Intanto siamo nel flusso di auto che dalla collina scendono in via Cantore; lui si dirige verso levante e poi devia verso mare. Lungomare Canepa.

Accosta e si infila in un capannone: uno dei tanti abbandonati di giorno e frequentati di notte dalle prostitute che esercitano nella zona.

Scende dall’auto e lo imito.

Si accosta a due cassette e me ne indica una come fossimo in un salotto borghese. – Seduti si parla meglio.

Ringrazio con un cenno e mi metto comodo.

– Hai parlato di uno scambio, perché?

– Senti, Mannini, sarò anche un questurino di merda, per usare parole tue, ma non sono scemo. Sei latitante, da due anni.

– Non ti ho cercato per me.

Sto zitto, aspetto.

– Una donna è accusata di omicidio. E non c’entra.

– Nomi, fatti, Mannini.

– Livia Draghi. Carrara.

Sì, Draghi Livia, il nome mi ha permesso di sfogliare il mio archivio privato: è accusata di essere l’esecutore materiale di un agguato terroristico a Carrara. Non ricordo però di aver letto il suo nome associato a quello di Mannini Luigi.

Il colloquio è sempre più irreale. Come sprofondare nelle sabbie mobili, non riesco a chiamarmene fuori. – Allora? Temi che ti coinvolga?

– Lei non è stata. E io non c’entro.

Muovo una mano, d’istinto, verso la tasca del giaccone impermeabile. Lo vedo irrigidirsi e mi fermo, lui ha una mano in tasca ed è, probabilmente, armato. Non ho intenzione di buscarmi una pallottola per banale imprudenza. E prima di sapere. – Prendevo le sigarette, Mannini.

Una mezza risata. – Non hai smesso? Ho saputo che hai rischiato di essere accoppato.

– Ti spiace che l’abbia scampata? Ci sarebbe stato un questurino di meno.

– Anche un mezzo amico. – Si stringe nelle spalle e toglie la mano dalla tasca che resta gonfia. – Ok, prenditi le sigarette.

Accendo con calma.

– Cambiato marca?

– Tutti cambiano. E non le vendono più.

Un lungo silenzio. Poi: – Livia è la mia compagna. Soltanto una giornalista free lance.

– Con frequentazioni fuori della norma e un po’ schierata.

– Tutti lo sono, Celtique, e quelli che dicono di non esserlo lo sono più degli altri.

Discorsi che conosco e posso anche condividere, in parte, come uomo, non come questurino.

– Ci sono prove, Mannini.

– Si possono sempre trovare. E non si può lottare contro chi non ha bisogno di avvocati per difendersi, gli basta farsi le leggi su misura.

Mi rigiro la sigaretta fra le dita. – Non siamo qui per un corso accelerato di politica, Mannini. Sono qui perché hai bisogno di qualcosa. Penso di sapere che cosa vuoi, ma preferirei sentirlo con parole tue.

– Non chiedi cosa ti darei in cambio?

– Mi pare ovvio, sono un questurino di merda.

– Tu dimostri che lei è innocente e io mi consegno. Preferiresti che mi consegnassi prima?

– Perché? Ho il vizio di fidarmi dei mezzi amici. Ma da questurino avrei una domanda.

– Perché mi rivolgo a te proprio adesso?

Alzo le spalle. – Immagino che tu abbia informazioni su di me, come ne ho io su di te. E sai che almeno un piccolo aggancio a Carrara posso averlo. No, la mia domanda è un’altra.

Sta zitto.

– Se trovo altre prove della sua colpevolezza, io non le insabbio. E tu cosa fai?

– È innocente.

– E non è la risposta alla mia domanda.

– Se ne parla, Celtique.

Per ritornare al cimitero della Castagna e riprendere la mia auto ho chiamato un taxi. Ora sto di nuovo scendendo a valle.

È strano ma niente ti sbatte davanti il tempo che passa come ritrovare una persona che non vedevi da anni: Mannini Luigi non aveva trent’anni, in compenso aveva capelli folti e anche un po’ lunghi, era snello, ora è magro.

Anch’io sono invecchiato, ho meno illusioni e più paure; immagino anche lui.

Ma questa è l’ultima riflessione che mi consento da uomo, poi devo tornare poliziotto.

“Come ti avverto che decido di indagare?”.

“Annunci economici, su ‘Il Secolo XIX’ da dopodomani a domenica. Vendesi alloggio primo piano da ristrutturare via Buranello. E un telefono”.

Da qui a domenica devo prendere una decisione; non è facile.

Da qualche mese la mia vita è un po’ più semplice, perché complicarla? Sono anche un commissario di polizia e intrattenere rapporti, mezzo amichevoli, con un latitante è pericoloso.

Se Mannini fosse un mafioso o un camorrista e io fossi un uomo politico, lo sarebbe meno.