Il divertissement letterario non conosce limiti di tempo o di genere, e una recente dimostrazione ci arriva dal sorprendete romanzo d’esordio Il visone bianco (Fourrure, 2010) di Adélaïde de Clermont-Tonnerre, vincitrice di prestigiosi premi come il Prix Françoise Sagan.

È obbligatorio riportare l’epigrafe che apre il romanzo, la cui particolarità è che è firmata da una falsa autrice...

          

«Scrivere è prostituirsi. Spogliarsi, mostrarsi, esibirsi. Farvi venire voglia di continuare, di penetrare di più e più avanti, di svelare, scoprire, scopare. Dirvi quello che volete sentire, ingannarvi. Eccitarvi e frustrarvi. Solleticarvi, infastidirvi, portarvi in giro, farvi credere che vi si ama, farvi male e farvi piacere. Farvi godere e piangere. Le metafore: la biancheria fine. Le descrizioni: il lubrificante. Gli aforismi: le moine. Il tutto per diciotto euro; dovete ammettere che non è molto, se la merce è buona. Ma se non ci sono riuscita, se non sono stata all’altezza della vostra fantasia, ve ne andrete via delusi, con la vaga sensazione di essere stati fregati, come un cliente che non ha osato chiedere quello che davvero voleva e che ce l’ha con me per non averlo indovinato. Lo scrittore è una puttana, un oggetto di curiosità di cui ci si fa beffe e che si teme. Con la sola differenza che non batte per strada, ma nei corridoi delle Fiere del Libro.»

ZITA CHALITZINE

            

Il 6 dicembre 2006 in rue de Paris viene ritrovato il cadavere della celebre scrittrice Zita Chalitzine. «Indossava una pelliccia di visone bianco, un tailleur-pantalone chiaro Yves Saint Laurent e una camicetta di seta, ed era avvolta in una coperta di cachemire beige: la scrittrice aveva probabilmente avuto bisogno di dolcezza, in quegli ultimi istanti». Il medico legale stabilisce che è deceduta quattro giorni prima per un mix letale di alcol e medicinali. Sul giornale “France-Soir” appare in prima pagina la notizia della morte della donna: così Ondine, la protagonista del romanzo, scopre che sua madre Zita è morta.

Ondine mette subito in chiaro la misura del suo dolore: «Mia madre era una stronza, una stronza bella e buona che ha rovinato la vita di tutti quelli che le si sono avvicinati». Non sarà un lutto straziante. «Mi sfruttava - continua la figlia. - Usava la mia vita per i suoi libri, i miei fallimenti per rendere i suoi racconti più divertenti. Mi spogliava davanti a tutti, senza chiedere il mio parere».

Zita Chalitzine è un’autrice sulfurea e pepata (il personaggio storico che ammira di più è Giovanna d’Arco, «perché è riuscita a far credere di essere vergine», e la Santa Vergine... per le stesse ragioni!) che proprio prima di morire subisce la più infamante delle accusa per un’autrice: quella di plagio. In realtà, dicono alcuni maliziosi giornalisti, le sue opere sarebbero state scritte da un certo Romain Kiev prima di morire, e man mano date alle stampe da Zita con il proprio nome.

«Durante tutta la mia infanzia ho visto mia madre scrivere - afferma la figlia Ondine, oggettiva perché non certo interessata a riscattare la memoria della genitrice che disprezza. - Non faceva altro. Sarebbe strano che i libri non fossero suoi».

Per Ondine la letteratura è «tempo perso», gli scrittori sono «autistici che si credono Dio», gente che può compiere ogni nefandezza e tutto sarà sempre perdonato loro perché sono “artisti”.

Durante il funerale Olivier Schulz - l’editore che ha pubblicato Zita per ventisei anni, sin dal suo primo romanzo La mia vita in affitto - parla della polemica in corso. «Certamente, Zita ha conosciuto Romain Kiev e si sono amati. Lo sapevano tutti»: ma da un amore di gioventù ad un plagio decennale il passo è davvero troppo lungo. Kiev è stato uno scrittore prolifico, e alla sua morte ha lasciato una bibliografia di tutto rispetto: pensare che oltre ai propri cinquanta libri abbia trovato il tempo di scrivere le decine che poi Zita ha pubblicato negli anni a venire, è davvero difficile.

