L’analogia tra una trama criminale e un gioco di prestigio è stata più volte sottolineata, a cominciare da maestri del genere come John Dickson Carr. Ancora in tempi recenti hanno soggiaciuto al suo fascino scrittori come Jeffery Deaver. Ma c’è un signore indiscusso di questa formula, che nel breve arco di pochi anni l’applicò a una breve serie di romanzi dove il delitto non ha soltanto l’aspetto di un gioco di prestigio: è un gioco di prestigio. È il grande Clayton Rawson, di cui è ricorso da non molto il centenario della nascita.

Le ricorrenze di questo tipo sono spesso rischiose: il rischio dell’elogio precotto è sempre lì dietro l’angolo. Ma nel caso di Rawson il pericolo è davvero tenue. Perché non si tratta di uno da lista dei best sellers, di quelli che gli editori coccolano nel catalogo e ristampano a ogni piè sospinto. In verità il Nostro non è stato mai troppo fortunato nel mondo editoriale, da noi ma anche in patria. Tuttora non è facilissimo reperire le sue non molte opere, anche in America. Per non parlare dei singoli romanzi, anche il Complete Merlini, l’antologia di tutte le storie brevi con protagonista il grande Merlini, il suo eroe, è tuttora esaurita e in attesa di ristampa. Per cui, se a qualcuno venisse voglia di procurarsela dopo aver letto queste righe, si prepari a metter mano a un paio di centoni, e a esplorazioni molto pazienti sul mercato dell’usato. Quanto ai romanzi, sono usciti solo nel Giallo Mondadori: per cui via ancora con le bancarelle.

      

Certo, Rawson non Carr, non è Quentin. Non è nemmeno la Christie, e non parliamo poi di Hammett o Chandler. I suoi personaggi sono spesso sbozzati via veloci, i suoi poliziotti sono più macchiette da two-reels movies che reali investigatori. Le sue metropoli sono spesso dei fondali di cartapesta, con dei cattivi improbabili e dei buoni zuccherosi. Sono le città americane come le reinventava Hollywood nelle sophisticated comedies, piene di belle donne impellicciate e gentiluomini in cilindro: per intenderci, pensate a quello che diventa la coppia dell’Uomo ombra di Hammett affidata a Dick Powell e Myrna Loy. Per non parlare poi delle fanciulle, al cui confronto la Narda di Mandrake corre il rischio di sembrare un’eroina scespiriana.

E quando nelle sue storie, come in The Headless Lady, fa capolino la provincia, non è certo quella polverosa e devastata di Faulkner, e nemmeno quella alcolizzata e violenta di James Caine. Semmai è quella sognante e pacificata che poi ritroveremo in un certo Bradbury. E poi, ahimé, nelle storie di Rawson non c’è quasi il sesso, se non per caste allusioni: il mago Merlini, il suo eroe, ha una moglie, sfuggente matrona come quella del tenente Colombo, Ross Harte, l’Archie Goodwin della sua coppia di investigatori dilettanti, ha delle sottintese amichette, o al più una fidanzata. Appunto, amichette, fidanzatine, tutto nel rispetto del più puro codice Hayes del three seconds kiss.

Eppure il povero Clayton avrebbe meritato qualcosa di meglio, se non altro come premio del suo entusiasmo. Nel ’38, quando comincia a scrivere, è ancora un giovanotto, e di sicuro pensa di scrivere dei racconti gialli, magari senza troppe pretese letterarie, tanto per arricchire il conto in banca. A quel tempo è sposato con figli, il lavoro di illustratore pubblicitario gli consente di vivere, non è ancora diventato editor per la Simon & Schuster ma è già un gran lettore di mistero. Soprattutto, cosa che gli cambierà la vita, è venuto via dalla natia Elyria, Ohio e si è tuffato nella Grande Mela. E non è un caso che il giovane Ross Harte, la voce narrante delle sue storie, sia nella finzione sì uno scrittore, ma uno scrittore di slogan pubblicitari, un copywriter. Dunque non un letterato, mondo per cui anzi Clayton da buon americano praticone nutre una certa diffidenza. Nelle sue trame i professori sono sempre un po’ lunatici, gli esperti ambigui e propensi al male. Anche i suoi poliziotti sono dei praticoni, facili anche a una certa violenza da questurini più che alla ancora da venire indagine scientifica.

