Kveld si lasciò cadere, affranto, sulla tomba di Egill Skallagrímsson. Con la mano sana scavò una piccola buca. Soffrì molto estraendo a fatica la moneta dalla mano sinistra, perché dovette scostare le dita spezzate che la serravano come in una morsa. La depose nella piccola fossa, che ricoprì di terra.

Provava orrore di sé, di essere Kveld Úlfr. Di esistere, creatura nel mare dell’ignoto. Non sopportava neanche quel pallido sole: sapeva che, nelle altre parti del mondo, a quell’ora dormiva dietro l’orizzonte. Per consolarsi, avrebbe preferito le stelle. Ma le stelle sono per i ragazzi felici. Lui era lì, in un sole simile a una tenebra sconfinata. La sua solitudine era assoluta. Non era solo come un orfano, o come un qualsiasi uomo, donna, bambino o animale che non ha un amico. Era solo come qualcuno nato al di fuori del corso ordinario del mondo, che vive nel mondo senza appartenervi. I suoi genitori lo avevano ucciso.

Con un singhiozzo si alzò e si allontanò dal cimitero, verso la brughiera. Non riusciva a pensare; la sola certezza che aveva in mente era che non sarebbe mai più tornato a Borg.

Camminò e camminò.

Non si era mai allontanato così tanto dal villaggio, spingendosi verso l’interno dell’isola. Il cuore dell’Islanda, dicevano sia i cristiani sia i pagani, era l’Inferno. Un luogo desolato e inospitale, devastato dai vulcani, assiderato da tempeste di neve, dove si soffrivano i tormenti del gelo e del fuoco fino a morirne.

Kveld camminò per tutta la notte, e poi nella luce di un’alba dal biancore nebbioso. Il paesaggio era cambiato; la brughiera aveva lasciato il posto a una specie di tavolato di rocce piatte, su cui non cresceva neppure un arbusto. Kveld si inoltrò in questo deserto e camminò fino a perdere l’orientamento. Da qualunque parte si voltasse, il luogo era uniforme e uguale. A un certo punto, gli sembrò di aver girato in circolo e di essere già passato per lo stesso luogo. Non sapeva più dove si trovava.

Camminò per tutto il giorno, o per quella che gli parve la durata del giorno. Camminò nel dolore e nello smarrimento, e al dolore si aggiunsero la fame e la sete, e la febbre. La mano storpiata era diventata bluastra e nera, e dalle ferite gonfie e infiammate sgorgava pus. Barcollava come un ubriaco, ma non si fermò. Non voleva tornare indietro.

Camminò per tutta la bianca notte seguente, e il nuovo giorno sorse uguale e monotono.

Kveld si ritrovò sull’orlo di un grande cratere vulcanico, al centro del quale si muoveva come un animale in letargo una pozza di fango e acqua mista a ceneri. Una insidiosa palude di vapori sulfurei che esalavano fumi giallo arancio, fra le strisce sovrapposte di ghiaccio bianco e roccia nera. Il paesaggio era spaventoso e magnifico. Il cielo opaco si confondeva con la terra, e assumeva lo stesso colore dei fumi della polla di materia ribollente, terra disciolta dal fuoco che ardeva nel ventre dell’isola. Non una pianta, un animale. Il silenzio era totale, a parte il gorgoglio di quel fango vivo.

Sul ciglio del cratere Kveld si sentì schiacciato dal cielo, attirato dalla terra e dal fuoco. Forme e colori si confusero davanti ai suoi occhi. Un sudore freddo lo ricoprì come un sudario. Si incantò a guardare le spirali di cenere grigia striata di rosso sangue che si arrotolavano e srotolavano nella palude, come serpenti. Nel suo delirio febbrile gli sembravano diavoli, diavoli inafferrabili, dalle sembianze mostruose.

Sentì vibrare la terra sotto i suoi piedi, e la materia liquida prese ad agitarsi e ribollire ancora di più. Con un grande fragore, un getto di vapore bianchissimo, alto come quattro uomini uno sull’altro, si alzò dalle rocce nere. Adh geysa, un geyser. Glielo avevano descritto come il fiato degli antichi dei quando agitano aria, acqua, terra e fuoco. Aria mista ad acqua, che cancellò ogni altra forma e colore. Gli sembrò una schiera di angeli, angeli inafferrabili, con le ali abbozzate in volo.

Kveld chiuse gli occhi, si sentì tentato dal nulla, e si abbandonò.

Cadde come un sasso in quel crogiolo di tutti gli elementi.

LA PARTE FINALE FRA UNA SETTIMANA

© 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano