I lettori di ThrillerMagazine già lo conoscono per il suo lungo viaggio nelle Capitali dello Spionaggio, mentre i lettori di Segretissimo lo conoscono per i suoi romanzi firmati Kevin Hochs. Stiamo parlando di Enzo Verrengia, giornalista, saggista e romanziere che Piemme porta in libreria questi giorni con un thriller di ambientazione storica nerissimo e intrigante: L’eredità di Hyde.

Abbiamo incontrato l’autore per parlarne.

           

Wikipedia ci fornisce molti dati sulla tua attività, ma noi vogliamo sapere: chi è lo scrittore Enzo Verrengia? Cosa muove la sua penna, cosa scatena la sua creatività letteraria?

Non solo la voglia di narrare. Anche di elaborare e condividire riflessioni, di crescere nello scambio e nella circolazione di conoscenza. Oltre che portare allo scoperto risonanze interiori fatte di memoria, struggimento, rabbia, sberleffo.

       

Thriller, fantascienza, giallo umoristico: hai sempre saputo muoverti fra più generi. Come è nata l’idea di un romanzo storico?

Adoro l’Età Vittoriana, nella quale lo steampunk era connaturato anche prima che venisse codificato. Da qualche anno, poi, ho la fortuna di frequentare Londra per motivi familiari e mi ci sto addirittura ricavando un cantuccio, benché da ospite. Credo che la capitale britannica sia l’unico modello di città imperiale sopravvissuta alla contemporaneità. Una Roma che resiste nei secoli, al contrario di quella vera, sfaldatasi in una politica che è la parodia di se stessa. Perciò una notte, non riuscendo a prendere sonno, mi è venuta in mente l’ultima scena del romanzo di Stevenson, nel quale il corpo di Jekyll giace ai piedi dell’avvocato Utterson, il suo migliore amico, che ha appreso la verità sullo sdoppiamento in Hyde. E se quest’ultimo non fosse morto?

       

“L’eredità di Hyde” ci fa immaginare che ti sei divertito ad incastrare la fiction con la realtà storica: puoi anticiparci qualcosa?

Robert Louis Stevenson
Robert Louis Stevenson
Nel romanzo appaiono diversi personaggi autentici, a partire da Robert Louis Stevenson. Ad altri riservo dei cammeo. Un politico italiano dell’Ottocento ha addirittura un ruolo importante nel dipanarsi della trama. È Menabrea, grande ingegnere e avanti rispetto alla sua epoca. Quanto ad Arthur Conan Doyle, che indaga sui disegni megacriminali di Hyde redivivo, l’idea di metterlo in campo mi è venuta proprio dal romanzo originale di Stevenson. Dove l’autore scrive che il medico apparso a soccorrere la bambina aggredita da Hyde, dopo la prima apparizione del mostro, aveva un «forte accento di Edimburgo». Inoltre, Conan Doyle era stato suo compagno di scuola, perciò...

Circa la trama, Hyde mi forniva il pretesto per rifare il verso al mad-doctor, ma anche l’occasione di sviscerare il vitalismo ammantato dal perbenismo dell’Età Vittoriana. Per il resto, si tratta di una vicenda piena di svolte, movimento (anche fisico), azione ed intreccio. Il tutto per arrivare a quello che spero per i lettori sia un finale sconcertante.

       

Hai realizzato il sogno di ogni scrittore: dedicarti alla scrittura a tempo pieno. Sai farci un bilancio di questa tua scelta in un periodo in cui questo sembra davvero sempre più un sogno irrealizzabile?

All’inizio era un sogno, poi, come scrisse Oreste Del Buono, era l’unica cosa che potevo fare. Oggi, poi... Per me la chiave di sopravvivenza sta nella versatilità: giornalismo, traduzioni, qualche corso di scrittura, saggistica specializzata. E tantissima fatica nel cercare e mantenere i contatti. Soprattutto, la maggior parte del tempo in passività, da dedicare all’aggiornamento perpetuo, non solo sul web, anche sui libri e sul campo (viaggiando). Con pochi soldi e le bollette da pagare. Più che un sogno, oggi parlerei di un incubo. Ma se ne uscissi, mi troverei in un incubo peggiore, che rifiuto del tutto: una vita senza i libri, i film, i fumetti e la cultura.

       

Cosa pensi dell’agguerrita “concorrenza”, cioè della narrativa italiana (di genere e non)?

C’è ancora chi crede che fare l’autore equivalga a poter posare da rockstar, invece si è stretti in una nicchia. Si scrive abbastanza male, dagli orribili anni ‘80 a seguire, si legge poco, non si conoscono le lingue e non ci si confronta con l’estero, dove escono cose eccezionali non sempre tradotte. Infine, le accolite generazionali: i “giovani autori”, i trentaquarantenni, ecc. La letteratura non c’entra con l’anagrafe. Erik Fosnes Hansen, ha scritto Corale alla fine del viaggio a ventiquattro anni con la maturità di un nonagenario. Camilleri, ottuagenario, è frizzantissimo non solo nella serie su Montalbano.

       

Domanda obbligatoria: cosa dobbiamo aspettarci dal futuro narrativo di Enzo Verrengia?

Un proseguimento delle mie predilezioni narrative in parallelo. Innanzi tutto la letteratura di spionaggio, ma anche il versante storico. E graffiare con sortite satiriche questo tempo e questa società che ripudio dal profondo di me stesso.