Adélaïde de Clermont-Tonnerre
Adélaïde de Clermont-Tonnerre
La risposta a tutto questo forse si trova nel manoscritto inedito che Zita ha lasciato quando morte l’ha colta; fra le righe di In memoria di me c’è forse la spiegazione di tutta la vita della scrittrice, delle sue scelte e dei suoi comportamenti... forse anche del motivo per cui è nato l’attrito con la figlia. Ma Ondine odia troppo la madre per cadere nel tranello: è convinta che il manoscritto sia un modo per essere tormentata dalla genitrice anche dopo morta. «Uno schiaffo, ecco cos’è questo manoscritto. Ma non mi farà questo. Non ha il diritto di forzarmi a leggerlo».

A leggerlo ci penserà Pierre, il giovane vedovo di Zita, più che altro per conoscere meglio la donna che per poco è stata sua moglie.

            

In memoria di me è la storia di una donna abusata in giovanissima età che non è per nulla disposta ad essere vittima e che quindi attaccherà sempre per prima; una donna che trova libertà ed indipendenza divenendo escort di lusso («Mi piaceva il potere. Mi inebriava il dominio che esercitavo sui miei clienti. Quegli uomini vi aprono le gambe e vi penetrano, certo, ma voi gli restituite il favore. Io li penetravo ben più profondamente, passeggiando nel loro cervello, saltellando fra le loro fantasie come un funambolo, giocando con le loro debolezze e i loro sentimenti»); una donna il cui primo “cliente” è, guarda caso, un uomo di nome Romain Kiev...

La critica letteraria ultimamente non è tenera con lui. «Lettere d’Oceania, Lord D. e Il sogno di Narciso erano buoni romanzi, solidamente costruiti. Oggi gli resta soltanto un oceano di pretenziosità. Ruffiano e facilotto, Il clown ci porta a spasso, tra cocktail per le anteprime cinematografiche, dietro a una patetica star hollywoodiana. I cadaveri piovono sulla donzella fresca di Oscar, che piange con la stessa facilità con cui una vacca fa il latte. Per scampare a una morte certa, eccola che fugge da Cannes in direzione di Nizza, dove si innamora follemente di un vecchio scrittore, gollista della prima ora e fisicamente mostruoso... A sessantacinque anni, Kiev confonde troppo i propri desideri con la letteratura.»

Queste terribili critiche, racconta Zita nel suo manoscritto, stanno distruggendo lo scrittore, che scorge in esse sin troppa verità. «Sono solo un vecchio sguattero della letteratura - ammette Romain. - Faulkner ha inventato. Joyce ha inventato. Io ho rimescolato la stessa zuppa. Non ho dato nessun contributo». Da questo sfogo, nasce spontanea la proposta: visto che il nome di Romain Kiev ormai è usato da giornalisti e critici per sputar veleno, perché non continuare a scrivere utilizzando un altro nome? «Ricominciare tutto da zero. Essere giudicato soltanto dalla qualità dei testi»: il sogno di ogni scrittore appassionato, che potrebbe avverarsi grazie a Zita.

              

Il gioco letterario prende risvolti sempre più complessi quando il libro di Romain che Zita dovrebbe spacciare per proprio... parla della vita di Zita! Un’autobiografia scritta a propria insaputa da un altro ma firmata con il proprio nome. «Aveva raccontato la mia vita meglio di me. [...] Con tenerezza e ferocia, nel suo libro Romain mi aveva messa a nudo, e io, che mi ero mostrata da tutte le angolazioni a così tanti uomini diversi, mi vergognai per la prima volta.» Con la pubblicazione de La mia vita in affitto inizia la fama e la leggenda di Zita Chalitzine.

La vita letteraria è spietata, e l’operazione ideata da Kiev non ottiene il risultato sperato: il romanzo è un fallimento, a riprova che non è il nome di Kiev ad essere finito, ma il suo modo di scrivere. Romain Kiev si spegne, guardando sconsolato la vita letteraria che gli scivola via pian piano. Zita invece viene lanciata da quello che viene considerato un buon esordio, ma la sua carriera non sarà come quella del suo sfortunato maestro.

Zita è abituata sin dall’infanzia ad essere padrona della propria vita; Zita non conosce differenza fra vita e scrittura; Zita scrive la propria vita come un libro e nei propri libri usa la propria vita; Zita non accetta che un giorno vedrà tutto sfiorire pian piano; Zita è l’unica autrice del romanzo della propria vita; Zita sola decide quando il libro è finito.

        

E Il visone bianco finisce quando la Chalitzine decide che sia finito, in un affascinante gorgo letterario che trascina il lettore dove mai avrebbe pensato di avventurarsi.

Un romanzo forse logorroico in alcuni punti, ma che di sicuro non stanca mai. A riprova che il grande gioco letterario degli pseudobiblia non conosce confini né di genere né di epoca.