipano collateralmente al mito e all’epopea del west: Mark Twain in modo abbastanza episodico e distratto; Ambrose Bierce invece con grande pregnanza: i suoi racconti sulla Guerra civile americana (per noi Guerra di Secessione), ispirano Stephen Crane e Ernest Hemingway, le sue storie sovrannaturali di frontiera generano un sottogenere: il weird-western (esempi di commistione fra horror e western che possiamo ritrovare fino ai nostri giorni nel ciclo de “La Torre Nera” di Stephen King, nel bel fumetto nostrano di “Magico Vento” sceneggiato dal bravo Gianfranco Manfredi e in molti film contemporanei, non ultimi quelli di Robert Rodriguez). Anche fuori degli USA: prima e con più successo del nostro Salgari, il tedesco Karl May diffonde, con ampia risonanza di pubblico se non di critica, il mito del West in Europa intorno agli anni Ottanta del secolo. Nel Novecento il pulp sancisce ormai la definitiva autonomia del genere che passa da ingrediente generico della narrativa avventurosa a titolo specifico: accanto alla fantascienza, all’horror, al fantasy, al poliziesco, al romantico, anche il Western si apre la strada delle edicole a suon di revolverate, pugni e cavalcate selvagge con testate come “Western Story Magazine”, “Star Western”, “West”, “Cowboy Stories”, “Ranch Romances”, e molti altri.