E che queste sue parole fossero sostanzialmente vere, lo prova più che adeguatamente questa nostra raccolta di racconti, che segue, con una scelta al solito inconsueta, il cammino del giovane scrittore texano dai suoi esordi (Tamburi al tramonto, che resta il suo primo racconto western a essere pubblicato – a puntate sul quotidiano della sua città - e uno dei pochissimi aventi a protagonista dei pellerossa) fino a quello che lui stesso riteneva “uno dei migliori racconti che abbia mai scritto”, Gli avvoltoi di Whapeton, liberamente modellato sulla vera storia di Hendry Brown, inizialmente legato a Billy the Kid, poi addirittura sceriffo di Caldwell, un piccolo paese del Kansas, dove il rappresentante della legge provò perfino a rapinare una banca, con esito fatale. Scritto con due diversi finali (curiosamente pubblicati entrambi dal loro primo editore, “Smashing Novels”, dopo che la storia per anni era stata rifiutata da tutte le principali testate western del periodo, perché troppo anomalo), il racconto è indubbiamente uno splendido noir western, che per certi versi ricorda Le iene di Tarantino, pieno di sequenze a un tempo tipiche e innovative, che nel corso degli anni arriveranno ad affiancare quelle più tradizionali della mistica western. E proprio questa mistica, che si era già sostanzialmente formata negli anni in cui Howard si avvicina alla scrittura, è alla base di parecchi degli altri racconti presenti in questa antologia, storie dove il protagonista è spesso ai margini della legalità, quasi sempre per colpe non sue, dove i personaggi femminili sono ritratti da cartolina, visti decine e decine di volte nei classici western cinematografici degli anni successivi, immancabilmente devote ai loro uomini, che le ricambiano di un rispetto cavalleresco, che comunque non le innalza a rango di co-protagoniste dotate di propria indipendenza d’azione e d’iniziativa. Nell’etica cavalleresca di stampo sudista, che vigeva ancora nel Texas dei tempi di Howard (bisogna considerare come ancora nella sua fanciullezza lo scrittore respirava a pieni polmoni gli ultimi aneliti di un West che nel profondo sud dello stato della Stella Solitaria, lungo i confini con il Messico, tardava a scomparire – il suo Sfida al Canyon dell’Inferno è un vero e proprio western, ambientato a cavallo fra i due paesi nel periodo di poco successivo alla morte del rivoluzionario messicano Pancho Villa, avvenuta nel 1923 e quindi contemporanea al Nostro), la donna viene innalzata su un piedistallo, da dove però viene osservata e ammirata dall’uomo secondo una prospettiva esclusivamente museale, indubitabilmente sessista, che Howard scalfirà in alcune fra le sue più famose figure femminili (come Belit nel ciclo di Conan, per esempio), senza però mai arrivare a capovolgere. Per la morale cavalleresca texana, che ognuno dei protagonisti positivi dei western di Howard abbraccia in toto, la donna deve essere amata, protetta e rispettata, mai colpita, mai ferita, mai offesa. Ed è questa la figura femminile che, se presente, emerge in ognuno dei racconti di questa antologia, che traccia una panoramica completa del modo di fare western di Robert Howard, e si segnala quindi come punto di partenza per un’analisi più particolareggiata di una branca del suo vasto repertorio narrativo, troppo a lungo trascurata in un paese, il nostro, che più di ogni altro si è prodigato per perpetuare un genere da lungo tempo destinato all’estinzione, ma ancora capace di ripetuti canti del cigno da Oscar.

E se il western di oggi è un’altra cosa, se gli Indiani non sono più i “cattivi”, se le miti fanciulle di una volta assurgono al ruolo di eroine, se persino i rudi cow-boy possono esser gay, allora rituffiamoci nelle atmosfere di uno scrittore che pur essendo figlio di un ebreo e di una scozzese era nell’animo profondamente texano, atmosfere genuinamente e romanticamente western.

L. Ortino, W. Catalano, G. F. Pizzo, R. Chiavini