Artista marziale di lunga data, appassionato lettore-divoratore del meglio della produzione spy-action internazionale, scrittore più che promettente: tutto questo è Francesco Perizzolo, il vincitore del Premio Segretissimo di Giallo Latino 2012.

ThrillerMagazine ha già presentato un suo racconto la settimana scorsa, Come un sasso nell’acqua (racconti/13051/), ed ora è il momento di incontrare questa nuova speranza del pulp italiano.

       

Facciamo le presentazioni: chi è Francesco Perizzolo e perché scrive?

Francesco Perizzolo è un “milanese”, classe 1980, di origini miste – venete del Cadore, come dice il cognome, ma anche piemontesi, lussemburghesi, una lontana parentela nobiliare austriaca e una piccola percentuale abruzzese da parte di una bisnonna.

Perché scrivo... Il perché non lo so, ma ti posso dire da dove arriva la mia scrittura. Essendo sempre stato una testa calda, nel 1989 i miei presero una decisione: grazie ad un amico di gioventù di mio padre, il maestro Carlo Fugazza, iniziai a praticare karate nel dojo del Maestro Shirai. Errore fatale: pensavano di darmi un po’ di disciplina, e invece mi diedero gli strumenti per divertirmi di più per strada. Praticai per tredici anni diventando istruttore, fino al secondo Dan. Poi mi annoiai e mi diedi direttamente alle zuffe urbane, frequentando alcuni corsi - che non erano dei corsi veri, ma una sorta di scuola criminale - in uno scantinato vicino a Porta Romana con gente che poi è finita dentro per vari reati. Da sette anni pratico kung fu con il Maestro Chen e, da qualche mese, anche brazilian jiu jitsu col Maestro Ivan Rocha Cabecinha della Gracie Barra. Credo che questo background emerga in modo piuttosto deciso.

Un ruolo importantissimo l’hanno avuto i libri che trovavo per casa fin da bambino, i film d’azione, spionaggio e arti marziali, dalla musica... chissà se in famiglia si rendono conto di aver creato un mostro!

Non ho ancora risolto il tuo “Perché”, in realtà. Mettiamola così: come mi è sempre venuto naturale fare arti marziali e suonare musicaccia pesantissima, così mi è venuto naturale scrivere. Le influenze sono sostanzialmente queste, e la ricetta si intuisce facilmente.

       

Dal racconto che hai presentato a ThrillerMagazine si capisce la tua passione per l’action, la marzialità, le location esotiche etc. Insomma sei un perfetto autore Segretissimo: qual’è il tuo rapporto con la collana?

In realtà non so se io possa essere un perfetto autore di Segretissimo perché tendo a straripare verso generi tangenti ma non propriamente inquadrabili nella collana. Posso però dire che, fra le altre, l’influenza di Segretissimo è una delle più forti. In primis Malko Linge, che da bambino e ragazzino leggevo di nascosto quando trovavo qualche numero qua o là e ancora oggi vado a comprare in edicola con la stessa foga di un tossico di notte al parchetto in cerca del pusher. Al di là degli italiani, fra le prime influenze nominerei un paio di romanzi di James Hadley Chase, i pochi che riuscii a leggere di Jean Bruce, Nick Carter ed Edward S. Aarons. Poi nominerei Kenneth Royce, John Gardner... Recentemente mi sono piaciuti moltissimo i romanzi di Mark Abernethy [in SuperSegretissimo] e, anche se forse non sono proprio in linea con la collana, Walkiria Nera di Claudia Salvatori e L’uomo di Brandeburgo di Henry Porter [SuperSegretissimo n. 43]. Sturmvogel [di Kevin Hochs, Segretissimo n. 1579] è un altro lavoro interessante. Insomma, son gusti personali: potremmo aprire un dibattito online infinito. Mettiamola così: credo sia chiaro che sono un mezzo fanatico di Segretissimo!

        

Parlaci del racconto vincitore del Premio Segretissimo: come è nato?