In fondo Rawson è un ottimista: per lui il crimine non è il frutto di un ambiente sociale malato, ma solo il prodotto di una sorta di eretismo mentale di artisti distorti. Insomma siamo nel new deal popolare, ma più sul versante Topolino giornalista che dreiseriano. Eppure nei suoi scritti c’è un fascino sottile, che in molti tratti ricorda proprio il primo Carr, quello di Skull Castle, per intenderci, con il suo ispettore Bencolin che lavora al meglio in un mondo ricostruito in studio, con un fiume Reno che è quello che si vedeva allora nei cinegiornali o nelle guide Baedeker.

      

Il mondo di Rawson è insomma quello ritratto dalla narrativa pulp di inizio secolo, con qualche reminiscenza addirittura verniana, in certe figure di capitalisti-scienziati che ricordano più Robur che Thomas Edison. E poi le sue trame sono macchinose: si sente dietro l’inventore di effetti magici che fu, con il fascino per la bellezza del metodo più che per l’efficacia del risultato. In fondo Merlini non è che un Philo Vance prestato al palcoscenico, verrebbe da pensare che ci metta del suo per complicare ulteriormente la vita a noi poveri lettori. Tizi che potrebbero essere tranquillamente spacciati a un angolo di strada, finiscono per esserlo nel corso di incredibili sedute spiritiche, donne vengono decapitate sotto la luce dei riflettori. Ignoti camminano sul soffitto, al solo scopo di confondere le acque.

Perché il tratto distintivo della sua attività di scrittore è inscindibile dall’altra sua attività, quella di mago e di diffusore della magia. La leggenda domestica recita che già all’età di otto anni il piccolo Clayton si produceva in esibizioni che incantavano gli amichetti: presa con il dovuto beneficio d’inventario, è certo però che l’amore per la magia è una sorta di malattia infantile da cui non si guarisce più. Probabilmente il piccolo Clayton fu contagiato come tanti allora da un regalo, una di quelle meravigliose Mysto magic set, le scatole per bambini piene di giochini semplici e meravigliosi. Oppure avrà visto qualcuno di quegli spettacoli itineranti, i Carnival, che allora giravano per le periferie attirando i semplici con donne cannone e fakiri e avrà deciso che quel mondo era troppo affascinante per restarsene fuori, poi, al calare del sipario.

Certo è che Clayton resterà poi per tutta la vita un adepto dell’arte segreta, e quando verrà il momento di scrivere trasporterà nei suoi romanzi tutta l’atmosfera della magia di quegli anni. Le sue opere saranno un distillato di quanto c’è di meglio dell’illusionismo tra le due guerre in America, il suo momento di massimo sviluppo. Questa è la sua grandezza e il suo limite, la passione per la magia. Perché questa passione opera in chi ne è vittima una sorta di distorsione mentale, abitua a vedere la realtà come una continua maschera, un’illusione dietro il cui velo di Maja predisposto dall’artista si cela sempre qualcos’altro. E in uno scrittore di gialli è un abitus pericoloso: spinge a complicare le trame al quadrato, a farne un rito per iniziati.

Insomma, se Rawson non ottenne quel successo che avrebbe meritato forse fu proprio per il suo sviscerato amore per l’inganno, che lo spinse a trasformare ogni sua storia in una sorta di spettacolo di illusionismo, a cominciare proprio dalla figura del protagonista, il grande Merlini. Che non somiglia affatto al suo autore, ma invece all’icona del mago che si era affermata a cavallo della Prima guerra mondiale: frac e cilindro, baffetti, capelli neri impomatati. Insomma appunto, Mandrake. In realtà non ha proprio i baffetti, stando alla descrizione dell’autore, ma non si può fare a meno di metterceli.

O forse sbaglio, perché a pensarci bene in realtà Merlini è una sorta di proiezione idealizzata del suo autore: il volto leggermente asimmetrico dagli occhi penetranti, le orecchie marcate e aguzze, tipiche dei soggetti sulfurei. Certo ci sono anche delle differenze, soprattutto quei capelli neri e folti che Clayton, afflitti da una calvizie precoce, deve aver sentito nel profondo come un vulnus insopportabile, tanto da volerla cancellare nel suo ectoplasma.

