Anch’io ho cercato nuove vie, quando con Anke e Jacob ho voltato le spalle alla baraonda di Berlino-Mitte e mi sono trasferito insieme a loro in campagna. Non ho più un telefono cellulare, vivo di giorno anziché di notte e, oltre che del mio lavoro, mi occupo di cose molto legate alla terra, come la coltivazione di ortaggi e il compostaggio dei rifiuti.

Avevo davvero messo parecchia distanza tra me e tutta questa storia, quando alla fine del 2012 quelli della Dreamworks si sono messi in contatto con me. Per la precisione era la seconda volta che lo facevano: in precedenza infatti si erano già assicurati i diritti di vari libri per un film su WikiLeaks. Tra quei libri c’era anche il mio. Lo sceneggiatore Josh Singer è venuto a Berlino, per fare delle ricerche e per parlare con me. Mi ha fatto un’infinità di domande su tutti i dettagli possibili, è andato a vedere i vari luoghi, per trarne ispirazione.

Nel film, Julian è interpretato da Benedict Cumberbatch, che per l’occasione ha imparato a parlare con un perfetto accento australiano. Ero affascinato da come è riuscito a calarsi nel ruolo. Poi, durante le riprese a Berlino, quando quel Julian “di una volta”, un tipo dinoccolato, con i capelli lunghi e la camicia bianca, è entrato nel mio campo visivo, per un attimo sono rimasto di stucco. All’improvviso tutto era di nuovo lì, presente, tanto più che ci trovavamo nel BCC di Berlino, il luogo dove si erano tenuti i congressi del CCC nel 2008 e 2009, un set cinematografico assolutamente autentico. Era una sensazione davvero curiosa.

Avevo dato a Josh tutte le spiegazioni del caso, ma non sono riuscito a ottenere il diritto a dare indicazioni vincolanti sul film. La sceneggiatura mi è stata spedita circa dieci giorni prima dell’inizio delle riprese e ho inviato i miei commenti. Tuttavia non ho potuto impedire che mia moglie Anke diventasse una ventenne bionda che cucina per me e sta sempre ad aspettarmi accanto al focolare, anziché discutere con me di trasparenza nella politica. È pur vero che quel cliché è stato confezionato come si deve. Le riviste femminili a colori da sfogliare in attesa del marito sono state sostituite da un laptop. La lista delle cose che andrebbero cambiate nel film è sicuramente lunga. Per esempio è quasi ridicolo che tra noi comunichiamo con un telefono criptato, ma poi alcune conversazioni importanti avvengano su Skype. Il fatto che io venga descritto come solitario e violento distruttore di WikiLeaks invece non mi fa affatto ridere. Posso solo sperare che grazie ai commenti critici di molte delle persone coinvolte, gli errori più grossolani vengano eliminati, prima che la versione definitiva del film arrivi nei cinema.

Naturalmente si tratta di un film d’intrattenimento, non di un documentario, è pur sempre una produzione di Hollywood. Quindi gli spettatori si aspettano fuoco e fiamme, inseguimenti stradali e una storia mozzafiato. Io per primo me l’aspetterei. Pur riconoscendo tutta la buona volontà di raccontare la storia in maniera equilibrata e senza certezze preconfezionate, chi rivede un periodo della propria vita in un film prova una strana sensazione quando omissioni, semplificazioni ed esagerazioni fanno sì che ci si allontani dal piano della realtà.

Trovo invece positivo che nel film si parli di una serie di casi venuti a galla grazie a WikiLeaks e che emerga appieno il significato di quel sito. Ne sono felice, perché continuo a credere nella grandezza dell’idea originaria, un’idea destinata a durare e a diffondersi sempre di più in tutto il mondo.

Il potenziale delle vecchie rivelazioni è ben lungi dall’essere stato indagato a fondo, anche se oggi se ne parla meno. Gli studiosi stanno avviando solo ora i primi progetti di ricerca. Inoltre, per quelle rivelazioni vale lo stesso discorso fatto per le rivelazioni di Edward Snowden e per quelle sui paradisi fiscali: spesso si tratta di accuse che erano già nell’aria, ma finalmente ora ci sono delle prove convincenti. E questo cambia tutto. Lo si è scritto spesso anche a proposito della Primavera Araba: che si trattasse di regimi corrotti e senza scrupoli, le popolazioni arabe lo sapevano già. All’improvviso però è stato possibile provare quelle accuse. Una cosa del genere conferisce alla rabbia latente la sostanza necessaria per diventare una resistenza attiva.

Nel frattempo, ho iniziato anche a impegnarmi politicamente. Insieme a mia moglie, mi sono iscritto al Partito Pirata, un movimento politico ancora giovane ma già diffuso a livello globale, che si occupa principalmente del futuro della società digitale e che, accanto a molte altre questioni critiche, ha sposato la causa della difesa di chi fa “soffiate” riguardo a questioni scottanti e quella della lotta contro un nuovo Stato di polizia e per un controllo più efficace dell’operato del governo. Insomma, io continuo a combattere per la mia causa, sui fronti più diversi.

Daniel Domscheit-Berg, agosto 2013