Lisbona di sangue è nato... diciamo di getto. Una volta deciso di partecipare al Premio Segretissimo buttai giù tre racconti, poi li lasciai lì per un paio di settimane. Una volta risistemati li spedii ed eccoci qua. Di base scrivo quello che mi piacerebbe trovare in un libro o sullo schermo. Sono felice di aver vinto e sono estremamente felice che a vincere sia stato un racconto ambientato a Lisbona e dintorni: è una città che mi crea dipendenza, nel vero senso della parola. Quasi una saudade deformata.

Nei vari racconti i protagonisti sono sempre gli stessi: ho in mente una fitta rete di personaggi ricorrenti, una serie. Personaggi tutti ispirati a persone reali, così come i luoghi che descrivo sono nel 90% dei casi località che ho visitato – e che non sempre amo.

       

Di’ la verità, cosa si prova a far parte della Italian Legion di Segretissimo?

Non so se io possa dire di far parte della legione italiana di Segretissimo. Più che altro mi chiedo se sia sufficiente un racconto per farne parte. Nel caso, se fosse effettivamente così... be’, ne sarei felice, onorato e lusingato. In realtà però credo ci sia tantissima strada da fare. Una strada che a giudicare da qui è piena di tornanti e buche. Appassionante!

         

Per evitare imbarazzi, quali sono i tuoi autori preferiti AL DI FUORI della cerchia di Segretissimo?

Be’, nessun imbarazzo. Più che altro temo di diventare mostruosamente prolisso, visto che leggo tonnellate di libri diversi. Comunque vedrò di attenermi alla tua domanda e soprattutto di non sconfinare troppo in altri generi.

Fra le prime letture da bambino ci furono Giorgio Scerbanenco (mostro sacro, intoccabile, il primo che apre bocca contro Scerbanenco me lo mangio vivo a partire dai piedi così urla più a lungo ahahah) e Sven Hassel. Molto diversi fra loro, ma entrambi mi hanno regalato leggendoli e rileggendoli emozioni e visioni incredibili. La controversia su Sven Hassel e sulla sua credibilità o meno mi lascia del tutto indifferente: trattasi, a mio modo di vedere, di pura e semplice masturbazione. A me piace, e Gli sporchi dannati di Cassino è un punto fermo per me. Per Scerbanenco invece è diverso: non mi vergogno assolutamente di dire che lo reputo al pari di una sorta di divinità pagana nella mia personale visione letteraria. Le atmosfere, le descrizioni, i personaggi, Milano nera come la morte... magnifico. Come si fa a descrivere? Meglio leggerlo.

Un altro nome è Eric Van Lustbader. A dire il vero reputo la sua scrittura spesso noiosa, impersonale, sterile. Da ragazzino però trovai appassionanti i primi tre della serie di Nicholas Linnear, così come Quattro pezzi di giada. In realtà poi mi resi conto a posteriori che mi ero appassionato a ciò che quei libri sarebbero stati se fossero stati scritti con passione e cognizione di causa. Detto fra noi: dubito che Van Lustbader sia mai uscito dagli USA e ad occhio e croce non credo si sia mai nemmeno avvicinato ad una palestra o ad un dojo, e si sente. Vorrei fare una precisazione: a me piace il contatto diretto. Non dico che tutti debbano frequentare criminali, gettarsi di testa in risse e scontri armati e viaggiare in posti assurdi, però credo che sia molto utile e piacevole sia per chi scrive che per chi legge almeno “sfiorare” queste realtà. Per un lettore può essere un’esperienza magnifica visitare anche solo qualche angolo del sud-est asiatico o della Cina, così come può essere interessante frequentare un corso di qualsiasi arte marziale, anche da ultra-principianti-dilettanti e a qualsiasi età. Soprattutto poi per gli autori, credo sia meglio tirare e prendere qualche pugno e qualche calcio prima di scriverne. Giusto per sapere di cosa si tratta. Da questo punto di vista Van Lustbader è un tecnico perfetto, come scrittore. Quanto poi invece al sudore, al sangue e alla passione, ho l’impressione che per lui scrivere un libro di cucina o di spionaggio sia la stessa cosa. Tutto questo non per sputare su un autore che reputo in ogni caso importantissimo, ma mi pare che ci sia un abisso fra le sue produzioni e autori meno noti e mille volte più appassionanti.