     

Tutta l’architettura di quello che è il suo primo romanzo e che resta il suo capolavoro, Death from a top hat, ruota intorno a una serie di classici dell’illusionismo degli anni Trenta. E Merlini, il mago-investigatore, che è la nostra guida nel viaggio attraverso questo mondo, non è che una laboriosa sintesi del mondo della magia di quegli anni. A cominciare dalla sua base operativa, il suo negozio di articoli per maghi, che è un calco sputato di quello di Martinka, il più antico e più importante fornitore di attrezzi magici per illusionisti: il luogo segretissimo dove nacque l’American Society of Magician, dove il giovanissimo Dai Vernon (lui sì bello e con i baffetti giusti) una notte riuscì a ingannare il grande Houdini, diventando una leggenda.

Merlini pure ha il suo negozio, con tanto di retrobottega attrezzato a teatrino per le prove, proprio come da Martinka, ha il suo coniglio personale che scorrazza tra i banchi pieni di Miracles for sale, come dice l’insegna fuori dalla porta a vetri smerigliati (il negozio di Merlini non è infatti all’europea, sulla strada, ma come li vediamo nei film noir, in fondo a un lungo corridoio in uno di quei palazzi per uffici newyorkesi dove gli investigatori coabitano con le agenzie matrimoniali, i banchi di pegno, i trafficanti di giade rarissime...).

Bene, la storia comincia manco a dirlo con un assassinio: è morto un certo Sabbat, misterioso e ambiguo studioso di culti segreti e di strani rituali, e è morto guarda caso strangolato al centro di un pentacolo, a braccia e gambe divaricate (ah, ombra di Leonardo! quanti danni ha fatto il tuo uomo vitruviano!) e poiché sembra sia stato trascinato alle ombre da un demone, tale Surgat che apre le porte, è per l’appunto trapassato all’interno di una bella stanza chiusa dall’interno. Perché si sa che i demoni non abbisognano di pertugi per eclissarsi dopo il misfatto.

Prima di tirare le cuoia però Sabbat aveva dato appuntamento a un certo numero di personaggi singolari: una medium, un esperto di esoterismo, un illusionista in frac, un emulo delle fughe di Hudini, una coppia di lettori del pensiero. Sei personaggi ciascuno con un ottimo motivo per eliminare lo stregone, come si vedrà nel prosieguo.

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Costruito il suo teatrino Clayton, mentre ci porta avanti per mano nello sviluppo della trama intricata, ne approfitta per fornirci nelle stesso tempo uno straordinario sunto della magia da palcoscenico della sua epoca, con continue strizzate d’occhio ai suoi lettori e amici. Prendiamo la medium, madame Rappourt: chiunque in quegli anni avrebbe subito riconosciuto l’allusione alla famosa Margery, la medium con cui Houdini ingaggiò negli anni Venti uno scontro epico, senza esclusione di colpi. E poi il nome! Nel 1937 Ted Annemann, uno dei geni della magia mentale, aveva realizzato il celebre En rapport, il numero di telepatia che è ancora alla base di tanti exploits del genere in teatri e night club: lo stesso Annemann che poi nel 42 si ucciderà alla vigilia dell’esecuzione del suo trucco più pericoloso, afferrare una pallottola con i denti.

E la coppia dei telepati, i La Claire? Anche loro copie di una celebre coppia del vaudeville di inizio secolo, gli Zancigs, con il loro misterioso codice, che tutti dicono di conoscere e che nessuno ha in realtà mai capito. E Dave Duvallo, l’esperto di serrature, lacci ed evasioni, che anche nel fisico ricorda il grande Houdini, e infine Tarot, il re delle carte, con il monocolo alla Cardini, il manipolatore geniale che nel ’34 era servito come modello fisico per Phil Davis quando inventa Mandrake.

A questo punto comincia un fuoco d’artificio di trucchi e inganni, cui tutti i sospettati, ciascuno per la sua specialità, ricorrono per depistare le indagini e scamparla. Finchè il colpevole verrà alla fine individuato, manco a dirlo nel corso dell’ennesimo gioco d’illusione.

Uno schema che l’autore ripeterà con varianti anche nei romanzi e racconti successivi. Clayton continua per diversi anni su questo doppio registro, mago di giorno e scrittore di notte. Addirittura negli anni quaranta raddoppia, si trova un nome de plume, Stuart Towne, e scrive altri racconti ancora con un mago come investigatore, Don Diavolo: questo però è diverso, ormai il mondo dei fumetti ha tirato fuori Superman e Batman, comincia a tirare l’eroe mascherato. E infatti Don si esibisce con una mascherina alla Zorro e, in luogo della tutina, in una versione frufru del tuxedo: rosso, stretto e corto in vita come talvolta anche Fred Astaire. Una variante dello smoking che da noi non ha mai avuto grande successo, forse per i nostri atavici problemi di linea.

