Il ritorno dello Sciacallo (The Bourne Ultimatum) esce nel 1990, epoca in cui la vena letteraria di Robert Ludlum comincia già a mostrare evidenti segni di stanchezza. È un romanzo lungo, piuttosto verboso, complicato sino all’inverosimile e decisamente fuori dal suo tempo. Carlos lo Sciacallo, nella sua incarnazione letteraria, è stato superato dai tempi. Il vero terrorista è ormai in fuga da anni, non è più la Primula Rossa del terrore e anche il suo avatar letterario per quanto feroce riesce a reggere il confronto con il super cattivo del primo romanzo della serie. David Webb viene richiamato in servizio come Jason Bourne ma lo fa stancamente. Prima di rivederlo davvero in forma dovremo attendere L’eredità di Bourne (The Bourne Legacy) del 2004 scritto da Eric Van Lustbader.

          

Il film The Bourne Ultimatum. Il ritorno dello Sciacallo invece esce nel 2006 e ha il passo accelerato di Paul Greengrass. Per dirla tutta s’intreccerà poi con il sequel uscito nel 2012 ma forse nella mente degli sceneggiatori ancora non c’è. Invece è presente un gioco di scambi temporali che si riallaccia all’episodio precedente nel quale ci è stato fatto credere, nella più pura tradizione del filone, che il nostro eroe fosse già negli USA a spiare Pamela Landy (Joan Allen) che, come ultima battuta, gli rivela il suo vero nome, aprendo una nuova finestra di indagine. Invece no, l’azione riprende a Mosca dove Bourne è ancora in fuga, ferito e inseguito dalle autorità locali dopo il disastro combinato nell’ultima avventura. Poco male perché riesce a scomparire e tornare in Occidente. E qui l’affare si complica.

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