Proseguendo, amo i primi di Ian Fleming, Tom Clancy, alcune sfumature di Ken Follett, tutto Frederick Forsyth. Mi piacciono alcune cose di Harris, Andy McNab... Adoro anche cose diverse, da Sherlock Holmes agli hard-boiled. Se non ci mettessero sempre di mezzo la maledetta propaganda politica, sarebbero splendidi anche i libri di Vargas e Camilleri. Detesto il filone svedese: giuro che non riesco a superare le prime cinquanta pagine, di solito.

Ok, ora la smetto, giuro.

Anzi no, prima devo fare un altro nome che non c’entra nulla ma che può essere in qualche modo tangente: Il cerchio celtico di Björn Larsson, nel mio giro piaciuto praticamente solo a me. Ci sarà un motivo, immagino, e non sono sicuro che sia un segnale positivo, ma fa niente.

Posso anche dire che Barbara Baraldi e Cristiana Astori sono fenomenali?

          

Un tuo racconto è apparso sulla rivista digitale Action: cosa ne pensi dell’editoria digitale? Pensi che riuscirà a portare in auge il gusto del pulp?

Discorso difficile. Io capisco la fascinazione imbattibile della carta, la subisco anche io. Mi è sempre piaciuto avere il libro fra le mani, fare addirittura paragoni olfattivi e tattili. Ma la carta non può e non deve rimanere il solo mezzo editoriale. Non sto facendo l’ecologista – cosa ridicola, per certi versi: avremmo dovuto diventare ecologisti due secoli fa, perché ciò avesse un senso – ma il materialista. Le pubblicazioni online hanno dei vantaggi irripetibili: dal punto di vista economico, della distribuzione, e anche dal punto di vista grafico... Certo, tutto ciò non va propriamente nel senso dell’élite consolidata da decenni, ma vi sembra un male? A me no, sinceramente. Mi preoccupa di più il fatto che già le librerie siano invase da volumi agghiaccianti scritti con i piedi – parlo di piedi ma penso ad un’altra parte anatomica – e forse lo sviluppo dell’editoria digitale potrebbe moltiplicare a dismisura questo filone, decretando una vera e propria invasione di opere pedestri senza capo né coda e di autori immotivatamente boriosissimi nonché noiosissimi. Ma in fin dei conti forse è un discorso senza molta importanza. L’importante è che si comprenda l’editoria digitale in termini di sviluppo, di evoluzione e non come una degradazione. La degradazione è prodotta dai libri di scarsa qualità e privi di senso: questi sì fanno male all’editoria, in qualsiasi formato vengano alla luce, e non è certo l’editoria digitale a crearli.

          

Ultima domanda obbligatoria: progetti futuri?

Sei sicuro di volermi fare questa domanda? Potrei impiegare otto pagine per rispondere. Provo ad autolimitarmi. Per il futuro voglio fare nuovi esperimenti con la mia band, e quando parlo di esperimenti intendo DAVVERO esperimenti, visto che stiamo scivolando sempre di più oltre la musique concrète e l’industrial più oltranzista. Poi vorrei che il mio jiu jitsu diventasse più efficace, e quindi dovrò intensificare lo sparring. Dal punto di vista della scrittura, semplicemente continuerò a scrivere. Ho in mente una trama lunga e alcuni racconti di collegamento, non resta che procedere. Spero che sia un buon lavoro e che abbiate la possibilità di leggerlo.

Grazie! Ci vediamo a Latina!