Rawson, dicevo, non ha comunque scritto molto: solo quattro romanzi, ma tutti dei piccoli gioielli. Nel 1939 pubblica ancora The Footprints on the Ceiling, nel ’40 The Headless Lady e nel ’42 No Coffin for the Corpse, poi ahimè più nulla, a parte una manciata di racconti sparsi su rivista e raccolti in volume solo dopo la sua morte. Ma c’è qualcosa d’altro per cui varrebbe la pena di ricordarlo: nel 1945 è lui che lancia l’idea a un paio di amici, davanti a un paio di martini, di quella che poi sarà la Mystery Writers Association, e alla successiva costituzione ne diventa il primo tesoriere. 

       

Poteva sfuggire tanta grazia di Dio ai magnati di Hollywood, sempre in cerca di nuove idee con cui alimentare il botteghino? Dalle sue opere furono tratti ben due film, anche se le storie originali passarono nel tritacarne incomprensibile degli sceneggiatori degli studios. Per cui Death from a top hat divenne Miracles for Sale nel 1939, B-movie in cui una trama tutto sommato abbastanza simile all’originale vede però il grande Merlini trasformarsi in un improbabile Mike Morgan. Omaggio però ad un cast di tutto rispetto, con Robert Young (in quegli anni sulla cresta dell’onda) nella parte del mago.

Il successivo, The Man Who Wouldn’t Die, del 1942, invece fu un pasticcio senza capo né coda. E dire invece che il romanzo da cui è tratto No coffin for the corpse è una storia di tutto rispetto, quanto a vigore di trama e situazioni capricciose. Qui si raggiunge invece il colmo del tradimento: Merlini scompare del tutto, ridotto a una comparsa sotto il nome di Radini (chissà perché poi: Radini è il nome del mago in un episodio di Charlie Chan, viene da pensare che gli sceneggiatori non volessero correre rischi di copyight sul nome e andare sul sicuro) per essere sostituito nel ruolo di protagonista da un improbabile Lloyd Nolan nella parte di Michael Shayne. In quel periodo tirava il personaggio di Brett Halliday, e tiravano i film da sessanta minuti, che venivano proiettati in coppia alle matinée per giustificare il prezzo del biglietto. Strizzati in un tempo così breve le penne di Hollywood hanno dato spesso il meglio di sé. Ma non questa volta.

Ah, dimenticavo. Anche i film sono introvabili. Nascosti sotto la cappa di seta di Merlini, o nel Grande Ignoto, o chissà dove. Pare che Clayton ce l’abbia davvero messa tutta, con l’arte di sparire.

           

Bibliografia italiana di Clayton Rawson

(a cura di ThrillerMagazine)

           

1938. Morte dal cappello a cilindro (Death from a Top Hat), traduzione di Giuseppina Caricchio, I Classici del Giallo Mondadori n. 417 (1983); Gli Speciali del Giallo Mondadori n. 9, “Magia gialla” (1996)

1939. Le orme sul soffitto (The Footprints on the Ceiling), traduzione di Alfredo Pitta, I Libri Gialli Mondadori n. 264 (1941); ristampato come Le impronte sul soffitto, traduzione di Mauro Boncompagni, I Classici del Giallo Mondadori n. 825 (1998); Gli Speciali del Giallo Mondadori n. 60, “Delitti dall’aldilà” (2010)

1940. Muori, muori (The Headless Lady), traduzione di Marisa Sughi, I libri che scottano n. 73 (Longanesi 1968); I Classici del Giallo Mondadori n. 905 (2001)

1948. Da un altro mondo (From Another World), racconto apparso sulla Ellery Queen’s Mystery Magazine; raccolto in Italia ne “I delitti della camera chiusa 2” (Omnibus Gialli Mondadori 1977) a cura di Guido Bezzola

1949. Il mago Merlini e l’extraterrestre (Off the Face of the Earth), racconto apparso sulla Ellery Queen’s Mystery Magazine; raccolto in Italia ne Gli Speciali del Giallo Mondadori n. 36, “Delitti in camera chiusa” (2003)

1963. L’assassino invisibile (No Coffin for the Corpse), traduzione di Mauro Boncompagni, I Classici del Giallo Mondadori n. 762 (1996)

1965. Giochi di prestigio spiegati dal Grande Merlini (The Golden Book of Magic), traduzione di R. Brunelli, Mondadori 1965